Da quel momento, a un'ora imprecisa,
quell'agonia mi torna;
e fino a che non ho detta la mia storia di morti,
dentro mi brucia il cuore.
I cimiteri islamici dovrebbero avere due caratteristiche: sorgere in mezzo ai centri abitati – perché la gente si ricordi della morte – e con le tombe basse, molto basse, che non superano i dieci centimetri dal terreno. La prima regola viene abbastanza rispettata; la seconda, invece, quasi mai. Chi ha denaro non resiste alla tentazione di farsi ricordare per la sua ricchezza. Le tombe rispecchiano il censo, quindi ce ne sono di marmo bianco, imponenti come monumenti; altre di pietre scolpita a mano; altre che si vedono da molto lontano, prima ancora di entrare nel cimitero. Secondo il Corano, le tombe dovrebbero essere come quelle dei poveri: tutte uguali e delimitate da semplici pietre non lavorate. Vicini come sono alla città, i cimiteri diventano punti di orientamento e di riferimento e, per gli abitanti di Nablus, un luogo sicuro, senza macchine pilotate da incoscienti e soprattutto senza soldati israeliani che li frequentano malvolentieri: sembra quasi che abbiano più rispetto per i morti che per noi ancora vivi. In realtà i motivi sono altri: anzitutto si cerca di non provocare la gente, che vedrebbe l’ingresso di un infedele come una profanazione; e poi, è noto che gli ebrei non amano stare vicini ai morti.
Nablus,
il cimitero centrale. Sono le 9 del mattino. Fa caldo. I ragazzi si sono dati
appuntamento qui per il solito raduno. Il giorno prima ognuno di loro ha
preparato il suo capolavoro curandolo nei minimi dettagli. Ci vuole qualche ora
di applicazione e di pazienza per costruire un aquilone perfetto, magari con la
consulenza di qualche adulto. I ragazzi arrivano a piedi, alla spicciolata,
qualcuno si porta il suo piccolo aquilone sottobraccio, altri hanno bisogno
dell'aiuto di un fratello o di un amico: è impossibile trasportare da soli un
cerchio di carta di un metro, più le frange e una coda maestosa che può
raggiungere anche i tre metri. In questi casi c'è la mano dei genitori, è
chiaro. Le dimensioni degli aquiloni sono variabili, ma i colori, a parte le
frange e la coda, sono quasi identici: il rosso, il bianco, il nero e il verde,
la bandiera di uno stato ancora immaginario.
Le
tombe del cimitero sono ottime rampe di lancio, e i ragazzi le usano
tranquillamente, tutte, tranne quella di Fatima. (Forse per rispetto, forse
perché la ragazza, quando è stata uccisa, aveva la loro età). L'unico momento
in cui si avvicinavano a quella lapide era quando l'aquilone volava ormai alto
nel cielo, allora lo legavano alla piccola palla di pietra che sormontava la
tomba.
Ali
porta un aquilone di modeste dimensioni e non ha bisogno d'aiuto per farlo
decollare; dopo aver studiato il vento e valutato lo spazio libero, sceglie la
tomba giusta e vi posa sopra l'aquilone con delicatezza, studiando bene
l'inclinazione. Adesso deve solo aspettare il colpo di vento giusto. Bisogna
saper attendere anche una ventina di minuti, dipende dalla fortuna.
Omar
si è portato Hassan, il fratello minore, come aiutante: il suo aquilone è
gigantesco, vuole stupire e vincere la gara. La volta scorsa Hassan è stato un
disastro, oggi deve eseguire gli ordini e non fare di testa sua. Un aquilone
fuori serie come questo deve decollare da una certa altezza e con una spinta,
come un pistard che viene sorretto e lanciato dal suo allenatore. Hassan si
arrampica sulla tomba giusta, quella di un fabbro, Jamal Haddad: non si sa perché
ma la sua lapide è in una posizione ideale. Hassan, trepidante, sale con
delicatezza: ha conosciuto l'inquilino della tomba, un uomo burbero che da vivo
gli faceva paura. Un po' gliene fa anche adesso, da morto. Una volta Hassan,
passando davanti alla bottega del fabbro, aveva urtato un cavalletto facendo
cadere un cancello in lavorazione, e Jamal si era incazzato di brutto. Non
sembrava niente di grave, ma quella notte Hassan aveva sognato il fabbro avvolto
dalle fiamme infernali che batteva alla porta di casa con un martello gigantesco.
Il più brutto incubo* della sua vita.
–
Ya asar! Ana batbahak... (Stronzetto, ti ammazzo...)
Hassan,
pensando al morto, non ha sentito che il fratello gli ordinava di lanciare, e ha
perso il colpo di vento favorevole. Adesso gli tocca aspettare ancora, in bilico
sulla tomba di Jamal.
Basem,
col suo aquilone dimesso, sembra non dar peso alle dimensioni e alle decorazioni
degli altri, ha un suo piano segreto per vincere. Nel cielo ci sono già una
decina di aquiloni che volano leggeri in un concerto di fruscii, come
un'orchestra intonata: i più grandi sono violoncelli e contrabbassi, i più
piccoli viole e violini. L'aquilone di Basem stride, è fuori dal coro, vola
senza equilibrio, sembra un ubriaco che cerca un appoggio nel vuoto. In realtà
la sua è la danza del falchetto che cerca la preda.
La
sera prima, Basem si era procurato una lametta Wilkinson usata del padre e
l'aveva spezzata fissando poi le due metà al suo aquilone in modo che fossero
invisibili. Gli altri ragazzi si erano accorti che c'era qualcosa che non andava
nel volo di quell'aquilone e ne stavano alla larga, scansando la sua traiettoria.
Basem ha individuato la preda, lo si capisce dal sorriso. Il suo aquilone si
avvicina rapidamente a quello di Omar che è finalmente riuscito a decollare.
–
Hassan, Hassan... saidni... annaslu... (Hassan, Hassan... aiutami, facciamolo
scendere...)
Omar
è disperato, aveva pensato a tutto tranne che all'aquilone assassino. Ora non
riesce a sottrarre il suo pachiderma all'assalto della zanzara. Basem, con una
manovra studiata e spietata, taglia di netto il filo del "capolavoro"
che se ne va nel vento, mentre Omar e Hassan lo rincorrono invano.
Basem,
cinico, gli grida dietro: – Fi tis el hamam il barri! (In culo alle colombe
selvatiche, voi e la vostra bandiera!)