Formaggio
: si parte dall'erba.
di
Bruna CArdinale
Il
nuovo marchio del "Formaggio sotto il cielo" si propone
qualità e tradizione
Qualità
e tradizione, ne sentiamo parlare così tanto, ma probabilmente
senza esserci mai soffermati sul significato e su come
contribuiscono a differenziare un prodotto dall'altro. Sono molte le
ricerche che si stanno conducendo in materia e di conseguenza anche
le discussioni per teorie contrastanti, ma è risultato
particolarmente interessante uno studio "innovativo " nel
settore dei formaggi. Potrà apparire strano, ma in questo caso le
ricerche non sono condotte sul latte, ma sull'alimentazione degli
animali e nello specifico sull'influenza dei pascoli nella qualità
del formaggio: ad interessarsi di questo studio è l'Istituto
sperimentale di zootecnica di Bella (Pz).Inizialmente
il risultato potrebbe sembrare di scarso interesse se lo
valutassimo solo per degli allevamenti ovicaprini che possiamo
normalmente trovare al pascolo, ma diventa del tutto
"alternativo" se si pensa di estenderlo ai bovini,
presenti quasi esclusivamente in allevamenti stallini. Tra insilati
e concentrati, sembra quasi fuori luogo proporre erbe fresche da
ruminare direttamente sul prato proprio perché la prima voce del
bilancio di un'azienda che deve ridursi è quella delle spese,
mentre questo progetto che si sta tentando di portare avanti punta
alla qualità. Per questo motivo il direttore dell'istituto, il
dott.Roberto Rubino si definisce un "Don Chisciotte"
nell'impresa ardua, ma è convinto che il mercato sta evolvendo
verso prodotti di nicchia, prodotti di alta qualità che ben presto
riusciranno a proporsi al consumatore come alternativa di quelli
ormai già affermati sulla piazza. Sicuramente un produttore di
Parmigiano Reggiano non prenderà mai in considerazione una proposta
del genere, perché il pascolo certamente non garantisce una
omogeneità di prodotto come quella richiesta in questi casi. Ma
anche questa indicazione viene considerata dai promotori come un
indice di genuinità, perché tutto si richiede, piuttosto che
l'omologazione del prodotto. Risulta quindi fondamentale
decidere a priori il fine che si vuole raggiungere, anche prima
della razza da
utilizzare: infatti per ottenere alcuni formaggi il latte deve
presentare determinati valori proteici e quantitativi di grassi che
forse un pascolo non sarebbe in grado di dare con costanza; inoltre
la produzione di latte deve essere piuttosto elevata per poter
ridurre i costi e i pascoli da questo punto di vista non sono stati
abbastanza competitivi. Naturalmente anche su questo punto in
istituto sostengono il contrario ed affermano che il problema sorge
dal momento in cui l'unico termine di paragone rimane l'allevamento
stallino in cui gli animali vengono messi nelle condizioni di
produrre solo quanto più possibile. Ma come proporre un sistema di
allevamento così eccessivamente "alternativo" quando
tutti gli altri remano nella direzione opposta? Solo la pubblicità
e quindi la conoscenza di un'alternativa
di qualità da parte dei consumatori potrà realmente fare la
differenza, solo un discorso del genere potrà intervenire per
tentare di reintrodurre quelle razze autoctone presenti soprattutto
nel Sud Italia che
purtroppo sono state sostituite da quelle ad elevata produzione,
quelle che comportano ricavi maggiori a scapito della tradizione. Si
pensi al caglio di capretto, sostituito per gran parte da quelli
prodotti artificialmente, che oggi viene riscoperto come
anticancerogeno rivalutando anche la piacevole nota piccante che
riesce a conferire ai formaggi. E' necessario quindi valorizzare il
formaggio creando un legame indissolubile con la razza dalla quale
proviene e quindi con il territorio e la tradizione. Infatti si
spera in questo modo di portare avanti la tradizione dei prodotti
regionali che in previsione della coscienza che i consumatori
acquisteranno in futuro è necessario non perdere. Unire tradizione
e qualità potrebbe essere una mossa vincente per contrastare la
grande produzione delle industrie del nord: solo così infatti la
mozzarella di bufala campana è riuscita a farsi strada sul mercato
mondiale. In questa ottica l'istituto ha richiesto il marchio dop
alla CE per tutti i formaggi ottenuti da animali allevati al
pascolo, ma ovviamente non è stato concesso perché in questo caso
non esisterebbe la tipicità di un unico prodotto. In seguito a
questa negazione questi formaggi sono stati registrati con il
marchio "Formaggi sotto il cielo" proprio per dare ai
consumatori la certezza di un prodotto che è legato al territorio,
che nasce da un'attenta lettura del paesaggio ricavando le risorse
che quest'ultimo è disposto ad offrire ed ha come scopo la qualità.
La perplessità che nasce da tutta questa teoria riguarda il
rapporto qualità/prezzo dei prodotti che ne derivano: visto il loro
costo più elevato, potranno essere disponibili "per tutte le
tasche"? Purtroppo qualsiasi attestazione di specificità o di
qualità comporta comunque dei costi maggiori, ma la qualità non può
badare al prezzo altrimenti si rischia di confondere la mozzarella
di bufala con quella che si vende nei supermercati, perdendo anche
il pregio del prodotto. Purtroppo
ci sono ancora molte persone che non riescono ad apprezzare i
sapori genuini dei prodotti tradizionali: si spera in una cultura
che possa evolvere in questo senso, anche perché ci si sente
incompresi, come un artista che non riesce a comunicare il messaggio
profondo nascosto nella creazione di un'opera.