I BERSAGLIERI E LO SPORT
Ottavio Bottecchia
"A vae mi" io vado
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Bottecchia nasce
a Borgo Minelle di San Martino Colle Umberto nella Marca Trevigiana i1 1° agosto 1894. Di famiglia povera, porta quel nome appunto perché è l'ottavo figlio del mugnaio Francesco.
"Perso" il padre emigrato in Germania conoscerà in certi momenti anche la
fame. "La mia infanzia? Uguale a quella di tanti altri bimbi della campagna
italiana", raccontò un giorno, "in classe d'inverno, mentre l'estate dovevo aiutare i genitori. In tutto, andai a scuola per due inverni, poiché mio padre volle fare di me un operaio con possibilità di lavorare anche in cattiva stagione o stagioni morte
(Il mugnaio era pure un lavoro stagionale non continuativo). Così, a dodici anni, divenni apprendista calzolaio...".
Fù poi manovale edile e infine carrettiere a Sacile, da Sacchin, caricando e scaricando tronchi d'albero della foresta del Cansiglio. Coi primi risparmi di questo lavoro sicuro, Ottavio permise il ritorno a casa di papà Francesco. I Bottecchia acquistarono quattro cavalli ed avviarono un'attività di trasporto in proprio. "Furono anni felici", ricordava Ottavio. I fratelli maggiori si sposarono alleggerendo il peso della famiglia e Ottavio, suo fratello Giovanni e Maria restarono coi genitori. Fin da giovane la passione della bicicletta lo porta a correre coi dilettanti su cui spesso si impone, nonostante il mezzo sia inadeguato. Il mezzo non era suo ma del fratello Giovanni che si era comprato una bicicletta per partecipare alle gare festive. Nei giorni feriali la prestava ad Ottavio che "Tirava di collo in salita come un matto", come dicevano i compaesani stupiti dalla sua forza e resistenza. Allo scoppio della guerra il governo gli requisì i cavalli e i carri. Erano troppo vicini alla zona di operazioni. Anche per lui, poco più che ventenne, venne la chiamata alle armi. E uno come lui, come va lui in bicicletta è prezioso, in un paese dove molti la bicicletta la conoscono solo nelle pubblicità. Ottavio viene inquadrato come caporale nel 6°bersaglieri ciclisti di Bologna assieme al fratello Giovanni per il periodo di addestramento. Una volta al fronte va invece in un reparto speciale, quello degli "esploratori d'assalto" sempre bersaglieri. Doveva pattugliare i difficili sentieri battuti per ora solo da contrabbandieri e in seguito possibili vie di penetrazione degli austriaci. Il suo superiore, Il luogotenente Gallia, corridore dilettante di Torino, ne era fiero. Ogni tanto organizzava gare tra i suoi uomini, e fu così che Ottavio iniziò la vera carriera ciclistica ufficiale: "Una volta compii una lunga corsa in bicicletta attraverso la montagna, portando sul dorso una mitragliatrice, arma che doveva essere destinata ad un posto di vedetta che ne era sfornito" per arrivarci doveva passare in una zona scoperta, scoperta come era la postazione sotto il tiro nemico. "Quel giorno, mi spinsi attraverso passaggi e mulattiere che solo le capre erano in grado di superare, Galibier o Izoard erano niente. La pesante mitragliatrice a bandoliera poi non alleggeriva certo la mia macchina. Arrivai alla postazione in tarda serata. Il giorno dopo ebbi la gioia di apprendere dal luogotenente Gallia l'utilità del mio raid: gli austriaci avevano attaccato nel corso della notte, e il loro tentativo era fallito grazie alla mia mitragliatrice" . Aveva inventato la mountain bike GIOVANNI BOTTECCHIA
(il fratello)- Nella notte fra il 29 e il 30 maggio
del 18, dal campo d'aviazione di Marcon (Venezia), decollava un Voisin. Se un osservatore fosse stato presente, sarebbe rimasto stupefatto nel vedere cosa caricava questo aereo, pilotato dal capitano GELMETTI, con a bordo due Bersaglieri in borghese, vestiti da contadini: il tenente CAMILLO DE CARLO e il soldato Giovanni BOTTECCHIA.
Non erano loro ad essere singolari, perchè anche in altre occasioni si
trasportavano oltre il fronte agenti da infiltrare, ma il carico che era strano; piccioni abituati a volare di notte e di giorno ovunque
sopra le trincee. Dopo una pericolosa trasvolata notturna, sorvolarono il Piave, e con un'altra azione pericolosa, il pilota atterrò in un prato nei pressi dei campi di Aviano. Il pilota scaricò i due avventurosi e
i piccioni poi, mentre lui decollava per ritornare alla base, i due attraversando campi e fossi con le gabbie in mano, superarono il Colle di Savarone, a Polcenigo, guadarono la
(il) Livenza ed infine giunsero a Fregona, nella fattoria di De Carlo….- Mario Boranga, all’epoca corridore, ci rivela un atteggiamento particolare del campione che, educato com'era, avvertiva compagni e avversari quando decideva di rompere gli indugi e andare da solo fino al traguardo. “ E' così che mi sono trovato alla partenza di una gara ciclistica di Km 108, vinta da Bottecchia, per distacco, a 36 Km l'ora…Era anche il tempo in cui, ad un certo punto di una gara, Ottavio poteva rivolgersi ai concorrenti, ancora con lui nel gruppo di testa, dicendo bonariamente loro: "A vae mi", nella sua parlata di San Martino di Colle Umberto, ed effettivamente se ne andava e lo rivedevamo solo al traguardo. Io arrivai buon ultimo, però entro il tempo massimo”. Vince come detto gare locali in Veneto e poi il grande salto alla Milano Sanremo come indipendente (isolato) nel 1922. Sul Turchino stacca tutti, ma su Via Roma è ripreso. Bruno Roghi, giornalista, lo trova al Bar della Stazione che compra una cartolina per la moglie e così lo descrive "Povero diavolo. C'era da convenirne badando al suo vestito civile, sbrindellato e liso. Recava a tracolla una bisaccia, c'erano dentro pane e formaggio, se li era portati dal paese; le "ghiottonerie" del rifornimento le avrebbe riportate a casa, intatte, perché mangiassero un po' meglio del solito, i suoi". Bottecchia aveva ormai 29 anni, un viso ossuto e stirato, due occhi grigi un po' spiritati (maligni), proprio da uccello rapace, un nasone simile a un fendente d'osso. Parlava poco, e in dialetto veneto, brusco, sospettoso. Sotto la pelle formicolava la collera inconscia del contadino che la tira dura, e ce l'ha con la sua fatica di tutti i giorni. L'anno dopo (1923) mentre corre il Giro d'Italia a Bologna, dove fa tappa la corsa, viene notato da un vecchio campione francese, Henry Pélissier, che lo vuole nella sua squadra al Tour de France, la "Gran Boucle". Il giro d’Italia intanto finisce bene per lui, primo degli isolati (senza squadra) e 5° in assoluto. Il Tour invece è corsa nuova per lui e lui è sconosciuto ai francesi. Qui finisce ancor meglio, 2° posto (dopo il suo capitano per dovere di squadra) e dopo aver conquistato la maglia gialla sul Tourmalet. Si trovava particolarmente a suo agio sulle strade del Tour in quanto, a differenza dell'Italia, gli organizzatori si spingevano a portare le corse anche su salite che potevano sembrare invalicabili. E non era raro vedere atleti andare a piedi nei tratti troppo duri (i cambi d'allora non erano come quelli d'oggi). "Assassini" aveva detto all’indirizzo degli organizzatori il corridore Octave Lapize su uno di questi tratti nel vecchio tour del 1910; Lapize non solo vinse quella tappa (Tourmalet) ma anche il Tour. Le distanze da percorrere nelle varie tappe erano talmente lunghe che molto spesso si partiva col buio, naturalmente senza fanali : durante la fase "notturna" della corsa i concorrenti procedevano a passo d'uomo fino a che albeggiava. Gli offrono contratti per riunioni in pista e soldi come non ne aveva mai visti. Con le vittorie arrivano anche il "lesso" e la celebrità. Va ad abitare a Pordenone e, come Creso, tutto quello che tocca diventa oro. Grandi auto, villa padronale e grande magnanimità con tutti. Nel ‘24 vince la prima tappa del Tour e tiene la maglia Gialla fino all'ultimo, record eguagliato solo da Anquetil, anni dopo, a cui il Tour de France veniva confezionato su misura. (anche questo campione, Anquetil, dalla vita privata tormentata come Coppi, ebbe una morte precoce per cancro, si disse dovuta alle conseguenze del doping. Per non aver voluto sottoporsi a un test antidoping, la federazione internazionale non omologa il suo record dell'ora che stabilisce nel settembre del 1967 al Vigorelli. Dirà lui, ma lo diranno dopo tanti “un corridore mediocre non diventa un campione con il doping" lasciando tutti nel dubbio). Bottecchia a proposito del doping: (allora si chiamavano bombe) “Le nostre fatiche, le nostre sofferenze.. il doping indispensabile ?!..Per quest’ultima questione, io non posso dire nulla, poiché non ho mai corso usando prodotti eccitanti o stupefacenti... Ho invece molto sofferto, nel corpo e soprattutto agli occhi, a causa della polvere...” TOUR DE FRANCE Fece polpette degli avversari nella Bayonne-Luchon, tipica tappa pirenaica con ben cinque colli da scalare: il secondo arrivato, Lucien Buysse, giunse a 18’58”. In due tappe aveva dato 50 minuti di distacco a tutti. Erano anni in cui era normale un distacco tra il primo e il secondo anche superiore a un’ora!. Per i francesi ormai è un mito e altri soldi arrivano, questa volta per impiantare una piccola officina che produce bici col suo nome. Nel 1925 il Tour è di nuovo suo con 54 minuti su Buysse. Una caduta in bicicletta e una persistente bronchite lo tolgono dalle corse per un anno. Bottecchia non riuscì a ripetere in Italia i successi transalpini: quinto a una Milano-Sanremo, quarto al Giro di Lombardia. Nel 1926 tentò il terzo trionfo in Francia alla "Gran Boucle" , ma fu costretto al ritiro. Al Lombardia del 26 l'avversario da battere è Alfredo Binda di 8 anni !! più giovane. La giornata è apocalittica: piogge, frane ed acqua sul lungolago di Como (40 cm). Sul Ghisallo Bottecchia attacca, ma viene ripreso dai gregari di Binda. Si stacca di nuovo e allora Binda lo va a prendere di persona (si disse avesse bevuto 34 uova fresche, il doping d'allora). Binda al traguardo ha più di mezz'ora di vantaggio sugli avversari, fa in tempo a far la doccia e a ritornare sulla linea del traguardo per veder arrivare il secondo. 1923. Rampe del Turchino. La folla che si aspettava i campioni vede passare un perfetto sconosciuto di quasi 30 anni di nome Bottecchia indipendente. Ad Arenzano il gruppetto dei migliori è di nuovo unito. Bottecchia ritenta un attacco sui Piani d'Invrea e infatti attraversa tutto solo il lungomare di Varazze, ma viene immediatamente ripreso dagli uomini di Girardengo. Il controllo della squadra di Girardengo è ferreo. Cala l'andatura ed ecco che altri ritardatari riescono ad accodarsi. Non succede più niente fino all'attacco dei Capi. Nuova selezione in salita ma si arriva in volata e Girardengo ce la fa con l'aiuto di tre compagni di squadra. All'ultimo chilometro sono infatti Gremo e Lucotti a fare l'andatura per il novese che è protetto sulla ruota da Azzini. Quando i due battistrada si fanno da parte, Girardengo lancia la sua volata e così fa anche Tano Belloni che trova sulla sua strada Azzini; per Belloni il suo solito secondo posto. Girardengo vince invece la sua terza (18/21) Sanremo Ottavio nel 26 ha ormai 32 anni, non è più un ragazzino i chilometri pesano nelle gambe. |
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esploratori d'assalto Questi reparti erano l’anticamera degli arditi. Già all'inizio della guerra erano stati addestrati dei militari esploratori (fregio manica: stella a sei punte) incaricati di precedere il reparto e prevenire attacchi nemici con rilevazioni topografiche esatte. Ogni reggimento quindi aveva un Plotone esploratori ripartibile fra i Battaglioni. In questa funzione, a guerra iniziata, gli esploratori si trovarono di fronte al filo spinato ed alla necessità di aprire un varco. I primi ad usare l'arma adatta a neutralizzare e superare i reticolati, furono i soldati del Genio che affiancarono la fanteria fino a che anche questa non si dotò di propri plotoni adatti. |
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MILANO SANREMO 1924
Km –286,5 |
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1924, dodicesimo Giro d’Italia. Non si vedono campioni al via. Le solite beghe di soldi. La Gazzetta dello Sport apre allora la corsa agli isolati, a quei ciclisti di ventura che ci sono sempre stati (tra quelli, l’anno prima, c’era Ottavio Bottecchia, quinto all’arrivo). Poiché gli isolati corrono senza assistenza, senza appoggi, l’organizzazione provvede alle necessità dei 90 concorrenti: la dispensa contiene 600 polli, 750 kg di carne, 50 kg di burro, 720 uova, 4.800 banane, 4.800 mele e arance, 2.000 bottiglie di acqua minerale, zabaione, biscotti, cioccolata e molto altro ancora. Il Giro d’Italia 1924 annota anche una regina, Alfonsina Strada, accolta in gara con i maschi, contro di loro. Cade finisce fuori tempo massimo ma prosegue. Quel Giro lo vince Giuseppe Enrici, trentenne, piemontese. |
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Tour de France, la "Gran Boucle". http://www.memoire-du-cyclisme.net/eta_tdf_1914_1923/tdf1923.php e gli anni successivi |
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Alfredo Binda (Cittiglio (VA) 11/8/1902 – 1/1/ 1986) |
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Con un altro grande del suo tempo Learco Guerra, detto "locomotiva umana" non ebbe modo di battersi perché come lui, ma per motivi diversi arrivò tardi al professionismo (riuscì ad aggiudicarsi il titolo tricolore del mezzofondo all'età di 40 anni). la coppia del tempo fu Binda - Guerra come in seguito avremo quella Coppi - Bartali. L'unico che poteva misurarsi con Bottecchia fu Girardengo ma gli scontri diretti furono pochi. |
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"It
would be dangerous to follow Bottecchia (here pictured on the Izoard) up
a mountain pass, it would be suicidal",
said future winner of the Tour Nicolas Frantz.
"His progression is so powerful and regular that we would be
asphyxiated". Alfonsina strada una
donna in mezzo agli uomini, l’unica ad aver disputato un giro d’Italia
maschile |
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Il Monumento a Bottecchia a Peonis. Foto A. Cecchini) |