Attesa
a Allenby
( di Fadwa Tuqan )
Sospiri davati allo
sportello dei permessi (al Ponte di Alleby)
Sosta davanti al ponte / per chiedere il permesso di passare
ah! chiedere il permesso di passare
soffocare, perdere fiato / nel caldo torrido del mezzodì
sette ore di attesa...
chi ha spezzato le ali del tempo?
chi ha paralizzato il cammino del giorno?
il caldo mi brucia la fronte / e il sudore salato inonda i miei occhi
ah! migliaia di sguardi / come specchi di angoscia
fissano con ansiosa apprensione / lo sportello dei permessi
indirizzi attesa e ancora attesa / per chiedere il permesso di passare
e la voce furiosa di un soldato risuona
come uno schiaffo sul volto della folla:
'Arabi, disordine, cani / tornate indietro
non avvicinatevi allo sbarramento / abbaiate, cani!'
il pugno sbatte sullo sportello dei permessi
come uno schiaffo sul volto della folla
ah! sanguina la mia anima
il mio cuore si riempie di amarezza
Hanno diritto su questa terra alla vita : il dubbio di aprile, il profumo del
pane nell'alba, le idee di una donna sugli uomini, le opere di Eschilo, il
dischiudersi dell'amore, un'erba su una pietra, madri in piedi sul filo del
flauto, la paura di ricordare negli invasori.
Hanno diritto su questa terra alla vita: la fine di settembre, una signora quasi
quarantenne in tutto il suo fulgore, l'ora di sole in prigione, nuvole che
imitano uno stormo di creature, le acclamazioni di un popolo a coloro che
sorridono alla morte, la paura dei canti negli oppressori.
Su questa terra ha diritto alla vita, su questa terra, signora alla terra, la
madre dei princìpi madre delle fini. Si chiamava Palestina si chiama Palestina.
Mia signora ho diritto, ché sei mia signora, ho diritto alla vita.
Io sono di là. Ho ricordi. Son nato così come nascono tutti. Ho una madre
E una casa con molte finestre. Ho fratelli ho amici ed ho una prigione con
feritoia di gelo
E un'onda che dai gabbiani è rapita. E, testimone a un sepolcro che è il mio,
spazio immenso, e pascoli che se ne sazia lo sguardo
E una luna che splende all'estremo confine del verbo, e cibo d'uccelli e un
ulivo immortale.
Passai sulla terra ben prima che spada, a farsene mensa, su un corpo.
Io sono di là: rendo il cielo a sua madre se è il cielo che piange la madre
E piango così che una nuvola poi mi ravvisi al ritorno.
Ogni discorso del tribunale del sangue ho imparato, a infranger le regole degno.
Tutto il verbo ho imparato, e poi frantumato a comporre una sola parola, la
patria.
Indirizzi
per l'anima, fuori (di
Mahmoud Darwish )
Viaggiare, io amo: indirizzi per l'anima, fuori. Viaggiare a un paese
Che non sospese ai cipressi suoi l'ultima sera mia. Gli alberi amo
Sopra tetto di casa che noi torturare due passeri vide? Anche ciottoli vide
allevare.
Non potevamo tirare su i nostri giorni
Perché come le piante crescessero cheti? Amo pioggia che cade
Sulle signore di prati lontani. Un'acqua lucente ed un duro profumo di pietra.
Di sorpresa noi non potevamo, no, cogliere la nostra vita
E guardare di più verso l'ultimo cielo un pò prima che se ne partisse la luna?
Indirizzi per l'anima fuori di qui. Si, io amo partire
Verso ogni vento...Non amo arrivare.
Stato d'assedio
(di
Mahmoud Darwish )
Qui, sui pendii
delle colline, dinanzi al crepuscolo e alla legge del tempo Vicino ai giardini
dalle ombre spezzate, Facciamo come fanno i prigionieri, Facciamo come fanno i
disoccupati: Coltiviamo la speranza.
Un paese che si prepara all'alba.
Diventiamo meno intelligenti Perché spiamo l'ora della vittoria: Non c'è notte
nella nostra notte illuminata Da una pioggia di bombe.
I nostri nemici vegliano, I nostri nemici
accendono per noi la luce Nell'oscurità dei sotterranei.
Qui, nessun «io».
Qui, Adamo si ricorda che la sua argilla
È fatta di polvere.
In punto di morte, dice: Non posso più
smarrire il sentiero: Libero sono a un passo dalla mia libertà. Il mio futuro
è nella mia mano.
Ben presto penetrerò nella mia vita,
Nascerò libero, senza madre né padre, E mi sceglierò un nome di lettere
d'azzurro...
Qui, fra spirali di fumo, sui gradini di
casa, Non c'è tempo per il tempo.
Come chi s'innalza verso Dio,
Dimentichiamo il dolore.
Nulla qui riecheggia Omero.
I miti bussano alla nostra porta, se
vogliono.
Nulla riecheggia Omero. Qui, un generale
Scava alla ricerca di uno stato addormentato Sotto le rovine di una Troia che
verrà.
Voi, ritti in piedi sulla soglia, entrate,
Bevete con noi il caffè arabo.
Sentirete che siete uomini come noi.
Voi, ritti in piedi sulla soglia delle
case, Uscite dalla nostra alba.
Ci sentiremo sicuri di essere Uomini come
voi! Quando gli aerei scompaiono, spiccano il volo le colombe Bianchissime,
lavano la gota del cielo Con ali libere, riprendono il bagliore e il possesso
Dell'etere e del gioco. In alto, ancora più in alto volano via Le colombe
bianchissime. Ah, se il cielo Fosse vero... [mi ha detto un uomo correndo fra
due bombe].
I cipressi, dietro i soldati, minareti
che s'innalzano Per non far crollare il cielo. Dietro la siepe di ferro Pisciano
i soldati - al riparo di un tank - E la giornata autunnale conclude la sua
traiettoria dorata In una strada vasta come una chiesa dopo la messa domenicale...
[A un assassino] Se avessi contemplato il
volto della vittima E riflettuto, ti saresti ricordato di tua madre nella camera
A gas, avresti buttato via le ragioni del fucile E avresti cambiato idea: non è
così che si ritrova un'identità.
L'assedio è attesa, Attesa su una scala
inclinata Dove più infuria l'uragano.
Soli, siamo soli a bere l'amaro calice,
Se non fosse per le visite dell'arcobaleno.
Abbiamo dei fratelli dietro quella
spianata, Fratelli buoni, che ci amano. Ci guardano e piangono.
Poi si dicono in segreto: «Ah! Se
quest'assedio venisse dichiarato...» Lasciano la frase incompiuta: «Non
lasciateci soli, non abbandonateci.» Le nostre perdite: da due a otto martiri,
giorno dopo giorno.
E dieci feriti.
E venti case.
E cinquanta ulivi...
Aggiungeteci la perdita intrinseca Che
sarà il poema, l'opera teatrale, la tela incompiuta.
Una donna ha detto alla nube: copri il
mio amato Perché ho le vesti grondanti del suo sangue.
Se non sei pioggia, amor mio Sii albero
Colmo di fertilità, sii albero Se non sei albero, amor mio Sii pietra Satura
d'umidità, sii pietra Se non sei pietra, amor mio Sii luna Nel sogno dell'amata,
sii luna [Così una donna che dava sepoltura al figlio] O ronde della notte! Non
siete stanche Di spiare la luce nel nostro sale E l'incandescenza della rosa
nella nostra ferita, Non siete stanche, ronde della notte?
Un lembo di questo infinito assoluto
azzurro Basterebbe Ad alleviare il fardello di questo tempo E a spazzar via la
melma di questo luogo.
Che l'anima scenda dalla sua cavalcatura
E cammini con passi di seta Al mio fianco, mano nella mano, come due amici Di
vecchia data che condividono il pane secco E un bicchiere di vino della vecchia
vigna, Per poter attraversare insieme questa strada.
Poi i nostri giorni seguiranno sentieri
diversi: Io al di là della natura, e lei, Lei preferirà inerpicarsi su un'alta
vetta.
Siamo lontani dal nostro destino come gli
uccelli Che fanno il nido negli anfratti delle statue, O nella cappa del camino,
o nelle tende Dove riposava il principe andando a caccia.
Sulle mie macerie spunta verde l'ombra, E
il lupo sonnecchia sulla pelle della mia capra.
Sogna come me, come l'angelo, Che la vita
sia qui... non laggiù.
Quando si è assediati, il tempo diventa
spazio Pietrificato nella sua eternità Quando si è assediati, lo spazio
diventa tempo Che ha fallito il suo ieri e il suo domani.
Questo martire mi assedia ogni volta che
vedo spuntare un nuovo giorno E mi chiede: Dov'eri? Annota sui dizionari Tutte
le parole che mi hai offerto E libera i dormienti dal ronzio dell'eco.
Il martire mi spiega: Non ho cercato al
di là della spianata Le vergini dell'immortalità, perché amo la vita Sulla
terra, fra i pini e gli alberi di fico, Ma era inaccessibile, così ho preso la
mira Con l'ultima cosa che mi appartiene: il sangue Nel corpo dell'azzurro.
Il martire mi avverte: Non credere alle
loro storie Credi a me, padre, quando osservi la mia foto e chiedi piangendo:
Come hai potuto scambiare le nostre vite, figlio mio, Perché mi hai preceduto?
C'ero io, c'ero prima io! Il martire non mi dà tregua: mi sono solo spostato
Con i miei mobili consunti.
Ho posato una gazzella sul mio letto, E
una falce di luna sul mio dito, Per alleviare la mia pena.
L'assedio continuerà, per convincerci a
scegliere Una schiavitù che non fa male, In piena libertà! Resistere significa:
accertarsi della forza Del cuore e dei testicoli, e del tuo male tenace: Il male
della speranza.
In quel che resta dell'alba, cammino
verso il mio involucro esterno In quel che resta della notte, ascolto il rumore
dei passi rimbombare al mio interno Saluto chi come me insegue L'ebbrezza della
luce, lo splendore della farfalla, Nell'oscurità di questo tunnel.
Saluto chi beve con me dal mio bicchiere
Nelle tenebre di una notte che entrambi ci avvolge: Saluto il mio spettro.
Per me i miei amici preparano sempre una
festa D'addio, una sepoltura serena all'ombra delle querce Un epitaffio inciso
nel marmo del tempo E sempre ai funerali li precedo correndo: Chi è morto...
chi?
La scrittura, un cucciolo che morde il
nulla La scrittura ferisce senza lasciar tracce di sangue.
Le nostre tazze di caffè. Gli uccelli,
gli alberi verdi Nell'ombra azzurrina, il sole che scivola di muro In muro con
balzi di gazzella L'acqua nelle nubi dalla forma illimitata - tutto quel che ci
resta.
Il cielo. E altre cose dai ricordi
sospesi Rivelano che questo mattino è potente splendore, E che noi siamo i convitati dell'eternità.