Trilussa
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l'incontentabbilità Iddio pijò la fanga dar pantano, l'ingegno L'Aquila disse ar Gatto: - Ormai so' celebre. Cór nome e có la fama che ciò io me ne frego der monno: tutti l'ommini so' ammiratori de l'ingegno mio! -
Er Gatto je rispose: - Nu' ne dubbito. Io, però, che frequento la cucina, te posso di' che l'Omo ammira l'Aquila, ma in fonno preferisce la Gallina... cenni biografici Trilussa è lo pseudonimo (sulla base di un anagramma del cognome) di Carlo Alberto Salustri, autore di un gran numero di poesie in dialetto romanesco. Non fu un "intellettuale", infatti fonte della sua ispirazione erano le strade di Roma. Quando un giornale locale gli pubblicò i primi versi, questi conobbero presto il consenso dei lettori. La sua fama crebbe tra il 1920 e il 1930. Negli anni successivi, però, la struttura sociale della città cambiò profondamente; l'ispirazione che il poeta traeva dalle vecchie atmosfere romane era destinata pian piano ad abbandonarlo. Efficace "dicitore" dei suoi versi, fece lunghissime tournées in Italia e all'estero, durante le quali appunto recitava le sue poesie. Morì a Roma nel 1950. Pochi giorni prima della sua morte, gli veniva riconosciuto il titolo di senatore a vita per alti meriti in campo letterario e artistico. "Siamo ricchi!", fu il suo ironico commento nell'apprendere la notizia, poiché questo titolo non era che una carica onorifica. Trilussa è famoso per il quadro di costume (le sue poesie sono popolate da personaggi di un mondo piccolo-borghese, come la casalinga, il commesso di negozio, la servetta, ecc.) e le favole moraleggianti, alcune delle quali richiamano Esopo. Tra le sue opere: Quaranta sonetti (1895), Favole romanesche (1900), Caffè-concerto (1901), Er serrajo (1903), Uomini e bestie (Ommini e bestie, 1908), Le storie (1913), Lupi e agnelli (1919), Le cose (1922), La gente (1927). Come abbiamo già detto, non fu considerato un intellettuale, infatti le antologie di letteratura italiana non sempre ricordano questo grande autore, ma la carica dei suoi sonetti, pieni di arguzia popolare, sono per molti italiani, ancora oggi, una testimonianza dell’intelligenza del popolo romano.
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