Sabina, dire che la conoscevo, è
una esagerazione,
conoscevo la sua condizione, conoscevo l'impegno che metteva nella sua
vita sociale e nel portare aiuto a quelli che erano colpiti da quella
grave menomazione. Conoscevo anche rifiuto del pietismo che la sua condizione
poteva innescare.
In verità debbo confessare che quando la incontravo mi sentivo
in difficoltà ed ero io quello che non aveva i mezzi per comunicare
con l'altro: Mi procurai un opuscoletto dove veniva spiegato il metodo
Malossi, ma senza esercizio non ho imparato mai e ho perso una occasione
irripetibile e da me sempre desiderata. Dopo la sua morte ho dovuto collezionare
un altro rammarico. Questa volta come cittadino di San Benedetto. Non
siamo stati capaci di andare oltre un semplice incontro-dibattito per
commemorare Sabina. In quella sede il presidente della lega Ciechi Aquilani
ha detto ha chiare lettere: non abbiamo bisogno di tavole rotonde ma abbiamo
bisogno di opere concrete. Questo mi aspetto dal paese che ha dato i natali
a Sabina" Ed è restata " lettera morta"
Per parlare meglio di Sabina Santilli
mi affido alle pagine del libro "Un italiana cieca e sorda"
scritto dalla sorella Loda nel 1968
LA MIA FAMIGLIA
S. Benedetto dei Marsi, situato sulle
sponde dell'antico lago del Fucino, prosciugato nel secolo scorso per
opera del Principe Alessandro Torlonia, è un centro prettamente
agricolo.
Qui erano scesi da paesi di montagna , tutti i paesi della provincia dell
'Aquila .
Nostro padre fu uno dei primi a sistemarvisi, perché era agricoltore
di vocazione. Amava la terra e per lui la coltivazione era come una cooperazione
alla creazione e gli rivelava la grandezza di Dio.
S. Benedetto era già un bell'agglomerato, gli abitanti erano laboriosi,
coraggiosi e vivevano affiatati come in una grande famiglia; erano sorte
la chiesa, la scuola, le case e le stalle, quando, nel
1915, un violento terremoto, con epicentro ad Avezzano, rase al suolo
tutta la contrada. Ci furono 3.000 morti e feriti, e il paese tutto da
ricostruire. Papà perse tre figli e la sua bella casetta
Nel 1915 era nato un figlio, Ettore. Il 29 maggio 1917 la famiglia fu
rallegrata dalla nascita di una bimba alla quale fu imposto il nome di
Sabina.
Crescendo, Sabina diventò una bimba molto seria a taciturna. Aveva
occhi neri dolcissimi, capelli lisci a corvini. Robusta e calma, precoce
con un'intelligenza viva, non aveva ancora sette anni che dava già
il suo piccolo aiuto nelle faccende di casa. Con le sorelline, che dopo
di lei accrebbero rapidamente la famiglia, era molto affettuosa. Era di
passo svelto, dotata di un acuto spirito d' osservazione, attenta e riflessiva,
per cui immagini e suoni s'impressero decisamente nel suo spirito al punto
da averli ancora presenti e vivi dopo quarant'anni di cecità e
di sordità. Aveva già da piccola una spiccata personalità,
Una volta la mamma, dovendo comperarle le scarpe, la condusse seco nel
negozio del paese. Qui la bimba non si accontentò subito del primo
modello presentatole, ma fece rimuovere tutte le scatole per scegliere
quello che desiderava. A cinque anni, fu avviata alla scuola elementare
del paese.
Sabina era particolarmente affezionata al fratello Ettore per la grande
bontà che questi dimostrava.
Spesso Sabina ed Ettore ragionavano insieme di fronte agli spettacoli
della natura. Sovente, la sera, restavano incantati a guardare il cielo
stellato: Sabina ascoltava estasiata i commenti del fratello maggiore
sull'immensità dell'universo o sulle curiose immagini che i loro
occhi di bimbi scorgevano sulla faccia della luna. In molti discorsi di
Sabina adulta subentrano ancora, e con trasporto, i ricordi di Ettore.
Dopo Ettore e Sabina vennero ad allietare la famiglia altre quattro sorelle
e un fratello.
Nostro padre doveva darsi molto da fare per mantenere questa numerosa
famiglia. .
La mamma, essendo ottima donna di casa, cuciva in continuazione i vari
indumenti dei suoi figli e lavorava a maglia. Era una brava organizzatrice,
arrivava a tutto tempestivamente con l'ausilio delle persone di servizio.
La nostra casa era sempre aperta a tutti: parenti, amici, operai, carrettieri
che trasportavano i prodotti agricoli alla stazione di Pescina. I poveri,
poi, trovavano in mamma una carità generosa: venivano rifocillati
e vestiti. Ricordo che lei diceva spesso: "Questi panni mettiamoli
da parte per qualche poverello".
L' ULTIMO SUONO
Erano ignari, i miei genitori, di quanto
stava per abbattersi sulla nostra serena famiglia, all 'avvicinarsi del
settimo anno di Sabina.
' Il lunedì della Settimana Santa dell' anno 1924, Sabina incominciò
a sentirsi male: le doleva tanto la testa e, rannicchiata su di una sedia,
diceva di aver freddo; mamma la mise subito a letto, ma Sabina non poteva
neppure girare il capo. Il medico prelevò del liquido dalla spina
dorsale e il babbo lo portò all' ospedale di Pescina per farlo
analizzare; il risultato fu: meningite.
Sabina si aggravava sempre più e soffriva molto, perché
era tormentata da uno sfogo comparso su tutto il corpo che le aveva prodotto
anche qualche piaga. Le sue compagne della seconda elementare si recavano
sotto la finestra della sua camera e
lì rimanevano a lungo per attendere le notizie sullo svolgimento
della malattia; lei invece già non sentiva più le loro voci.
Il posto del suo banco, nella loro classe, doveva rimanere vuoto per sempre:
era diventata cieca a sorda.
Mentre piangeva inconsolabilmente perché le iniezioni le facevano
male, il fratello Ettore si avvicinava al suo lettino, e con delicatezza
le accarezzava la mano a lei, riconoscente.
Dopo due mesi, fu dimessa a ricondotta a casa.
Ecco come lei stessa racconta in un articolo "Ai miei amici del Mondo
Silente"...: "il Giovedì Santo sera, gettai intorno l'ultimo
sguardo nella camera; la mattina dopo udii l'ultimo grido, seguito da
una sbattuta di porta: da allora niente più".
"Tornata dall'ospedale, due mesi più tardi, non badavo, non
volevo pensare al mio di etto nel vedere; del resto, quel po' di luce
distinta che percepivo ancora bastava a favorirmi l'illusione di vedere;
come pure il ronzio nelle orecchie contribuiva a farmi credere di sentire
rumori e voci: pure sapevo di non cogliere le forme e i colori, né
le parole, ma non volevo dirmelo! Uno dei primi giorni, il fratello maggiore
mi indicava delle piccole donne: pronunciai i nomi di tutte le vicine,
ma il gesto negativo seguiva ogni nome. Allora dissi al fratello: "Prendi
il mio quaderno di scuola, un lapis a portami (guidami) la mano scrivendo
i loro nomi". Così fu fatto; il fratello mi scrisse, adagio
a chiaro, i nomi delle mie zie di un altro paesello: fu la scoperta di
tutti i Cristoforo Colombo che lasciano la bella Europa del chiasso! E
questo fu il mezzo di comunicazione che mi servì per l'indispensabile,
nonché per farmi tardare ancora a riflettere sulla mia situazione.
Alla fin fine però, dovetti pur dirmelo franco: "cieca a sorda".
Ma allora, perché non mi prendesse paura, ero già armata
di una speranza: cioè di ritornare a Roma; con cure prodigiose
della scienza avrei riacquistato la vista a l'udito.Con questa idea confortante,
malgrado il passato trattamento (o maltrattamento) di medici ed infermiere
che avevo presi per aguzzini, volentieri mi lasciai condurre di nuovo
a Roma".
È facile immaginare l'immenso dolore che, sul momento, anniento
la mamma a il babbo. La sensibilità della prima già rilevante,
ne rimase terribilmente ferita: ella si commuoveva quando sentiva la musica,
quando suonavano le campane a festa, quando passava la processione. Suo
marito seppe confortarla e, col suo aiuto essa riuscì a riprendere
coraggio; ma solo dopo molto tempo riprese a sorridere, quando cioè
vide Sabina che progrediva a si sviluppava come una pianticella che, trapiantata,
attecchisce dopo il processo di abbattimento.
I miei genitori seppero trovare nella loro fede il coraggio di sottomettersi
alla volontà di Dio a di accettare con spirito cristiano questo
dolore. La mamma, quindi, con disinvoltura, riprese la sua vita normale
e seguitò a preparare i suoi figlioli per la messa domenicale e
a darci il soldino per le offerte.
La mamma non impediva a Sabina di fare quello che voleva, anzi la favoriva
nei suoi desideri, cosicché ella poté esercitarsi, nonostante
la sua cecità, in tutte le attività: cucire il corredo alla
sua bambola, ricamare, lavorare la maglia, lavare i piatti, i panni a
tenere i fratellini. Prima della disgrazia aveva appreso le prime nozioni
di cucito a ricamo da una sarta che abitava vicino a casa.
"Troppo lungo sarebbe descrivere il salto dalla luce all'ombra",
scrive lei. "Mi ritrovai rinchiusa in me stessa come un eremita nel
mezzo della società; sola con le mie idee e i miei capricci...
i pochi contatti che avevo per mezzo della scrittura finta, erano limitati
al solo necessario".
I PRIMI PASSI NEL BUIO
All'età di 10 anni, Sabina fu ammessa
nell'Istituto "Augusto
Romagnoli" allora denominato "Regina Margherita di Savoia"
di Roma. Fu la prima alunna della scuola e fu accolto con simpatia dall'insigne
Educatore, Augusto Romagnoli, il quale, proprio in quell'anno, 1926, aveva
iniziato a mettere in atto il suo Metodo d'educazione per i ciechi.
Augusto Romagnoli dava un carattere nuovo alla nascente scuola. Infatti
negli allievi, che provenivano da ogni parte d'Italia, al primo contatto
con lui, cadeva quell'impressione di paura che l'Istituto potesse essere
un carcere: i loro cuori s'incontravano in una meravigliosa intesa umana
a familiare.
Al momento di distaccarsi dalla piccola, mamma perse il coraggio. Il pensiero
di dover- la lasciare in mano a persone che non conosce-va la preoccupava.
Allora il Direttore le parlò a cuore aperto facendole questo paragone:
"Signora, quando si pota un ramo della vite, dispiace, però
poi ci si consola che il ramo prospera più degli altri".
Sforzandosi quindi di guardare in faccia alla cruda realtà, cedette
sia pure a malincuore.
Il Direttore, che mi seguiva da vicino con affetto ed interessamento paterno,
mi fece presto apprendere l'alfabeto digitale (inviatogli dallo stesso
inventore), alfabeto a dattilografia sulla mano, molto semplice, e rapido,
il quale mi rese la conversazione assai spigliata a corrente. Tanto più
che il Direttore diede disposizioni perché possibilmente tutti
nell'istituto imparassero a parlarmi; potevo così conversare, giocare,
bisticciare con tutti, come gli altri. Avendo poi quasi contemporaneamente
imparato il sistema di scrittura Braille, a scuola potei seguire normalmente
il corso allo stesso ritmo a con gli stessi programmi scolastici degli
altri".
Il Prof. Romagnoli sottopose Sabina ai primi esami, facendole toccare
gli oggetti per sentírne da lei i nomi. Rispondeva, in dialetto
abruzzese, con vivacità a prontezza. Il Professore dedusse che
Sabina non solo era recuperabile, ma era intelligentissima, sveglia a
desiderosa di conoscere tutti i perché del mondo.
Il primo passo fu quello di rendere immediata la comunicazione con lei.
Avendo ella, per fortuna, frequentato precocemente la II elementare, conosceva
le lettere dell'alfabeto. Il Professore le prese la manina, scriveva la
lette-ra "a" dell'alfabeto (con la scrittura normale dei vedenti)
a toccava la falange corrispondent ea tale lettera, cioè la prima
falange del dito pollice; scriveva "b" a toccava la prima falange
dell'índice a così ad esaurimento di tutte le falangi (Vedi
disegno).
In un primo momento Sabina pensava che si trattasse di un giochetto, ma
quando notò che si formavano le frasi a ogni insegnante le diceva
qualcosa, capi che era il mezzo per comunicare con le persone.
L'amore a il trasporto del Professore nell'educare Sabina erano grandi.
Appena ebbe imparato il "Malossi", il Direttore iniziò
la correzione della pronuncia delle parole a l'insegnamento dell'italiano
corretto
Lei aveva perso molto in questo campo durante i tre anni che precedettero
la sua rieducazione. Le insegnanti, seguendo il "Metodo Romagnoli",
le scrivevano prima la parola sulla mano, poi la ripetevano più
volte, mentre Sabina teneva le manine sulla loro gola o sulla loro bocca,
indi le ripeteva impegnandosi ad imitarle nel miglior modo possibile.
Sabina riceveva sovente visite da parte del pedagogista Lombardo Radice,
amico del Prof. Romagnoli, che rimaneva a lungo con lei per studiarne
la psicologia.
Il 23 aprile 1932 un grande dolore colpì Sabina a la sua famiglia:
il suo carissimo fratello Ettore lasciò questo mondo alla giovanissima
età di 17 anni. Si trovava allora nel Seminario della "Divina
Provvidenza" di Don Orione, a Tortona (AL).
Anche la mamma ci lasciò presto Il giorno 22 gennaio 1936, nostra
madre, verso le 8 del mattino,
All'improvviso disse: "Mi sento male ".
Il dottore disse che era una paralisi che aveva colpito tutti gli organi
superiori del corpo e che non c'era niente da fare.
Dopo un'ora la mamma ci lasciò per sempre. Aveva 46 anni.
La morte della mamma fu un terremoto vero
a proprio per la nostra famiglia. Il dolore fece soccombere nostro padre.
Egli sapeva bene cosa veniva a mancare ai suoi sei figli e a Sabina. Questa,
che era la più grande, aveva solo 18 anni e la scomparsa della
mamma era il terzo dolore; troppi per quell'età.
Per fortuna la nostra famiglia era cresciuta affiatata a in unione di
sentimenti per cui le nostre sorelle più grandine affiancarono
il babbo, prima solo moralmente a poi praticamente
Nel 1938 Sabina lasciò per sempre Roma e tornò nella casa
paterna. Attraverso le riviste e la corrispondenza, ella era informata
di tutto,
Nel 1939 entrò nell'Istituto Professionale per Ciechi di Firenze.
Papà stesso l'accompagnò.
Ma, net terzo anno scolastico, a causa della guerra, tornò a casa.
Nel 1945 espose a nostro padre il suo desi-derio di ritornare a Firenze
per sostenere gli esami dell'ultimo anno, ma egli non era di que sto parere
a non lo permise: la vita si presentava difficilissima in quell'immediato
dopoguerra. Ma Sabina, che non desisteva mai di fronte alle difficoltà,
cercò di convincerlo.
Allora intervenni io, mettendomi a disposizione di accompagnarla prima
all'Aquila, presso gli Uffici della Provincia che avrebbe dovuto accollarsi
l'onere della retta nell'Istituto, e poi a Firenze.Qui Sabina approfittò
dell'opportunità che l'Istituto le offriva pwer accrescere sempre
più il suo sapere, oltre agli studi professionali, riprese da sola
lo studio del latino le cui prime nozioni le erano state impartitedal
Prof. Romagnoli.
La ferrea volontà per lo studio a la passíone per esso,
sorpassava ogni altra esigenza per cui si ammalò a tornò
a casa.
Il babbo ne soffrì profondamente a visibil-mente
Il suo cuore traboccava di amarezza
Superata la malattia, Sabina ripres le
sue normali attività, piantando letende in casa paterna
Sabina parlava italiano perfettamente, con voce afona a un po' meccanica;
però ho notato sempre che, quando l'argomento la prende, la cadenza
diventa motto più normale.
Sabina distingue tutti i familiari a le persone che vede spesso, dalle
mani a dal gesto, a da questo, non so come faccia, deduce il carattere
della persona. Io poi tante volte, per scherzare, le bendo gli occhi con
le palme delle mani, come si fa con i vedenti a lei ride della carezza.
Iniziò a frequentare una sarta del paese,che era tecnicamente preparata.
Sabina, venuta a conoscenza del metodo di taglio e cucito CIMS, pensò
subito alle sue compagne non vedenti a si mise al lavoro per crearne un
metodo adatto per loro.
Per lunghissimi mesi si applicò ad escogi-tare tutti gli accorgimenti
necessari per tali soggetti. Si fece costruire delle righe a delle squadre
speciali ed inventò il pezzo entro cui corre l'ago della macchina
normale a ne spedì la spiegazione alla Ditta NECCHI per farselo
costruire. La modificazione di tale pezzo consisteva nel mandare diritto
il lavoro sotto l'ago a diverse distanze.
Nel 1963 papà si ammalò
e, nel giro di 5 giorni, precisamente il 4 agosto ci lasciò per
sempre.
Sabina nel dolore diede esempio di fortezza, però si vedevano le
tracce della sofferenza sul suo fisico reso più magro dalla veste
scura.
Quanto aveva fatto il babbo per lei, quanti medici aveva interpellato
a Roma a quei tempi!
Uno zio materno un giorno ebbe a dirmi:
"Se si pesassero su di un piatto della bilancia i quattrini in carta
spesi per guarire Sabina a sull'altro, lei stessa, la bilancia traboccherebbe
dalla parte dei quattrini in carta".
Anche lei, però, aveva dato tante consolazioni al papà:
quando vinse il concorso belga; quando fu d'aiuto per la formazione alle
sorelle; quando vedeva i suoi lavori, ma soprattutto quando si accorgeva
che Sabina era tornata alla normalità a all'indipendenza con la
sua forte volontà a che aveva bisogno delle sorelle soltanto per
uscire o per farsi leggere qualche brano in nero, papà ripeteva:
"Lei senz'occhi fameglio di voi!".
UN SUO RUOLO NELLA SOCIETÀ
Si era nel 1950. La corrispondenza di
Sabina si faceva sempre più intensa. Tra le lettere che le arrivavano,
un giorno ricevette quella del primo cieco-sordo malato di TBC a che,
dopo alcuni mesi morì. Prima della sua morte, volle mandarle in
regalo una bella Madonnina di maiolica, in ringraziamento del conforto
che aveva saputo dargli.
Sabina si faceva un dovere di sostenere moralmente questi compagni di
sventura a rispondeva puntualmente a tutte le loro accorate lettere. Il
lavoro aumentava sempre più. Allora, per i casi più disperati,
decise di portare conforto ed esperienza, personalmente, iniziando viaggi
ad Aquila, a Pozzuoli, a Torino, Milano, Bolzano.
I problemi di questi amici la tormentavano e lei li approfondiva sempre
più, specialmente quando seppe che molti di loro venivano abbandonati
al Cottolengo o addirittura, qualche volta, anche al manicomio, per cui
affrontò altri viaggi per constatare di persona i luoghi di ricovero.
Dopo uno studio attento e, avendo seguito per anni l'attività delle
associazioni dei decosordi inglesi, americani, francesi, tedeschi, rus
si, iniziò a tempestare alcuni Enti, perché aprissero un
settore in seno alla loro attività per la rieducazione di tali
soggetti. Anzi un giorno mi chiese di accompagnarla a Roma, perché
voleva sottoporre un programma preparato a battuto a macchina da lei stessa
a chi, secondo il suo avviso, poteva prendere iniziative a favore dei
cieco-sordi.
Ma il risultato di tale viaggio fu una sconfitta in pieno. Lungo il viaggio
di ritorno si limítò a dire: "Eppure è una cosa
urgente a importante per i ciechi-sordi che da tempo sono abbandonati".
Amareggiata, rientrò al paese.
Ma la sua volontà è una roccia a non si arrese di fronte
alle difficoltà. All'urgente necessità che lei stessa andava
constatando giorno per giorno a contatto diretto della vita dei suoi amici,
si immedesimava sempre più del problema a non abbandonò
neppure un attimo il programma preparato.
Sabina incominciava a rallentare le sue passeggiate, si buttò a
corpo morto sul lavoro. La sua stanza vide nascere la "LEGA DEL FILO
D'ORO ": già nella sua mente dal 1948 in seguito ad un articolo
sui Cíeco-sordi tedeschi. La
Lega del Filo D'Oro venne fondata nel 1964. Aveva 47 anni.
Chiese la collaborazione in famiglia. Prima fra tutte a rispondere fu
la sorella Nina che, forte della sua esperienza di lunghi anni d'insegnamento
presso la Scuola Statale per ciechi "Augusto Romagnoli". Fu
gomito a gomito con Sabina nell'impiantare l'Associazione secondo i precisi
ideali di Lei.
La prima segretaria della "Lega del
Filo D'Oro" fu infatti Nina che, con Sabina, aprì la prima
Scuola per cieco-sordi rieducabili in località "S. Biagio"
in Osimo di Ancona.
Intervistata da un giornalista del quotidiano "Tempo" nel 1966,
ecco come lei illustra la sua Opera a le finalità di essa:
"La pluriminorazione comporta una problematica che si differenzia
profondamente da quella dei semplici ciechi e dei semplici sordomuti,
che esige soluzioni pure differenti, molto più conrplesse che variano
spesso da individuo a individuo. Vi sono ciechi-sordi psichicamente normali
(e questi sono i più fortunatamente),per quelli non bisogna mai
attendere, perché il
bambino non perda nulla della parte che gli spetta nella vita - cosa possibile
solo mediante una metodologia pedagogica tutta speciale (già se
ne hanno esempi, non solamente in Elena Keller, ma i numerosi fanciulli
educati presso I'Istitzrto Perkins nel Massachussets, nella Scuola di
Condover Hall in Inghilterra, nell'Istituto di Psicologia differenziale
a Mosca) - e perché, se adulto, gli sia provveduto tempestivamente
un riadattamento adeguato - prima che la disperazione, la pesantezza oppressiva
di ambiente e di cose contrarie nell'impossibilità d'intendersi
con gli altri, non lo soprafacciano con spesso gravi conseguenze psicologiche
e sociale".
"Avevo già contatti epistolari all'estero con compagni di
diverse lingue, guando sempre più dei ciechi italiani disperati,
che perdevano I'udito e non sapevano più come internersi con le
persone che li circondavano, servendosi del metodo di scrittura braille,
mi cercano per consigli a per istruzioni sui miei stessi adattamenti alla
vita quotidiana, sul modo di comunicare e di lavorare; oppure altre persone
mi segnalavano casi che esse incontravano in diversi ambienti, chiedendomi
spiegazioni nei loro riguardi per far loro del bene. Mi resi conto allora
della loro situazione di abbandono quasi completo, senza diritti a senza
posto al sole. Tentai così di ottenere provvedimenti speciali in
loro favore presso varie organizzazioni esistenti (per ciechi a per sordomuti);
ma evidentemente, di fronte ad una problematica così complessa
nessuno si sentiva preparato: in fatti non ebbi mai una risposta fattìva.
O forse non avevo voce in capitolo neppure io? Ma esistevano queste vite,
esisteva l'imperativo del loro bisogno, superiore senza dubbio a quello
degli altri minorati.
"Perciò, conoscendo già i progressi fatti all'estero
nell'assistenza ai non vedenti privi di udito a considerato il rifiorire
della loro esisten- za in seno ad organizzazioni proprie, non appe- na
qualcuno si associò alla mia idea prestando- mi una mano, decidemmo
insieme a questi di costituire anche in Italia un'Associazione nazio-
nale per la tutela a l'assistenza dei non vedenti
privi di udito: LA LEGA DEL
FILO D'ORO -sul modello della National Deaf-Blind Helpers League (Lega
Nazionale d'Aiuto per ciechi-sordi) in Inghilterra, e con scopi più
affini a quelli del"Anne Sullivan Macy Service" negli USA.
"L'azione della Lega del Filo d'Oro è molto più elastica
a va ben più in là, che non quella degli Enti assistenziali
delle altre categorie, a causa appunto delle diverse minorazioni, spesso
associate insieme, che determinano esigenze complesse e per risolvere
le quali è necessario mettere insieme le varie competenze ed organizzare
iniziative nuove. Mentre per corrispondenza individuale intensa, in carattere
braille, cerchiamo di dare consigli a sollievo morale ai nostri associati
- e gradiscono moltissimo la corrispondenza con vedenti, che parlano loro
del mondo che si vede a si sente - provvediamo,
con i mezzi che abbiamo, al reperimento dei soggetti ancora isolati, all'accostamento
e all'orientamento di singoli individui. Sono stati visitati a domicilio
più di trenta, abbiamo fornito i mezzi di comunicazione più
adatti a ciascuno, procurati contatti sociali sul posto; abbiamo fatto
visitare qualcuno da specialisti per un eventuale miglioramento dell'udito,
eccetera. I soggiorni estivi che organizziamo annualmente, sono una parentesi
di respiro per i nostri. "Trilli nell'azzurro" è il loro
organo di collegamento d'in formazione, che cerca di portare loro "uno
spiraglio di luce ed una parola di amicizia a di gioia". Esso costituisce
altresì il loro forum, dove si discutono i loro problemi, si scambiano
esperienza a s'intrattengono familiarmente tra loro. Non vogliono stare
in chiesa come salamini, senza vedere e senza sentire niente, ma vogliono
seguire lo spirito e la parola della liturgia: perciò un reverendo
benedettino, P. Pietro Brottier, ebbe l'idea di scrivere loro, in braille,
il commento alla liturgia festiva. Finora tutto scritto a mano, milioni
di puntini fatti unoa uno... Ora però abbiamo ordinato il duplicatore
braille in Germania per fare avere a tempo una copia per ciascuno; anche
il loro giornalino lo vogliono almeno una volta al mese, a vogliono in
formazione di quanto avviene nel mondo; siamo tagliati da tutte le comunicazioni
della nostra splendida civiltà: ma non vogliamo essere indegni
di essa!
"La Lega del Filo d'Oro ha, fra le sue prinri, iniziative un soggiorno
estivo, al fine appunto di facilitare l'evasione dall'isolamento, dal
chiuso forzato a dal conseguente complesso psicologico. Un tipo di vacanza
nuovo: un arnalgama di essi a di persone normali, che si presentano intelligentemente
come guide a assistenti, e di ciechi udenti che sono spesso tra i migliori
interpreti ed amici dei loro compagni meno fortunati; assistenti ed interpreti
in numero tale da non mancare a non stancarsi nessuno, bene ficiando nel
contempo loro stessi della villeggiatura. È stata questa la saggezza
nell'organizzare l'iniziativa. È bello trovarsi per qualche tempo
in famiglia, dove ognuno ti parla, ti risponde volentieri, ti dà
subito la mano per guidarti dove desideri, per interpretarti un meraviglioso
spettacolo della natura, un paesaggio pieno di poesia che si ha in vista,
o per farti sentire arguzie, i discorsi degli uni a degli altri. È
bello poter uscire all'aperto in qualsiasi momento della giornata, a respirare
l'aria pura della montagna, godere il sole a il profumo aromatico di pineta
a di prati fioriti: a sempre in compagnia serena a gioiosa"."È
questa l'atmosfera di serena familiaritcì che ha caratterizzato
i nostri soggiorni estivi in questi tre anni".
Da guesta esperienza riacquistano fiducia in sé a negli altri,
dalle nuove amicizie intrecciano contatti epistolari più o meno
vasti, che contribuiscono a rendere ancora più viva a più
serena la loro
esistenza guotidiana". I cieco-sordi appena seppero dell'istituzione,
gioirono efurono felici perché si sentirono finalmente uniti, accomunati,
quindi ringraziarono,e benedirono perché era sorta la loro alba.
Questa minuscola Associazione, con carattere del tutto familiare, inizia
i primi passi con un piccolo numero di collaboratori volontari che, senza
perplessità, si mettono in marcia dando luogo a svariate iniziative.
Si forma il Consiglio, s'inizia il tesseramemo dei soci, si prepara la
stampa, hanno inizio i contatti con Uffici vari, si presenta il pri-mo
Benefattore, il Signor Aldo Valcavi, che offre, con umiltà, alcuni
terreni con la casa colonica, ad Osimo di Ancona.
Con i primi atti di coraggio, s'iniziarono i soggiorni montani cui partecipano
i pionieri: Salvatore, Angelo, Amelio a le prime donne: Elia, Maria Soma,
Santina, Rita a la sorella Maria.
Solo a distanza di anni Sabina potè avere un gruppo di assistenti
volontari, debitamente preparati dal nostro compaesano Mario Raglione
nel vicino paese di Luco dove lui insegnava. Il gruppo ancora oggi esiste
a si rinnova con altre giovani leve man mano che qualcuno di essi si sposa
o prende lavoro. Al Prof. Mario va grande riconoscenza.
Dopo il primo anno di vita dell'Associazione, Sabina nel dicembre 1965,
riceveva a Milano il "Premio Motta della Notte di Natale" per
la Bontà. (Cfr Domenica del Corriere del 24 dic.1965).
Questo fu per Sabina un'occasione molto consolante da una pane a provvidenziale
dall'altra perché il "Premio Motta" da 1 milione, servì
per la prima pietra dell'Associazione.
Sì, in queste iniziative, squisitamente ed altamente morali a sociali,
prevale il giusto riconoscimento della vera bontà visto alla luce
della realtà.
L'Associazione, sia pure con sacrifici, va avanti; agli associati effettivi
si uniscono gli associati vedenti che contribuiscono moralmente ed economicamente
(secondo le loro possibilità).
Tutto il lavoro che scaturisce dall'elaborazione dei programmi, le relazioni
per i vari Ministeri, la stampa e tutta la corrispondenza, Sabina se la
sbriga da sé con quella piccola macchina "Olivetti" facendo
grosse sgobbate a rubando ore al sonno. Infatti non ha ancora una Segreteria
particolare per non pesare sulle spese dell'Associazione.
Il 17 luglio 1966 la Lega del Filo d'Oro viene ricevuta in udienza privata
da Sua Santità il Papa PAOLO VI, e all'uscita ebbe , ad esclamare:
"Oggi mi sono consolato".
Quell'udienza è rimasta il più grande avvenímento
nella storia di questo piccolo drappello che si era messo in cammino ,consolati,
incoraggiati e la benedizione di Pao-Io VI lí accompagnò.
Ecco ciò che scrisse "L'Osservatore Roma-no" del 29 luglio
1966 n. 173:
"PATERNE ACCOGLIENZE DI SUA SANTITÀ A UN PELLEGRINAGGIO DI
GRANDI SOFFERENTI ".
Per l'Udienza generate di ieri, mercoledì,
tra i gruppi annunciati era quello di alcune cieco-sordi, di recente associate
in un sodalizio di alta a cristiana fraternità, sorto nella Diocese
dei Marsi, e denominato "La Lega del Filo d'Oro". Ne fanno pane,
oltre coloro che sono colpítí dalla tremenda sventura dí
aver perduto la vista, l'udito ela favella, anche altri non vedenti che
assumono l'ufficio di essere essi stessi i più viciní consolatori
deí píù provati fratelli.
La Lega ha avuto l'approvazione a riceve l'incoraggiamento a l'appoggio
del Vescovo Diocesano, S.E. Monsignore Domenico VALERI.
Con atto di squisita bontà il Santo Padre hadisposto che il gruppo,
anziché essere accolto con gli altri pellegrinaggi nella grande
aula del-le udienze, salisse al palazzo pontificio: ed ivi,nella sala
detto dello Svizzero, è avvenuto l'incontro del Padre di tutte
le anime con questi carissimi fedeli".
Domenica 16 Aprile 1967 S.S PAOLO VI ricevette il Comitato Internazionale
per lo studio e la soluzione dei problemi pertinenti ai cieco-sordi e
ciechi sordomuti che fanno capo all'Organizzazione Mondiale per la Protezione
Sociale dei Ciechi (The World Council for che welfare of che bling). Anche
Sabina partecipò a tale incontro in rappresentanza dell'Associazione
vigente in Italia.
"Da tre anni anche in Italia esiste un'Orga-nizzazione analoga, con
gli stessi scopi: la "Lega del Filo d'Oro", ormai conosciuta
ed incoraggiata dalle Autorità Religiose a Civili". ("Osservatore
Romano" del 16 aprile 1967).
Il giorno 8 luglio 1967, apparve sulla "Gazzetta Uf ficiale"
il Decreto Presidenziale che erige la "Lega del Filo d'Oro"
a Ente Morale.
Nell'ottobre 1967, coraggiosamente, l'Associazione ha aperto la prima
scuola in Osimo di Ancona, e questa ha accolto i primi quattro bambini
cieco-sordi, avviati all'istruzione e il progresso civile che formano
il vero cittadino italiano.
La realtà quasi sempre non traduce in opera l'idea né tanto
meno l'ideale. Per questo i fondatori nella fase della realizzazione della
loro opera si sono sentiti traditi e a volte emarginati.
È capitato anche a Sabina un fatto del genere, quando vedeva che
la sua opera prendeva una piega che non rispecchiava la sua idea, le sue
intenzioni e i suoi ideali.
. Spese tutte le sue energie per raddrizzare le distorsioni del suo ideate
con grande forza d'animo a carità cristiana. Ma nel 1969
Sabina rassegnò le dimissioni da presidente della Lega del Filo
d'Oro.
Nel 1971 vinse un concorso pubblico presso l'U.LC. di Roma in qualità
di coadiutore per il settore "cieco-pluriminorati" e vi rimase
fino al 1979. In questo arco di tempo Sabina potè in
svolgere una fervente attività per i suoi cieco-sordi.
Sabina aveva 63 anni, quando la Prefettura
di Roma dava inizio ai corsi sull'uso dell'Optaco Esso è un apparecchio
che serve ai ciechi per leggere la scrittura in nero dei vedenti.
Fece domanda per essere ammessa. In via del tutto eccezionale, a causa
della sua età, fu accettata "per motivi di studio a di lavoro".
Iniziò il corso.
Gli apparecchi Optacon, per motivi burocratici, vennero distribuiti con
ritardo, intanto lei cessò il servizio a Roma e non lo ebbe più.
Tornando in Abruzzo, con la sua pazienza, dovette fare richiesta dell'apparecchio
alla Regione Abruzzese e, dopo parecchio tempo, lo ebbe, però aveva
perso l'esercizio e dovette riprendere daccapo.
Nel 1982 Sabina fu chiamata a far parte della Commissione Nazionale del
Lavoro sempre per ciechi pluriminorati, alla quale diede il suo contributo,
reso prezioso dalla sua esperienza insistendo su una fondamentale distinzione
tra ciechi minorati solo nei sensi e quelli pluriminorati psico-sensoriali.
Sabina ebbe il compito dall'U.I.C. (Unione Italiana Ciechi) di formulare
un questionario per il censimento in tutto il territorio italiano
Nel novembre del 1976 uscì il primo
numero della rivista "Voce Nostra". Infatti Sabina chiese ed
ottenne dall'U.LC. la pubblicazione di una rivista bimestrale per cieco-sordi
in braile. Anche questa iniziativa tornò a grande vantaggio dei
cieco-sordi, perché questi (se si considera che sono elementi che
vivono in un mondo chiuso) vengono messi in comunione con i loro compagni
di sventura a quindi a riconoscersi negli stessi problemi, a scambiarsi
idee, a discutere a ad esprimere i loro pensieri. Ciò significa
farli uscire dall'isolamento a dall'emarginazione. Come facesse Sabina
a preparare il materiale necessario e a mandare avanti per lunghi anni
la rivista, da sola, con precise scadenze, Dio solo llo sa. Si può
dire con certezza che ricavava le sue energie dall'amore per gli altri.
Nel 1978 si presentò a Sabina una
splendita occasione di arrivare nella mente a nel cuore dei cieco-sordi
e fare loro tanto bene. L'U.I.C. Provinciale di Firenze, allora teneva
la rappresentanza in Italia della Hadley Corrispondence School for che
Blind di Vinnetka, ILINOIS (USA) operante in tutto il mondo, propose a
Sabina di tenere un corso per corrispondenza intitolato "Vivere indipendente
senza la vista e l'udito" per cieco-sordi italiani. Sabina accettò;
le diedero ufficialmente l'incarico con la nomina d'insegnanteTradusse
dall'inglese il libro di testo "Independent Li-ving Wuthout Sigth
and Rearing" del dr. Richard Kinney, lui stesso cieco-sordo, educatore
ed allora Presidente della Scuola Hadley
Ultima iniziativa, molto interessante che l' U.I.C. le consentì
di fare, fu un concorso letterario a premi per soli cieco-sordi. Ai dieci
correnti furono assegnati due dei temi a scelta.
Il risultato fu una vera rivelazione, perché nei racconti venne
alla luce, chiaramente, che i cieco-sordi minorati solo nei sensi e non
psichi-camente, sono, non solo persone recuperabili,ma, anche capaci se
appena aiutati e inserirsi o reinserir-si nella società come elementi
utili a attivi.
Nel 1 ° luglio del 1980, con la riforma saneitaria si sciolsero gli
Enti a anche l'U.I.C. da Ente- parastatale, tornò ad essere privato
e acioè Ente Morale. Allora Sabina, come tutti i dipen-denti degli
Enti disciolti, fu trasferita prima ai Ruoli Unici a poi al Ministero
della Pubblica Istruzione con distaccamento presso la Scuola Statale "A.
Romagnoli", nella stessa scuola dove guarda caso, Sabina fu la prima
alunna.
A Roma rimase fino al 1982 del giugno di tale anno perché messa
a riposo d'Ufficio, secondo le disposizioni di legge, per raggiunti limiti
di età.
Nel 1983 Sabina fa ritorno in Abruzzo, al suo paese natale: S. Benedetto
dei Marsi (AQ).
Nel 1982 vi è stato un riavvicinamento del-la Lega del Filo d'Oro
a Sabina, che fu felice di riprendere il lavoro nell'associazione che
lei aveva promossa a fondata.
Nel 1986-87 Sabina propose alla Lega del Filo d'Oro un concorso a premi,
per soli cieco- sordi, in occasione del 50° anniversario della morte
di Eugenio Malossi sull'importanza del metodo digitale che lui stesso
- divenuto cieco-sordo - inventò.
Un altro lavoro è stato quello della preparazione del materiale
documentale della "Storia della Lega del Filo d'Oro".
Mons. Biagio Terrinoni incontra spesso Sabina, a si ingegna a parlarle
sul palmo della mano con il metodo Malossi; è lieto di vederla
negli incontri organizzativi, in prima fila ai Convegni diocesani. Recentemente
il Vescovo ha fatto conoscere al Santo Padre Giovanni Paolo II la storia
di questa esile marsicana settantenne; nella lettera gioiosa a confidenziale
l'ha presentata al Papa come donna di fede a di carità, preziosa
come Madre Teresa di Calcutta, la nostra Madre Teresa di Calcutta.
La risposta del Sommo Pontefice non si è fatta attendere. Il 22
luglio 1987 Sabina è stata insignita dalla Santa Sede dell'onorificenza
"Pro Ecclesia et Pontifice".
Nessuna donna della Marsica ha
avuto mai tale onorificenza.
Stringendo sempre più i rapporti con la Caritas Diocesana di Avezzano
per i ciecosordi, Sabina ebbe l'incarico da Mons. Vittorio Biagio Terrinoni
di responsabile diocesana di tale settore. E lei, approfittando di ciò,
ha voluto formare un gruppo di volontari parrocchiali, sotto la responsabilità
di un nostro sacerdoto compaesano, Don Francesco, per prestare aiuto a
assistenza a chi nel paese, ne avesse avuto bisogno. Nel giro di un anno,
infatti, con la sovraintendenza del Presidente della Caritas diocesana
Don Antonio Sciarra, sono state realizzate già concrete iniziative
molto bene riuscite.
È di questi giorni la notizia che dall'Unione Italiana Ciechi Sabina
è stata invitata a panecipare ed ha partecipato ad un Congresso
Europeo dei cieco-sordi che si è tenuto a Londra dal 21 ottobre
1988.! Sabina ha 71 anni, non risparmia se stessa,
la Forza di Dio è in lei perché l'ha designata per i suoi
compagni cieco-sordi a lei va senza mai fermarsi: ...."nella vecchiaia
daranno ancora frutti a saranno vegeti a rigogliosi" (Salmo 91).
Oggi possiamo dire che hanno vinto, la
loro presenza è accettata ovunque, nelle farmglie e sul campo del
lavoro.
Hanno vinto silenziosamente, guadagnato giorno dopo giorno, il loro posto
nella società e il loro diritto a vivere con gli altri, come gli
altri.
Privi della vista e dell'udito, spesso anche della parola, camminano per
i sentieri bui e silenziosi dell'universo, senza cielo, non vedono i colori
e i suoni della natura, ma hanno e sviluppano un mondo interiore immenso
con i suoi cieli e i colori e le note e le musiche e le sinfonie che si
incrociano a si fondono nel profondo dell'animo. Perché i veri
cieli infiniti l'uomo li ha dentro di sé e li contempla ogni volta
che intorno a sé si fa buio e silenzio.
Già, proprio nel buio e nel silenzio si sprigiona la potenzialità
creatrice dell'uomo. E ogni volta che l'uomo crea si apre per lui un nuovo
giorno.
Anche Dio creatore si mosse, all'inizio, nelle tenebre: la terra era disadorna
e deserta,c'erano tenebre sulla superficie dell'abisso e lo ''spirito
di Dio aleggiava sulle onde delle acque. E Dio disse: "Vi sia
la luce! ". E la luce vi fu.
Tratto da " Una italiana
cieca e sorda" di Loda Santilli ed Casa Gastaldi di Milano-1968
Sabina è
morta a San Benedetto dei Marsi il 12 ottobre 1999