La parola Ardito, che comunemente attribuiamo ad una specialità
sorta in conseguenza della ritirata di Caporetto, nel termine essenziale
dell'incarico (mansione ) si fa risalire ad alcuni anni prima. Già all'inizio della
guerra erano stati addestrati dei militari esploratori (fregio sulla manica:
stella a sei punte) incaricati di precedere il reparto, prevenire
attacchi nemici ed eseguire rilevazioni topografiche esatte. Ogni reggimento
aveva quindi un Plotone esploratori ripartibile fra i Battaglioni. Con
questa mansione o incarico, allo scoppio della guerra, gli esploratori si trovarono di
fronte come novità il filo spinato e la necessità di aprirsi e aprire un varco per i
compagni. I primi ad
usare l'arma adatta a neutralizzare e superare i reticolati, furono i
soldati del Genio che affiancarono la fanteria fino a che, anche questa,
non fu in grado di dotarsi di propri plotoni. Queste compagnie provvisorie erano
chiamate "della morte".
Nell'autunno
del 1915, dopo essere stato per qualche tempo aiutante di campo del
generale Graziani, l'allora ten. Cristoforo Baseggio era riuscito a
persuadere il comando della l a armata ad istituire ed affidargli un
reparto di volontari destinato a scrivere con il proprio sangue pagine
memorabili della guerra di Valsugana. Così si esprimeva in proposito
l'ufficiale nel 1929: (...)L'idea che mi era tante volte balenata di
formare una Compagnia Autonoma di Arditi, capace di eseguire azioni
tattiche di una certa importanza e dotata di autonomia e di larghi mezzi
materiali, fu da me esposta al generale Farisoglio e al capitano di s.
m. Spiller e fu defìnitivamente approvata nel settembre 1915. Il 16
ottobre 1915 veniva ufficialmente costituita la "la Compagnia Volontari
Esploratori "della 15a div. , che avrebbe dovuto" (...) eseguire
operazioni ardite, compiti di avanguardia, esplorazioni, ricognizioni,
prese di posizioni, sorprese, ecc. ". L'organico, composto
esclusivamente da volontari, proveniva dai reggimenti di fanteria, dai
battaglioni alpini e da quelli della Regia Guardia di Finanza dipendenti
dalla 15a divisione.
La forza reale della compagnia, a causa di licenze,
cambi di destinazione, malattie, rientro ai reparti di provenienza, non
fu comunque mai superiore ai 200 uomini.In base all'arma o alla
specialità di provenienza erano stati organizzati sei plotoni: uno di
alpini, uno di bersaglieri, due di fanti, uno di finanzieri ed uno
misto, comprendente carabinieri, cavalleggeri appiedati, artiglieri,
geni eri e persino veterinari. Proprio per la sua composizione, tutta di
volontari, il reparto presentava uno spettacolo caratteristico e
pittoresco: era in sostanza un'accolta svariata di militari di tutte le
età e d'ogni classe sociale, dall'ex carcerato al nobile, dal figlio
d'avvocato all'umile contadino; a peggiorare l'aspetto eterogeneo, i
singoli militari avevano mantenuto la divisa del corpo di provenienza.
Tra gennaio e marzo del 1916 quando la Compagnia Baseggio, con reparti
di fanteria ed un battaglione alpino provvisorio formato dagli elementi
non in licenza dei battaglioni Val Cismon e Val Brenta sposta più avanti
la linea d’occupazione in fondovalle penetrando in Roncegno, Torcegno e
Marter ed iniziando la salita del costone orientale del Panarotta.
Proprio alle falde del Panarotta, attorno al cocuzzolo di q. 1450 dove
sorge la chiesetta di Sant’Osvaldo, tra il 4 ed il 6 aprile 1916 si
consuma il sacrificio della Compagnia Baseggio che esce dagli scontri
letteralmente distrutta e con meno di 60 uomini ancora in grado di
combattere sugli oltre 450 in organico.
http://www.anaroncegno.com/_massacro_a__pra_del_voto.html
Tra
il 12 ed il 13 aprile l’attacco italiano si sviluppa in grande stile,
con l’impiego di oltre 7000 uomini, sia sul fondovalle, verso Novaledo,
sia sui fianchi contro Monte Carbonile (in Val di Sella), Monte Broi e
Sant’Osvaldo (a nord del Brenta). Fallita immediatamente in Valsugana,
l’offensiva sembra avere inizialmente successo sui fianchi: la fanteria
italiana occupa di slancio Monte Carbonile ed anche il Sant’Osvaldo è
preso. Qui anzi, sull’onda del successo, le regie truppe iniziano
addirittura, con la neve al ginocchio, la salita verso la sommità del
Panarotta. Ma il contrattacco austroungarico smorza presto ogni
velleità: il 14 aprile 300 Landesschützen riprendono il Carbonile e due
giorni più tardi una violentissima e protratta azione a tenaglia
travolge le neoconquistate posizioni italiane in sinistra Brenta: cadono
Sant’Osvaldo e Monte Broi e gli italiani ripiegano anche da Marter,
rischiarandosi su una linea che da monte Collo scende al torrente
Larganza davanti a Roncegno.
Con circolare del 15 luglio 1916
gli arditi vennero gratificati oltre che con licenze e premi, col
brevetto di militare Ardito e il fregio V.E. sopra il nodo Savoia (vedi
sotto).
Alla fine di quell'anno il Capitano Bassi si fece avanti con una nuova
idea. Dotare dei soldati di un armamento ad alto volume di fuoco, con
grande mobilità (tipo sturmtruppen tedesche) per affrontare
il nemico e infiltrandosi anche le retrovie. Nel maggio 1917 la proposta venne accettata e
si costituì presso il Genio il primo Battaglione (Reparto) d'assalto.
All'interno del reparto, gli assaltatori si alternavano agli specialisti
(Mitraglieri, Guastatori, Segnalatori e Lanciafiamme). Gli uomini
operavano su larga scala con l'unità minima che era la Squadra, e non
dovevano mai essere soli (almeno due). Fu
solamente nella Scuola Reparti d'Assalto, a Sdricca di San Giovanni di
Manzano (luglio 1917), che i reparti in costituzione ebbero un completo addestramento.
Paolo Giudici (1928)
riferisce. "Oltre a tutti gli esercizi ginnastici fino ad oggi
conosciuti, Manzano ebbe una scuola di lotta giapponese, scuola di
scherma colla sciabola, con la baionetta, col pugnale, col bastone, col
petardo, scuola di ciclismo, di equitazione, di nuoto, di alpinismo".
Mario Carli (1919) invece ricorda. "Le loro esercitazioni avevano
sopra tutto carattere di ginnastica di guerra. Li addestrava un ginnasta
di vedute pratiche e moderne il capitano Racchi (autore di Ginnastica
militare, Parma, 1896). La preparazione per il combattimento individuale
comprendeva la difesa personale a mani libere, derivata dal ju-jitsu
giapponese. Gli ufficiali (più per mantenere una certa distinzione che
per effettiva utilità) praticavano la scherma di sciabola e di bastone
a una mano".
Presso tutte le grandi unità
(divisione e c.d.a.) si andavano intanto addestrando dei militari per
gli organici previsti. Il nuovo fregio assegnato era la daga con la
sigla F.E.R.T (vedi sotto). La divisa di questi soldati (se mai ci fu una circolare
applicabile), era generalmente costituita da giubba aperta da Bersagliere
ciclista (1910) con maglione girocollo
(oggi
lo chiamano alla Dolce Vita),
poi
sostituito da una camicia di flanella a colletto rovesciato, quando i
maglioni o per dire meglio la lana scarseggiò. Il colore era sempre il
grigioverde, con cravatta grigioverde (ma l'usanza la faceva sempre nera). I pantaloni da truppa di montagna, con calzettoni e scarponcini. Fino a che il
comando non autorizzò la costituzione di reparti separati dalla forza
di provenienza, il copricapo era quello dell'arma e del corpo di
provenienza come i segni distintivi.
Uno di questi era
Giovan Battista
Palombo, originario di Villa S. Stefano (Frosinone), ma sbarcato dagli
States per fare la sua guerra. Successivamente, nel più puro spirito
anarchico possibile in guerra, gli Arditi vestiranno in mille modi
diversi, in parte rilevabili dalle immagini. Molti di questi uomini
erano Veneti, delle terre occupate dopo la ritirata di Caporetto per la
pratica conoscenza dei luoghi. Una certa visione romantica e
cavalleresca della guerra, ancora in auge all’epoca, se da un lato
favorì questo genere d'operazioni, dall’altro ne rese difficile una razionalizzazione
intesa come sviluppo coordinato dei reparti nella strategia generale. Questo, portò ad un proliferare d'azioni audaci, prive di una reale
utilità militare, ma altisonanti dal punto di vista della propaganda.
Erano di solito odiati dai commilitoni ed amati dalle donne (quelle che
potevano frequentare), che vedevano in loro la forza e la bellezza. Al bavero avevano
fiamme nere se provenienti dalla fanteria, verdi dagli alpini, rosse
cremisi dai bersaglieri. Da queste formazioni si trassero anche squadre
(commandos) per operare nelle retrovie
nemiche, raccogliendo informazioni e
scompaginando i rifornimenti. Tra le formazioni
speciali impiegate dal Regio Esercito, una dal nome suggestivo, si
distinse in modo particolare: “La Giovane Italia “. Altre furono
"I Caimani del Piave" e "La legione Boema"
(cecoslovacchi). La prima operazione, attuata dalla Giovane Italia,
si ebbe il 4 maggio 1917, quando un
commando
del XXIII reparto d'assalto
Fiamme Cremisi (Bersaglieri) sbarcò sulla
costa settentrionale del Lago di Garda e attaccò, distruggendola, la
centrale elettrica di Torbole, usata dagli Austriaci. Un anno dopo, nella
notte del 29 e 30 maggio 1918 dal campo di Marcon, decollava un Voisin
(aereo). Se un
osservatore fosse stato presente, sarebbe rimasto stupefatto nel vedere
cosa caricava questo aereo, pilotato dal capitano GELMETTI, con a bordo
due Bersaglieri in borghese, vestiti da contadini: il tenente CAMILLO DE
CARLO e il soldato Giovanni BOTTECCHIA, (fratello di
Ottavio
Bottecchia, Medaglia
di bronzo, anche lui Bersagliere, campione di
ciclismo in erba),
tutti nativi del luogo. Ma era il carico come detto che era molto
singolare; tante gabbie di volatili abituati a volare di notte e di
giorno ovunque con le proprie ali; erano i piccioni viaggiatori che
portavano i messaggi. Dopo una
pericolosa trasvolata notturna oltre il Piave sulle linee nemiche, e con un'altrettanto pericolosa
azione, il pilota atterrò in un prato nei pressi dei campi
di Aviano su piste illuminate all'uopo da compatrioti. Il pilota
scaricò i due avventurosi e il curioso carico, poi mentre lui decollava
per ritornare alla base, i due attraversando campi e fossi con le gabbie
in mano, superarono il Colle di Savarone, a Polcenigo guadarono la
Livenza ed infine giunsero a Fregona, nella fattoria di De Carlo ove
questi
incontrò il suo anziano mezzadro che la gestiva. Trovato un
nascondiglio sicuro, i due si mobilitarono per raccogliere notizie
utilizzando vecchi, donne e bambini, sguinzagliati nei dintorni. Senza destare sospetto raccoglievano e annotavano
notizie sugli assembramenti nelle linee e
nelle retrovie predisposte dal nemico. Poi nella notte, di quando in
quando, un piccione lasciava la gabbia per tornare alla colombaia
dall'altra parte del Piave, portando dietro un foglietto
arrotolato, denso di calligrafia minuta, con tutte le inestimabili
informazioni per l'Ufficio "I" di Abano.
Molti soldati ed
ufficiali, rimasti nascosti dietro le linee nemiche nella ritirata di Caporetto,
svolgevano di fatto azione partigiana supportando queste squadre di
Arditi. Nel tentativo d'attraversare il Piave in piena Bottecchia (decorato poi con
medaglia d'Argento), fu fatto prigioniero e De Carlo rientrò rocambolescamente, passando dalla laguna di Venezia. Il
29 luglio, una nuova coppia formata dai fratelli
Giuseppe e Nicolò De
Carli,
dell’8° bersaglieri, era partita in idrovolante per la laguna
di Caorle.
Fatto prigioniero, Nicolò riesce a liberarsi
avventurosamente ed a proseguire l'azione di spionaggio. La notte del 9 agosto 1918 il tenente degli arditi
Alessandro Tandura fu paracadutato nella zona di Conegliano (Tandura Alessandro Tre mesi di spionaggio
oltre il Piave Ag-Ott 918 Ed. 1934). Era quello uno dei
primi lanci in assoluto e il primo per l'ufficiale. Gli inglesi che
c'insegnavano questa nuova specialità, s'erano portati 4 paracadute in
tutto. Ci si lanciava con denaro italiano e austriaco d'occupazione e la
solita gabbietta di
piccioni per i messaggi. Dietro le linee cercavano di sabotare ponti e
ferrovie per far deragliare treni di munizioni e soldati o cambiare le segnaletiche
stradali mettendo nel caos i trasporti.
Le azioni corali erano
organizzate con più coppie d'uomini, che distanziate di 10 km
l’una dall’altra, dovevano raggiungere un obiettivo
prefissato. Il fallimento di una coppia non comportava lo stop
alla missione perché il Team successivo subentrava. Diverse
colonne poi, su diverse direttrici, arrivavano a controllare ampie
superfici e manufatti strategici. Il
20 ottobre, una coppia formata dal tenente Carturan e dal caporale
Bertozzi atterrò nella laguna di Caorle installandosi in case di
pescatori denominate in codice Cà Lealtà e Cà Libertà. Gli Austriaci,
messi sul chi vive, circondarono le case facendo prigioniero l'elemento
di un’altra coppia. Il Carturan spacciandosi per pescatore finì in un
comando del genio Austriaco, e s'impadronì anche di segreti militari.
Nella guerra che era ormai agli sgoccioli, il pericolo maggiore veniva
dagli Austriaci in ritirata, e dalla possibilità che facessero il
deserto alle spalle. Una coppia arrivata a Udine, meta della direttiva,
convinse il Sindaco della città ad ottenere dagli Austriaci la
creazione di una milizia civile per la protezione dagli sbandati. In
tale milizia naturalmente confluirono tutti gli uomini dei commandos ed
altri segretamente armati. Dopo i primi sabotaggi, quando la proporzione
fra le nostre forze e l’avversario si rovesciò, questi passarono al
contrattacco ed il 3 novembre riuscirono a consegnare alle avanguardie
italiane di cavalleria una città quasi intatta. Verso la fine della
guerra molti reparti erano stati raccolti in grandi unità, (Divisioni
d'assalto) usate come arieti per la liberazione di Vittorio Veneto. I fatti seguiti alla
fine della guerra, la spedizione di Fiume (con arditi fuoriusciti
dall'esercito italiano) portarono allo scioglimento del corpo con la
motivazione ufficiale dell'uniformità dell'addestramento. A D'annunzio,
che degli Arditi era l'esteta primo, dobbiamo diverse definizioni fra le
quali il " Me ne frego " di cui in seguito si largheggiò.
Il copricapo pur nella rigidità
deI regolamenti (fregio fiamma da bersaglieri volta a destra sormontante un gladio) si
diversificava nelle tenute fuori ordinanza e non, che tali uomini si
permettevano in barba alla disciplina. Fra i copricapi compare anche il
fez (in versione nera). I reparti d'assalto, costituiti nell'ambito delle
armate, si fregiavano nella bomba della fiamma di un numero romano
solitamente derivante dai reparti di provenienza.
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1^ Divisione d'Assalto
Si costituisce il 10 giugno 1918 come Divisione "A" ma subito dopo(25/6) si riordina su tre Gruppi d'Assalto,
rispettivamente
1° Gruppo coi reparti d'assalto X e XX ed il I btg bersaglieri del I° rgt. rientrato dalla libia
2° Gruppo coi reparti XII e XIII ed il VII btg bersaglieri del I° rgt. rientrato dalla libia
3° Gruppo coi reparti VIII e XXII ed il
IX btg bersaglieri del I° rgt. rientrato dalla libia
inquadrati nel I Raggruppamento d'Assalto.
Completava il quadro il III btg. bersaglieri
ciclisti, il V squadrone dei "Cavalleggeri di Piacenza" e reparti minori mitraglieri e dei
servizi con il concorso di un gruppo artiglieria da montagna ed un battaglione zappatori
(genio). L'unità viene impiegata nelle fasi conclusive della guerra e quindi, ridotta al solo I raggruppamento d'Assalto, viene trasferita in Libia, dove partecipa alla riconquista della colonia, per essere smobilitata e sciolta nel gennaio del 1920 per effetto dell'applicazione dell'ordinamento "Albricci" ad
esclusione dei reparti XX e XXII che, con il IX
Bersaglieri
costituiscono un "Reggimento d'assalto" che opererà in Albania fra giugno ed agosto 1920. Tale reggimento al rientro in Italia viene stanziato in Veneto dove viene soppresso entro la fine dell'anno. fonte E.I
http://www.esercito.difesa.it/root/storia/1518_arditi_unita18.asp
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2^ Divisione d'Assalto
Si costituisce il 27 giugno 1918 come 2^ Divisione d'assalto e prende il posto nel Corpo d'Armata d'Assalto della Divisione Cecoslovacca. Alla costituzione concorrono tre reparti già della Divisione "A" (V-XIV-XXX) ed altri tre reparti
d'assalto prelevati dai rispettivi Corpi
d'Armata. Assume quindi la formazione su tre Gruppi d'Assalto, rispettivamente:
4° Gruppo coi reparti XIV e XXV ed il III btg bersaglieri
ciclisti ?
5° Gruppo coi reparti I e V ed il XV btg bersaglieri
ord.
6° Gruppo coi reparti VI e XXX ed il LV btg autonomo
bersaglieri;
inquadrati nel II Raggruppamento d'Assalto.
Completava il quadro il IX battaglione bersaglieri ciclisti
, il VI squadrone dei "Cavalleggeri di Piacenza" e reparti minori mitraglieri e dei
servizi con un gruppo artiglieria da montagna ed un battaglione zappatori
(genio). L'unità viene impiegata nelle fasi conclusive della guerra e quindi
sciolta nel febbraio 1919. Parte del personale viene destinato a ripianare le perdite dei reparti della 1^ divisione. |
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