La celtizzazione della Valle padana
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Aspetti culturali
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Polibio (201-120 a.C.) scrive che i Celti praticavano l’agricoltura
e la guerra. Non a caso i Celti sono stati più volte definiti
un popolo di contadini e guerrieri. Riguardo l'agricoltura, è lo storico
romano che parla diffusamente della produzione di vino da parte dei Celti d'Italia
(com'è noto, i transalpini non conoscevano la vite, ma bevevano la birra
e il sidro). In Etruria e nella Gallia cisalpina le piante vive più usate come
sostegno della vite erano l’acero, il pioppo e l’olmo. La produzione raggiunse
livelli così alti che il vino padano divenne noto in tutta la penisola
per il suo basso costo. Una volta romanizzata, alla Gallia Cisalpina venne imposta
da Roma la riduzione della produzione di vino del 50% poiché influiva negativamente
sui prezzi del mercato latino.
Sempre secondo Polibio i Celti avevano come proprietà solo bestiame e
oggetti preziosi, beni che potevano trasportare agevolmente; la terra era proprietà
comune del clan e veniva data in gestione a chi la chiedeva. Il popolo era guidato
da capi il cui potere era commisurato al numero dei sottoposti. I ritrovamenti
archeologici confermano questo quadro solo per il periodo halstattiano; mentre
i Celti di cultura lateniana e i Celti in epoca storica esercitavano anche attività
commerciali. In quest'epoca chi aveva più bestiame oppure attività
commerciali gestiva il potere economico ed era il capo della tribù.
Alcuni Celti adottarono per la scrittura della propria
lingua una varietà alfabetica nord-etrusca che oggi viene chiamata leponzia.
Sembra (Solinas) che all'uso di questo alfabeto invece di quello latino fosse
connessa l'ideologia di un "alfabeto nazionale celtico", cioè
l'affermazione della propria identità etnica rispetto ai romani.
Immagini di iscrizioni
celtiche eseguite in Italia.
Solo nell'area Celto-ligure è attestata la battitura della moneta
da parte di genti celtiche. Ebbe inizio nella seconda metà del III
secolo. Le monete coniate dai Celti erano prodotte sul modello delle monete
di Marsiglia. Sono state trovate monete celtiche in tutta la Cisalpina e anche
nel resto della penisola. Complessivamente, però, la moneta era un fatto
culturale estraneo al mondo celtico. La moneta, infatti, era usata solo per
gli scambi con l'estero. I Celti non usavano la moneta per i commerci interni,
che probabilmente avvenivano ancora in forma di baratto.
Conosciamo ben poco della presenza celtica nei centri fondati dagli etruschi.
Prendiamo il caso dei Boi: il loro territorio era costituito da piccoli insediamenti
sparsi a macchia di leopardo e da fattorie per lo più isolate. Crawford:
"Questo significa che anche se una monetizzazione avesse potuto essere
utile, le strutture tipicamente urbane che avrebbero potuto permettere l'organizzazione
di una monetazione non esistevano." Sappiamo comunque che anche presso
gli Etruschi la monetazione ha avuto poca importanza, quindi è possibile
che la tradizione etrusca abbia avuto una certa influenza sugli usi dei Celti.
La moneta fu introdotta nella Cisalpina orientale dai Romani, con inizio probabilmente
durante la guerra annibalica (fine III secolo a.C.).
I Celti si insediarono rapidamente nel territorio padano, che
a quel tempo si ritiene fosse ancora semidisabitato. L'ambiente della
pianura padana era dominato dalle selve e dalle paludi. Il territorio ricco
di umidità favoriva la crescita di grosse querce, che formavano vere
e proprie foreste. L'abbondanza di ghiande, a sua volta, facilitava l'allevamento
di suini.
L’incremento della popolazione nei territori cisalpini durante i secoli IV e
III fu costante; si ritiene che i Celti in Italia abbiano toccato, se non superato,
le 300mila unità, donne e bambini compresi. La popolazione era distribuita
maggiormente nelle campagne, infatti i Celti, dediti all’agricoltura e all’allevamento
del bestiame, erano soliti vivere in piccoli villaggi sparsi nel territorio
e non cintati da mura. Ma i Celti hanno anche fondato numerose città,
soprattutto nella Transpadana:
- ad ovest del Ticino: Novara, Vercelli, Biella (Bugella) e Ivrea (Eporedia);
- ad est del Ticino: Milano (dal celtico Medhelan, dove medhe sta per
"centro" e lanon significa "santuario"), Lodi, Bergamo, Brescia (Brixia),
Verona, Vicenza e Trento.
È possibile dire che Celti si adattarono completamente all'ambiente urbano etrusco-italico? La realtà storica, anche in questo caso, è più complessa. I Celti prediligevano da sempre la vita in campagna; erano privi di un'organizzazione centrale, però tra loro erano costantemente connessi - come scrive Lug A. Silcan - “da una fitta rete di collegamenti linguistici, culturali, commerciali e financo di parentela, che portava, se non proprio a una unione politica, almeno a una continua osmosi culturale fra le varie nazioni Celtiche.”I Celti quindi erano una cultura piuttosto che un solo popolo; ogni tribù era ben distinta dalle altre, ciascuna con un proprio antenato comune e caratteristiche riconoscibili. Più che di popolo celtico, bisognerebbe in realtà parlare di insieme di nazioni celtiche.
Presso i celti, quindi, era sconosciuto il concetto di "capitale" come centro metropolitano che controllasse la gestione delle risorse umane ed economiche. Non avevano cioè un centro politico da cui partissero le decisioni in materia politico-militare. Nella società celtica, inoltre, mancava la figura di un sovrano dotato di ampi poteri, sul modello del 're'. Era invece una società diretta da potentati locali, aristocrazie guerriere autonome sulla propria area, senza saldi vincoli coi centri abitati di maggiore entità. Per questo motivo, la sottomissione dei Celti da parte dei romani dovette avvenire sottraendo la terra palmo a palmo ai suoi abitanti.
Le popolazioni celtiche rappresentano la matrice etnico-culturale
principale degli abitanti della Valle Padana, la quale può pertanto essere
definita una regione storico-geografica.
Le manifestazioni principali della celticità nell'Italia pre-romana furono:
il carro a due ruote, le bardature dei cavalli, la lavorazione al tornio della
ceramica, gli ornamenti personali (dai vari tipi di fibule agli orecchini, ai
bracciali, agli anelli) e i servizi da mensa. I Celti diffusero in Italia invenzioni
come la botte a doghe (listelli) di legno, ben sigillate da una pece ottenuta
con stupefacente lavorazione (la botte soppiantò l'uso delle anfore per
il trasporto del vino), il carro da guerra e i pantaloni, indumento di derivazione
asiatica (Sciti), del tutto sconosciuto tra i popoli italici.