a presenza dell'Italia al
centro del Mar Mediterraneo, fino al 1911, non è supportata da alcun
patto strategico. L'antico Mare Nostrum è indubbiamente degli altri o di
tutti per meglio dire. La Francia
che occupa l'Algeria già dal
1831 e la Tunisia, ha mire anche sul Marocco e l'intera Africa subsahariana
!!. L'Inghilterra occupa la rocca di Gibilterra, Malta, Cipro nonché il
canale di Suez, poi (benché
ci siano ancora i Turchi) Egitto e Sudan dove spadroneggiano a
piacimento considerandoli cosa loro. La
nostra partecipazione alla Triplice Alleanza con Germania (che pure si
allarga in Africa) e Austria ci
ha fatto tacitare
l'irredentismo delle province Trentine, Giulio-Istriane e Dalmate, e
riconosciuto in cambio (bontà loro) eventuali espansioni territoriali in Libia
e nei
Balcani a danno dell'impero ottomano, vedi caso, puntellato poi dai tedeschi. Era stato lo stesso cancelliere Bismarck, dopo la
sconfitta dei Francesi a Sedan, ad indirizzare il senso di frustrazione
della nuova Repubblica Francese verso Tunisia e Marocco e ad invitarci, per
bilanciare l'Inghilterra, ad occupare la Libia (che un padrone l'aveva
anche se debilitato).
Per motivi finanziari
(ricorrenti e soliti), respingiamo l'invito, ritenendo in ogni modo la cosa come
fatta ?!. Nel 1896 con un accordo coi francesi cerchiamo
di tutelare almeno gli italiani di Tunisia, più numerosi dei francesi per
conterranea antica emigrazione. Le tensioni con l'Austria ritornano nel
1908 quando questa si annette la Bosnia Erzegovina con capitale
Sarajevo in barba ad ogni convenzione o accordo, cosa che noi invece
siamo (o saremmo) tenuti ad osservare.
Terzo trattato della
Triplice Alleanza, Art. 7. Berlino, 6 maggio 1891.
“L’Austria-Ungheria e l’Italia, non mirando che al mantenimento, in
quanto possibile dello status quo territoriale in Oriente, si impegnano
ad usare le loro influenze per prevenire qualunque modificazione
territoriale che potesse portare danno all’una o all’altra delle Potenze
firmatarie del presente trattato. Esse si comunicheranno a tale scopo
tutte le informazioni suscettibili di illuminarle mutualmente sulle loro
proprie disposizioni come su quelle di altre Potenze. In ogni modo nel
caso che, in forza degli avvenimenti, il mantenimento dello status quo
nelle regioni dei Balcani o delle coste e isole ottomane nell’Adriatico
e nel mare Egeo divenisse impossibile e che, sia in conseguenza
dell’azione di una terza Potenza, sia altrimenti, l’Austria-Ungheria o
l’Italia si vedessero nella necessità di modificarlo con una occupazione
temporanea o permanente da parte loro, questa occupazione non avrà luogo
che dopo un preventivo accordo tra le due potenze, basato sul principio
di un compenso reciproco per qualunque vantaggio, territoriale o d’altra
natura, che ciascuna di esse ottenesse in più dello statu quo attuale, e
che dia soddisfazione agli interessi e alle pretese ben fondate delle
due parti”. Conrad, Capo
di Stato Maggiore dell’esercito asburgico, a crisi Bosniaca conclusa si
rammaricò di come l’Austria avesse perso l’occasione di regolare
definitivamente i conti sia con la Serbia che con l’Italia.
La situazione politica del
1911 vede al governo l'ennesimo Giolitti con un'alleanza di destra, più
favorevole in teoria alle conquiste coloniali, ma con un programma di governo che
si caratterizza subito per alcune innovative proposte popolari:
nazionalizzazione delle polizze vita con la creazione dell'INA (Istituto
Nazionale Assicurazioni) e il suffragio universale anche agli analfabeti
con cui può ingraziarsi le sinistre. La fame di lavoro e di terra ha già spinto milioni d'italiani verso
le americhe. L'accondiscendenza della sinistra non è comunque condivisa da
due socialisti che diventeranno in seguito famosi per opposti motivi;
Benito Mussolini e Pietro Nenni. La Libia sembra a molti uno sfogo naturale
per la nostra emigrazione, dimenticando che il paese dal punto di
vista agricolo è solo un contenitore di sabbia (poi si scoprirà anche il
petrolio).
L'Impero Ottomano ha in
Libia poco più di 8.000 soldati, male armati ma uniti per la fede
religiosa alla popolazione e, vedremo dopo, amico dei piccoli proprietari delle Oasi e
delle istituzioni
religiose. La causa scatenante, (il casus belli)
della nostra rivendicazione è un carico
d'armi che da Costantinopoli transita attraverso la Tunisia
francese per ignota destinazione !!!. Il nostro ultimatum del
28 settembre 1911 solleva
un coro di proteste da parte dell'Intesa e un rimbrotto da parte del
nostro alleato (in Triplice)
tedesco.
Questi sta cercando di attrarre nella sua orbita
d'influenza l'Impero Turco incamminato ormai su una china discendente
che lo vedrebbe pasto di Inglesi, Russi etc., oltre al terremoto etnico
nei balcani. Allo
scadere dell'ultimatum (3 ottobre), la nostra flotta, la
più forte allora del mediterraneo (Inglesi esclusi), si presenta di fronte a Tripoli. Già da due giorni la nostra marina
intercetta nel
canale d'Otranto e Ionio navi da battaglia Turche provenienti da Prevesa
e Corfù. Dopo un forte
cannoneggiamento italiano sui forti della costa, le milizie turche si ritirano all'interno del
paese. I 1700 fanti di marina sbarcati per primi*, proteggono le prime operazioni del corpo di spedizione
al comando del friulano Caneva, altro ufficiale formatosi alle accademie
austriache, comprendente l'equivalente di due
divisioni di fanteria con appoggio della cavalleria, di 2 reggimenti d'artiglieria e
2 di bersaglieri, 8° (Col. Giovanni Maggiotto) e 11° (Col. Gustavo
Fara) (Alla campagna per la
conquista del Garian, nel 1913, prese parte un Reggimento alpino che
includeva il Batt. Tolmezzo dell'8° Reggimento già a Tripoli dal
settembre 1912 e il Feltre del 7°, il Susa del 3°, il Vestone del 5°.
Con questi 4 battaglioni a Zanzùr , nel giugno 1912, venne formato l'8° Alpini Speciale al
comando del col. Antonio Cantore)
*Medaglia d'oro al valor
militare FORZE DA SBARCO DELLA REGIA MARINA - motivo del conferimento:
Per l'ardire e l'eroismo dimostrato nelle varie azioni compiute nel mese
di ottobre 1911 per l'occupazione della Tripolitania e della Cirenaica
(Ottobre 1911)
A
metà dicembre si aggiungerà il 4° bersaglieri (Col. Iginio Maltini). I reparti erano
però di formazione (la somma
di tante compagnie e battaglioni provenienti da reggimenti diversi (vedi sotto)), per non
intaccare le divisioni e i corpi d'armata che in Italia venivano
comunque tenuti sul piede di guerra sia sul versante francese che su
quello austriaco. Per la destinazione africana si privilegiavano prima i
volontari disposti per un soprassoldo ad accollarsi fatiche e rischi. La falsa deferenza dei notabili locali
libici verso il nuovo
governo insediato non tardò a manifestarsi. Piccoli colpi di mano notturni alla cinta dell'oasi di
Tripoli si fecero sempre più frequenti. Dopo l'occupazione non indolore
delle altre città costiere, restava il problema più importante: lo scontro
campale contro un nemico che non si palesava e si nascondeva nelle oasi
interne (e anche l'interno oltre che non occupato era terra sconosciuta). Per capire le difficoltà in cui
s'erano venuti a trovare i
nostri soldati, bisogna pensare anche alle dimensioni dell'oasi di Tripoli che
ha un'estensione alberata lungo la costa di 20 chilometri e una profondità
di 5. Nei fitti palmeti con le radici immerse nell'acqua canalizzata e
difesa dal vento del deserto da muretti a secco che delimitano le
singole proprietà, correvano stradine di varia larghezza.
Non si poteva vedere a più di 40 metri, e dietro ad ogni muretto (alto
poco più di un metro) e ad ogni angolo di casa si nascondeva un arabo
armato di pugnale. Un nostro aereo da ricognizione, s'alza in
volo il 23 ottobre per individuare concentrazioni di
nemici, con esito purtroppo negativo. Gli arabo-turchi sono
convinti che l'unica possibilità di vittoria è la guerriglia notturna
fino ad ora attuata, ma questa volta l'attacco viene portato in pieno giorno. Comincia
la mattina del 23 ad ovest di Tripoli, ma come era cominciato così
improvvisamente termina. Più tardi di fronte a Sciara Sciat, tenuta dall'11°
bersaglieri e dal 84° fanteria, l'attacco si rinnova con cavalieri
beduini e fanteria turca. Il combattimento si spezzetta
all'interno delle coltivazioni con preclusione del tiro d'appoggio d'artiglieria. Ad un certo punto sembra che il nemico si ritiri
verso il deserto quando
su Sciara Sciat si scatena di nuovo l'inferno.
Alle
spalle, gli arabi insorti prendono fra due fochi gli Italiani. Per
due giorni fu lotta corpo a corpo al termine dei quali di 5 compagnie (1000 uomini)4a (Cap. Bruchi), 5a(Cap. Punzo), 6a (Ten. Serravalle),7a (Cap.Pergolesi) ,9a (Ten. Belluzzi), ne restavano la metà
(in uomini). In effetti
solo dopo ci si accorse che, nelle ore precedenti, presagio
dell'imminente attacco, erano
spariti dalle strade gli ambulanti, i venditori di
frutta che frequentavano gli alloggiamenti. Del resto era stata completamente sbagliata la previsione che i
Turchi agissero da oppressori nei confronti della popolazione locale (e
nemmeno in quei 20 giorni la nostra opera diplomatica s'era esplicata
in tal senso). Ai caduti
dell' 11° fu concessa la medaglia d'oro e la possibilità un
mese dopo a ranghi ricostituiti di attaccare gli arabi nelle oasi di Ain Zara
e Henni e di vendicare i compagni caduti. Ne seguì comunque una caccia
all’arabo, seguita da tre giorni di esecuzioni capitali e deportazioni
(Ustica, Favignana, Ponza, Gaeta): «Non si conobbe mai con precisione il
numero degli arabi uccisi nella repressione, ma le testimonianze degli
osservatori sono concordi nel giudicarlo molto elevato. Giuseppe Bevione,
"Come siamo andati in Libia"» • I giornalisti stranieri (del Westminster
Gazzette, Daily Mirror, Morning Post e Lokal Anzeiger), indignati dai
massacri (circa 4 mila morti finora ma la cifra è esagerata),
restituiscono la tessera della stampa al generale Caneva e abbandonano
la Libia mentre il colera si espande.
La guerra Italo Turca, la cui
gestazione era durata vent'anni, fu subito sentita e gestita dagli
organi di informazione con enfasi. Ci fu un fiorire di pubblicazioni
patriottiche, di canzoni, di immagini
su tutta la stampa che ormai aveva
raggiunto grosse tirature. Lo smacco di Adua era ormai lontano e questa
doveva essere l'ora della riscossa. Gli organici di fanteria furono in fretta
raddoppiati con l'inserimento di ascari eritrei, di alpini (10
battaglioni), artiglieria, genio e reparti cammellati, senza però
arrivare ad alcun risultato efficace. Le compagnie ciclisti del 7°rgt
(erano probabilmente le prime biciclette che si vedevano nel deserto)
vennero per la prima volta dotate di sezioni mitragliatrici. Il paese era sterminato,
non c'erano strade, non c'era cartografia. I voli dei nostri aerei permisero di stendere mappe
attendibili con grosse sorprese quando la città di Aziza in mano ai
Turchi fu localizzata di 20 km più vicina di quanto si pensasse. In Cirenaica (l'altra regione della Libia al confine con l'Egitto) la Senussia aveva un proprio Sceicco e una città santa,
Giarabub in mezzo al deserto.
LA BATTAGLIA DI ZANZUR - Battle of Sidi
Abdul-Gelil or Zanzur.
From Sidi Abdul-Gelil towards the south and west of Gargaresc, the
Arab-Turks managed little by little to construct and fit out a long line
of intrenchments (Boer fashion), reinforced, traversed, blind covers and
covered passages, from which they could advance towards our front at
Gargaresc, while at other points they kept from 15 to 20 kilometers (10
to 13 miles) away from our outposts. Therefore, it was necessary to
remove this menace so close to our line, and with the fond hope that a
victory on our part would win over to us the Urscefifana Tribe, who were
showing some signs of discontent; also to destroy these trenches at
Zanzur that were closing our works at Gargaresc, and which were
considered impregnable. For military reasons and for reasons of policy
and morale, the attack on Zanzur was made on June 8th (dalla relazione
ufficiale governativa). Poco fuori Tripoli verso Ovest (12 km),
nonostante fossero passati ormai 6 mesi e la guerra fosse stata portata
alle porte di Costantinopoli, i turchi aiutati da tribù fedeli tenevano
ancora molte posizioni lungo la linea costiera impedendo il collegamento
verso la Tunisia Francese da dove ricevevano aiuti.
Tittoni da Parigi: «Ho avuto una lunga
conversazione con il ministro della guerra francese Massimy. Egli mi ha
detto che il consiglio dei ministri ha appoggiato la domanda dell’Italia
circa la repressione del contrabbando alla frontiera tripolo-tunisina.
Però ha soggiunto, insistendo molto, che è indispensabile che l’Italia
non lasci questo compito interamente alla Francia, ma faccia anch’essa
qualche cosa per coadiuvarla. Massimy mi dice che per andare in Tunisia
dalla Tripolitania vi è una sola strada lungo il mare. Ora se l’Italia
occupasse sollecitamente la costa fra Zuara e il confine tunisino e
stabilisse presso questo un forte presidio, il quale sorvegliasse la
frontiera fino a 50 chilometri di distanza dalla costa, il contrabbando
diverrebbe impossibile». La risposta era prettamente diplomatica
(diplomazia è prendere per il c… in maniera educata l’interlocutore)
poiché i francesi facevano di tutto per agevolare il contrabbando
costituito poi da armi e uomini per i ribelli. Il dissequestro in quei
giorni di due navi francesi, il Manouba e il Chartage, venne accolto a
Tunisi da "Viva la Francia! Viva la Repubblica ! Viva l'aeroplano ! Viva
il comandante Thémèse ! Abbasso l'Italia! Abbasso la Sicilia ! Viva la
Turchia"
Altrettanto avveniva a Est verso Misurata. Solo alcune città oltre
Tripoli (Bengasi, Tobruk, Derna, Homs) erano state occupate con sbarchi
dal mare creandovi intorno una cintura di difesa molto provvisoria. Le
pressioni dall’Italia crescevano di giorno in giorno spingendo il Caneva
a programmare una nuova serie di azioni che Frugoni (ex comandante del
5° Bersaglieri) frenava con la scusa dell’imminente congedo di classi.
Infine, preparata da F. con la collaborazione del giovane P. Badoglio,
capo di stato maggiore del corpo d'armata speciale, l'offensiva
programmata verso Ovest (Zanzur), ebbe avvio. L'azione italiana riuscì
"molto onorifica" ma di scarsa utilità (Gen. T. Salsa, addetto al
comando di Caneva).
Alla divisione Camerana (brigata Giardina: 6° (Magg. Di Maria Eugenio) e
40° fanteria e una compagnia di Finanzieri; brigata Raynaldi: 82° e 84°
fanteria, due batterie da montagna, tre batterie scudate, e una
compagnia zappatori) fu commessa (ordinata) la distruzione delle trincee
di Zanzur città peraltro già occupata a dicembre del 1911. Il 13
dicembre il 2° Squadrone “Lodi”, partito da Ain-Zara, entra a Tagiura
senza colpo ferire e quattro giorni dopo gli Italiani, preceduti dagli
squadroni di “Lodi”, entrano anche a Zanzur che, sgomberata dal nemico,
si offre pacificamente a resa. Inspiegabilmente il nostro Comando ordina
di ripiegare su Tagiura e mentre i nostri sgomberano, la vendetta dei
Turchi si abbatte sugli abitanti che avevano ben accolto gli Italiani.
Col sostegno di navi al largo il mattino dell’8 giugno 1912 ebbe inizio
l’attacco. La brigata Giardina con elementi della Raynaldi s'impadronì
di Abd-el Gilil e un'ora dopo espugnò alla baionetta tutto il sistema di
difesa ad ovest del marabutto. I tentativi nemici di riprendere il
sistema di trincee non si fece attendere ma venne sventato. Il più
pericoloso quando un nucleo forte di 10.000 uomini aggirando il deserto
attaccò il fianco sinistro. Una colonna di riserva comandata dal
generale COARDI di CARPENETO e composta di una brigata di cavalleria a
“Lodi”, le “Guide” e “Firenze”, del 37° fanteria, del battaglione
eritreo, di un nucleo, di menaristi appiedati e dalla batteria da
montagna Baseggio, respinse il violento attacco arabo-turco che aveva lo
scopo di aggirare la sinistra della divisione Camerana.
"Alla battaglia di Zanzur - "scrisse
nel suo rapporto il generale FRUGONI - presero parte 19 battaglioni
di fanteria, 1 compagnia delle guardie di finanza, 1 compagnia di
zappatori del genio, 8 squadroni, 4 batterie da montagna, 3 da campagna,
scudate, 2 batterie da 75 A delle ridotte di Gargaresch, 1 batteria di
cannoni da 149 ed una sezione di mortai da 210. In totale: 13.494
fucili, 12 mitragliatrici, 50 cannoni. Tutte queste forze, meno 2
battaglioni del 37°, presero parte effettiva alla battaglia.
Parteciparono del nemico le "mehalle" di Zanzur, quelle di
Suani-Ben-Adem, di Fonduk Ben-Gascir e di Bir-Tobras; più le "mehalle"
di Azizia e una parte dei combattenti di Nuail, in complesso oltre
14.000 uomini. Le perdite dei nostri ascesero a morti: 1 ufficiale, 28
uomini di truppa, 10 ascari; feriti: 13 ufficiali, 203 uomini di truppa
e 75 ascari. Complessivamente dunque 330 uomini. Da parte del nemico
fino ad oggi (20 giugno 1912) furono ritrovati 1130 cadaveri. Ma i morti
debbono raggiungere per certo 2000, dato che in principio della
battaglia molti caduti furono asportati dai luoghi della mischia, e che
molti morirono lungo la strada nell'affannosa ritirata. Le informazioni
poi che si hanno sui feriti sono concordi nello stabilire il loro numero
in una cifra molto rilevante. Sembra che una gran parte di essa sia
stata trasportata ad Azizia".
L'accoppiata cinese Garioni (comandante
spedizione) Agliardi (comandante Bersaglieri) si ricompose il 14
luglio 1912 a Sidi Said. Quattro battaglioni bersaglieri
tratti dal 11,°4° e
9° rgt. divisi su due colonne (Agliardi e Servici) mossero con
successo all'attacco di una postazione che a 2 km dal mare limitava
le nostre operazioni sulla costa. Il Gen. Garioni, nominato Governatore,
verrà sostituito da Ameglio allo scoppio della grande guerra e
reinvestito dell'incarico nell'ultimo anno di guerra. I bersaglieri
dell'8° vennero impegnati ad Homs e quelli del 4° a Bengasi. Gli scontri proseguirono
fino all'autunno quando la minaccia al cuore turco da Rodi, (vedi capitolo successivo),
fu portata direttamente sugli stretti del Bosforo convincendo la Turchia
alla pace (18 ottobre). Si disse che i turchi per non dare adito a scontro, non
spararono nemmeno il colpo di
cannone che segnava la fine del Ramadan. Nel periodo si alternarono in
colonia oltre 200.000 uomini con una media di 4 divisioni rinforzate
sempre presenti. Nonostante la pace, a garanzia
della quale ci trattenevamo le isole del Dodecanneso, gli scontri in Libia
proseguirono e non furono mai completamente interrotti. Nel
marzo 1913 ad Assaba contro Suleiman el Baruli si distinse un capitano
del 33° battaglione dell'11° rgt.
De Gaspari Ercole da sei mesi in
Libia. Allo scoppio
della grande guerra dovemmo anche ritirare buona parte dei nostri
soldati dando quindi la possibilità agli arabi, che ormai avevano
costituito un comando ribelle, di riprendersi, in una serie di pesanti
nostre sconfitte, una larga parte del paese. Solo
negli anni 20 un nuovo corpo di spedizione al comando del Gen. Graziani riporterà con sistemi cruenti, il
controllo sul paese. La Libia dal 1940 sarà teatro degli scontri con
l'esercito britannico fino a
quando, nel gennaio del 1943 non sarà definitivamente abbandonata. Non
si scoprì pienamente e sfruttò la sua maggiore ricchezza, il petrolio. Gli italiani rimasti in gran numero a dissodare
ed irrigare terre che nessuno avrebbe mai pensato di coltivare saranno
definitivamente cacciati da Gheddafi nel
1969 col colpo di Stato che faceva cadere la monarchia senussita. |