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ROMAGNA PREROMANA

La celtizzazione della Valle padana

PAGINA INIZIALE RAPPORTI CON ALTRI POPOLI
   
CHI VIVEVA IN EMILIA-ROMAGNA PRIMA DEI CELTI I CELTI CONTRO ROMA
   
LA CELTIZZAZIONE DELLA VALLE PADANA LA PROGRESSIVA COLONIZZAZIONE ROMANA


Il nome "Celti"
La "Vulgata"
In tempi storici
Espansionismo celtico
Aspetti culturali
I Boi nel bolognese

 

Come deve essere corretta la "Vulgata" storica sui Celti "invasori" della Valle padana
Nonostante il quadro che si presenta agli storici odierni è quello di una frequentazione pacifica tra Celti e popoli italici, fatta di contatti di vicinato che si prolungarono per secoli, si è creduto fino a non molto tempo fa che i popoli celtici fossero notevolmente distanti non solo geograficamente, ma anche culturalmente, dagli italici.
Vi è chi, come Ogilvie, per lungo tempo ha pensato in questi termini: «I Celti erano ancora un popolo allo stato tribale, la loro cultura era ad un livello nettamente inferiore a quella italica dello stesso periodo, mentre la pressione della popolazione e la carenza di terra era così acuta» che l'invasione della Valle Padana nel corso del V secolo divenne inevitabile. Per cui la calata di genti celtiche a partire dal V secolo venne dipinta per lungo tempo come la discesa di popoli estranei, meno civilizzati e quasi "sconosciuti" in una terra ricca e appetibile.
In Italia si potevano leggere pareri concordanti con quello di Ogilvie. Torelli, per esempio, scriveva che l'enorme sviluppo socio-economico della Gallia centrale tra VII e VI sec. a.C. «presupponeva accumuli di ricchezza e surplus adeguati ad uno sfruttamento di forza lavoro tale da poter richiedere un provvedimento di ver sacrum (primavera sacra: migrazione e colonizzazione di terre nuove)» come quello che ebbe per protagonista Belloveso e che viene parimenti raccontato dalla tradizione.
Tradizione cui si attinse fedelmente e acriticamente per creare l'opposizione semplicistica tra la barbarie dei Celti e la civiltà del mondo mediterraneo. La "Vulgata" poggiò principalmente sul racconto di due storici antichi: Polibio e Tito Livio.
Tito Livio distingueva cinque successive ondate di gruppi celtici, secondo lo schema fisso dello scavalcamento delle prime aree insediate. Così i primi a scendere in Italia furono i Biturigi di Belloveso; nella seconda ondata i Cenòmani si stanziarono nell'area bresciano-veronese al di là degli Insubri (considerati indigeni dai romani); terzi furono Libui e Salluvi (che poi si fusero con gli Insubri); i Boi, arrivati più tardi, passarono il Po con i loro alleati Lingoni; infine i Sénoni, nell'ultima ondata, oltrepassarono i Boi e i Lingoni per occupare l'estremo lembo della pianura padana e parte del Piceno.
Polibio scriveva, verso la metà del II secolo: I Galli che frequentavano gli Etruschi a causa del vicinato e avevano osservato con invidia la bellezza del paese, con un futile pretesto li attaccarono di sorpresa con un grande esercito, li cacciarono dalla regione del Po ed occuparono essi stessi la pianura (II, 17).

Oggi si osserva opportunamente: «L'invasione è presentata come un avvenimento inatteso, che faceva seguito a un periodo di relazioni pacifiche» (Kruta).
Pagina dal sito "CelticWorld" che spiega i grandi meriti dell'opera di Venceslas Kruta.

Contro le spiegazioni ad hoc

Oggi la veridicità di queste descrizioni è messa in dubbio. Esse fanno parte di una tradizione storiografica che dà conto della realtà storica in modo molto indiretto. Una spiegazione coerente dei fatti richiede invece una chiave di decifrazione basata sulle testimonianze materiali ritrovate in loco. La ricerca archeologica e recenti ricerche linguistiche «hanno permesso di riconsiderare la questione e di disegnare un quadro che rivela il posto importantissimo occupato dal popolamento di origine celtica nell’Italia settentrionale, e il ruolo fondamentale che ebbero le intense relazioni tra i Celti d’Italia - a contatto con Etruschi e Greci - e i loro congeneri transalpini» (Kruta e Manfredi).
Qual è il quadro che fornisce l'archeologia? La prima celtizzazione della Gallia Cisalpina viene individuata, nel fondamentale testo "I Celti in Italia" di Venceslas Kruta e Valerio Manfredi (1999), già nell’Età del Bronzo. Inoltre, alla fine dell'VIII sec. a.C. è attestata nel nord Italia la presenza delle tribù celtiche che apportano nella Valle padana le prime conoscenze dell'Età del Ferro. Kruta rileva che: «I Celti cosiddetti storici (assimilabili alla Cultura lateniana, V sec.) corrispondono solo a una frazione dei popoli di lingua celtica che vivevano in Europa alla metà dell'ultimo millennio a.C.». Tra di essi va inclusa certamente la cultura di Golasecca, che si diffuse nell'arco prealpino tra Lombardia e Piemonte. Quindi gli Insubri e i Cenòmani esistevano già in tempi protostorici negli stessi luoghi dove li ritroviamo in tempi storici, ancora prima delle migrazioni transalpine.
Come il popolo etrusco si è formato sul substrato villanoviano, così le genti insubri e cenòmane si sono formate sul substrato golasecchiano.

Un'altra descrizione convincente è contenuta nel sito Storia di Milano. Eccone un estratto:

Sul Ticino Belloveso e i suoi si scontrano con gli Etruschi. La cronologia lunga che si attiene al brano liviano è stata respinta fino a poco tempo fa dagli archeologi perché era ritenuta impensabile una presenza etrusca in Val Padana nel VII-VI sec. a.C. Il fatto che Belloveso si fosse scontrato con dei Tusci per entrare in Val Padana faceva deporre per un ingresso dei Galli in un'epoca più recente di quella stabilita da Livio. Nel 1984 si rinvenne a Rubiera (RE) un cippo in arenaria finemente decorato che menziona uno zilath, un plenipotenziario etrusco a custodia del confine occidentale del territorio etrusco-padano, per sbarrare l'accesso ai Galli, che già da tempo commerciavano con l'Etruria.

Nel complesso, ciò che dovrebbe colpire nei rapporti tra gli Italici e i Celti non è tanto la penetrazione di massa verso sud avvenuta nel V secolo di questi ultimi, ma l'intensa influenza culturale che i Celti continentali ricevettero dai centri della nostra penisola per via dei rapporti continuativi stabili da secoli. Le classi agiate effettuavano scambi commerciali al di qua e al di là delle Alpi ben prima del V secolo a.C.: anche presso i Celti c'era infatti un'élite molto sviluppata, in grado di trattare alla pari con le élite italiche. Sicuramente una delle prime aree celtiche interessate a questi scambi fu quella intorno alla pòlis di Massalia (Marsiglia), la colonia fondata dai greci di Focea, proprio quella che coniò il nome keltòi.

Altro che minaccia celtica: quando gli Etruschi si affacciano sulla Valle Padana e intuiscono le grandi possibilità economiche del territorio esisteva già una rete commerciale che collegava il centro europa (Celti in primis) con l'Adriatico. Gli Etruschi non fanno altro che inserirsi in questa rete. Sapientemente fecero della pianura Padana il centro della trasmissione dei prodotti forgiati nelle officine bronzistiche dell'Etruria tirrenica verso la Grecia da un lato e verso le popolazioni del nord Europa, prima fra tutte quella dei Celti.
Ancora: Spina serviva per immettere i propri prodotti sul mercato greco, mentre la fondazione di Modena garantiva i contatti con il mondo transalpino, celtico in primis. Quindi furono gli Etruschi a cercare contatti con il mondo celtico.

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I Celti d'Italia in tempi storici