Il corpo del povero cadrebbe subito in pezzi se non fosse legato ben stretto dal filo dei sogni...
Anonimo Poeta Indiano
Quando
partii da Nablus, diciannove anni fa, portai con me, oltre a pochi effetti
personali, suoni, profumi, frammenti di storie. Il classico diario
dell'emigrante, da cui sono nati alcuni racconti, editi da Scriptorium,
un breve romanzo "Il sole d'inverno", e un operetta "pronto...ci sei
ancora?" pubblicati da Portofranco.
Da
ragazzo, leggendo gli autori del mio paese, pensavo che gli scrittori
palestinesi non fossero di immediata comprensione. La nostra letteratura è
stata condizionata da eventi tragici e troppo importanti dei quali è rimasta
prigioniera. L'opera di qualche autore palestinese è arrivata in Italia, per
esempio Uomini sotto il sole, di Ghassan Kanafani, che si può definire
di carattere patriottico. Ci sono diversi modi di raffigurare la patria: una
fidanzata, una regina, una bandiera, per Kanafani è un'immensa madre
onnipresente. Infatti nel suo libro c'è un personaggio che accosta l'orecchio
al terreno: "Senti, senti il suo battito", e il compagno di viaggio
osserva: "Figuriamoci, sarà il tuo cuore". "Non può
essere", risponde il primo, "Perché sento anche l'odore
materno".
Arrivando in Italia, ho scoperto che, contrariamente a quanto sostengono molti, in questo paese la letteratura viene seguita con molta attenzione, anche le opere degli autori stranieri. Così un giorno – superato il disorientamento dell'emigrato appena sbarcato e dopo aver trovato un lavoro stabile – decisi di concedermi il lusso di scrivere. Scrivevo racconti, e soprattutto cercavo di ribaltare certi luoghi comuni sulla mia terra d'origine. Le mie “pagine sparse” circolavano in Rete (il mio primo editore) e fra i miei amici, che avevo costretto a diventare miei lettori. A questo punto tutti si sentirono in dovere di acculturarmi per bene e incominciarono a propormi i loro autori preferiti come se fossero stati dei ricostituenti: "Dino Buzzati ti sviluppa la vena surreale, Andrea Pazienza ti potenzia l'ironia". Qualcuno mi consigliava di ascoltare Paolo Conte come additivo per la poesia. Mi sentivo come un magazzino nel quale si ammucchiavano emozioni altrui. Finché un giorno incontrai il “mio” primo libro italiano. Ero nella biblioteca di una grande fabbrica del Canavese, e mi sentii folgorato dal suo titolo: La luna e i falò. Già la luna mi ispirava, mi faceva tornare in mente il mio paese. Nella cultura araba tutte le cose naturali, quindi anche i corpi celesti, avevano un'immagine molto poetica. A proposito della Luna, qualcuno aveva addirittura pensato di intentare causa alla NASA quando, nell'estate del '68, Armstrong aveva calpestato il mare di cipria che avvolge il nostro “specchio della vita”. Al mio paese c'era chi si era sentito ferito nel più profondo dei sentimenti, l'amore. I poeti arabi, ma anche gli innamorati qualsiasi, paragonavano le loro donne alla luna, quella creatura che tutti vedono ma che non possono toccare. (“Solo io l'ho avuta”). Figuriamoci uno straniero che la violenta senza neanche rendersene conto. Per tornare a La luna e i falò, sfogliandolo mi sono ritrovato come a casa. Quell'emigrante che faceva fortuna in un paese lontano (l'America) in cui non c'era nemmeno una bottiglia di vino buono, assomigliava un po' a me che in Italia non riuscivo a trovare una goccia di acqua potabile. (D'accordo che dalle mie parti, nel deserto, ce n'è poca, ma quella poca è eccezionale). Non conoscendo l'italiano, avevo incominciato a bere quella dei treni, e solo più tardi, quando riuscii a decifrare il cartellino trilingue, avevo capito perché l'acqua aveva quel gusto così orribile. E poi, anche noi, una volta, emigravamo sperando di tornare abbastanza ricchi da chiedere la mano della più bella del paese. Non solo, ma tutti quelli che tornavano erano considerati dei saggi, tutti gli si rivolgevano con deferenza e rispetto, chiedendo consigli. E solo perché avevano viaggiato. Però c'erano almeno due differenze fra me e il personaggio di Pavese: che io mi ero innamorato del paese dove ero emigrato. E che non sono ancora diventato abbastanza ricco da poter ritornare.