|
Il
BRIGANTAGGIO
Francesco II, Franchini, Pietrarsa, la situazione e la questione
meridionale, Mafia Gabelle e Gabellotti
|
(definizione
da enciclopedia)
Ampio fenomeno misto di banditismo e di ribellione politico-sociale nelle campagne del Mezzogiorno.
Fece seguito all'unificazione italiana che, con l'imposizione di misure amministrative e fiscali di particolare durezza, ivi comprese la completa abolizione dei secolari usi comuni (civici) delle terre a tutto vantaggio del latifondo, …
dando esca, ...alla propaganda filoborbonica e clericale, ostile al nuovo stato liberale, a sua volta incapace di una politica che non fosse di pura repressione
... Le bande di briganti, che già costituivano un male endemico di quelle campagne, si ingrossarono rapidamente, raggiungendo le migliaia di unità e dando vita a episodi di violenza cieca e raccapricciante ma anche all'occupazione temporanea di interi e popolosi centri fino al rischio di unificarsi in un esercito insurrezionale. Contro di esse fu istituito
lo stato di guerra (militarizzazione del territorio e pieni poteri legalizzati con la legge Pica nel 1863)
affidato ai generali Enrico Cialdini prima e Alfonso La Marmora poi, al comando di 163.000 uomini
(20.000 bersaglieri, cavalleria, fanti, 6.900 carabinieri e 84mila militi della guardia nazionale e
civica), che eseguirono spietate rappresaglie facendo terra bruciata intorno alle bande per poi annientarle sul
campo.
|
Nel 150° delle celebrazioni dell'Unità d'Italia RAI 3
smonta pezzo per pezzo il mito del Risorgimento (almeno al sud) e lo fa
dando voce, non ai grandi cattedratici, ma a gente semplice di luoghi
interessati a suo tempo dal fenomeno che vivono sulla ricerca e la
trasmissione dei ricordi di padre in figlio. documentario diviso in
più parti
http://wn.com/Briganti_Geo_Geo . Ma qualcuno,
Antonio Gramsci, aveva già detto a questo proposito
prima e dopo.
"Lo stato italiano è stato
una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e
le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri,
che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti"
Antonio Gramsci in "l'Ordine nuovo" 1920
La casta degli storici che non insegna
nulla di Marcello Veneziani
Egregi storici di professione che liquidate
con disprezzo i testi e le persone che a nord e a sud criticano il
Risorgimento e ne descrivono massacri e malefatte, dovreste tentare
un’autocritica onesta e serena. So che è difficile chiedere a molti di
voi l’umiltà di rimettere in discussione le vostre pompose certezze e il
vostro sussiego da baroni universitari. Se oggi escono libri e libercoli
a volte assai spericolati, poco documentati e rozzi nelle accuse,
nostalgici del passato preunitario, lo dobbiamo anche a voi. Se nei
libri di testo e di ricerca, se nei corsi di scuola e d’università, se
nei convegni e negli interventi su riviste e giornali, voi aveste
scritto, studiato e documentato i punti oscuri del Risorgimento, oggi
non ci troveremmo a questo punto. E invece quasi nessuno storico di
professione e d’accademia, nessun istituto storico di vaglia ha mai
sentito il dovere e la curiosità di indagare su quelle «dicerie» che ora
sbrigate con sufficienza. Ho letto e ascoltato con quanto fastidio - e
cito gli esempi migliori - Giuseppe Galasso, Galli della Loggia, Lucio
Villari parlano della fiorente pubblicistica sul brigantaggio, i borboni,
i massacri piemontesi e i lager dei Savoia. Ne parlano con sufficienza e
scherno, quasi fossero accessi di follia o di rozza propaganda. Poi non
si spiegano perché tanta gente affolla e plaude i convegni
sull’antirisorgimento, a nord o a sud, e disprezza il Risorgimento, se
un libro come Terroni di Pino Aprile sale in cima alle classifiche, se
nessuno sa dare una spiegazione e una risposta adeguate alle accuse
rivolte ai padri della patria. Curioso è il caso di Galasso che prima
accusa i suddetti antirisorgimentali di scrivere sciocchezze e poi dice
che erano cose risapute; ma allora sono vere o no ? (ndr
di questo sito: se gli storici chiamati in causa da Veneziani han raccontato balle si vede che ne avevano un
tornaconto politico ed economico come la maggior parte degli
intellettuali d'ultima generazione non dissimili dai loro predecessori
"borbonici")
i mille
http://www.youtube.com/watch?v=zB7d1XD-OEQ&feature=related
film completo
bronte
http://www.youtube.com/watch?v=RmNhU6d1FNs&feature=related
film completo
|
'espugnazione
di Gaeta decreta, se ce ne fosse ancora bisogno, la fine dei Borboni. Il
nuovo status nazionale sta mettendo a nudo un'infinità di problemi:
primo fra tutti la presenza di un nuovo stato e quindi di un nuovo ordine,
politico ed economico,
al sud.
Lo stato
nazionale fatto di leggi, di diritti ma anche di doveri era per i più incomprensibile.
Il clero ricco istigava nei
poveri il concetto che lo stato fosse anticlericale (e lo aveva già
ampiamente dimostrato), perché voleva la fine
del papato e dei benefici della
chiesa. Nel mezzogiorno e nelle isole le condizioni di vita, il livello
dell'educazione e quello del reddito sono molto bassi, specialmente
nelle zone interne scarsamente collegate. Ecco dunque un terreno ideale per la leggenda del
fuorilegge, il brigante, il
Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Le
bande che si costituiscono sono composte in parte da ex soldati
borbonici, delinquenti evasi o liberati, e anche da poveri braccianti. Insieme
formano bande di varie decine di persone, a volte migliaia,
che assaltano e occupano città e comuni. In mancanza di comunicazioni,
di un progetto e di una strategia "unitaria" la loro esistenza è a tempo.
Francesco II
e la moglie Sofia, scappati a Roma, fanno la loro parte con denaro e rifugio per chi varca i
confini del papato. Di fronte al ramificarsi del fenomeno, il governo
prende adeguate misure, già all'indomani dell'entrata a Napoli di
Garibaldi. Lo stesso Garibaldi vi era già stato costretto. Erano giunte notizie di bande che operavano nell'Abruzzo, poi
in Calabria, ed infine nelle isole. Ventiquattro dei trentasei
battaglioni bersaglieri a disposizione vengono dislocati nel Sud. Famosi capibanda furono Crocco, Nanco, il Generale spagnolo Borjes;
ecco poi un marchese di Namur, Alberto de Trezegnes agli ordini del
brigante Schiavone; Giacomo Giorgi nell'avellinese, i fratelli La Gala
evasi da Nisida che si mangiarono un contadino chiacchierone, Tamburini
nel Chietino, i fratelli Pomponio, il Tiburzi in Maremma e Musolino
nell'impenetrabile Sila.
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Esercito-LeggePica.htm#lotta
Giornale
“L’Operaio” di Napoli (1861) - Fasti brigantesco-papalini
Scrivono da
Roma, 7 dicembre 1861 alla Nazione:
Il comando e la polizia francese in Roma non solo non reprime, ma si può
anche dire che favorisce il brigantaggio. Prima di tutto non si capisce
come il Governo di Francia permette l’opera impunita dei comitati
legittimisti di Marsiglia e di Parigi, i quali forniscono alimento al
brigantaggio, in uomini, armi o denaro. In seguito posso darvi
assicurazione dei seguenti fatti. È stato dato il cambio alle
guarnigioni francesi del Frosinonese: nuovi mandati ebbero
un’allocuzione del generale De Goyon nella quale disse di non ispiegare
soverchio zelo contro i così detti briganti, perché niuna ricompensa od
onorificenza si dovevano aspettare, e non era cosa che riguardava la
Francia. I briganti arrestati all’osteria di Alatri sono stati tutti
rimessi in libertà, e a piccole squadre son tutti ripartiti per gli
antichi covili, rivestiti, pagati a 4 paoli il giorno, e con regolare
foglio di via pontificio. L’amministrazione delle strade ferrate si
presta anch’essa a quest’opera buona, arruolando come lavoranti questa
canaglia, radunandoli poi tutti in certo dato tempo a Ceprano, o in
altro punto di confine dove poi al passaggio di Chiavone si trovano
belli e uniti, e vanno con esso. Cosi appunto fecero 200 di costoro per
la spedizione d’Isoletto e San Giovanni in Carico.
Il campo Chiavone sta ora nella provincia di Marittima, e da Fossanuova
(abbazia) si vedeno i suoi fuochi e le sue tende: i Francesi li vedeno e
li lasciano stare. Quattro pezzi da montagna furono condotti nel
convento di Scifelli: ne fu dato avviso al comando francese di Veroli,
ma questi rifiutossi ostinatamente a far perquisire il convento, e i
quattro pezzi vi stanno ancora sicuramente a disposizione del
brigantaggio. È falso falsissimo che i Francesi siensi mai affrontati
coi briganti, tranne quella spedizione del tenente Antonmarchi, fatta
appunto a Scifelli, dove i briganti trassero sui Francesi, e i Francesi
risposero e li fugarono. Infine, lo scorso lunedì Chiavone era in Roma,
e doveva alla sera alle ore 5 e mezzo pomeridiane avere una conferenza
con parecchi capi-squadra di briganti, alla “locanda del sole” sulla
piazza della Rotonda, nel centro della città. La polizia francese ne fu
avvertita, ma Chiavone conferì sicuramente coi suddetti, concorsi in
numero di trenta circa, e solo la seguente mattina, quasi a dileggio, si
presentarono alcuni birri papali a domandare se v’era Chiavone. Questa,
e non altra, è la cooperazione francese alla repressione del
brigantaggio. Vi dissi già che quel Ferdinando Ricci, capo brigante,
arrestato dai Francesi, è stato dimesso dal consiglio di guerra; qualche
persona, che può essere al caso di saperlo positivamente, mi assicura
che i giudici di detto consiglio furono il giorno innanzi, invitati a
pranzo da Francesco II (abitava in Roma), e vi andarono. Ne meno
sfacciata è la cooperazione del Governo papale in promuovere e fornire
il brigantaggio: vi rammentate di quei sessanta briganti arrestati pro
forma verso Palombara dai gendarmi papali, e custoditi poi nella stessa
caserma dei gendarmi? Or bene, lo stesso giorno del loro arrivo, due
uffiziali di gendarmeria si portarono in carrozza chiusa al magazzino
d’abbigliamento militare a San Giacomo, e l’ho da persona che li vide
cogli occhi propri, là caricarono una quantità di vecchie uniformi e
pantaloni, e i briganti cosi rivestiti furono rimandati ad ingrossare la
banda di Chiavone: parecchi di costoro colla detta uniforme si
trovarono, e furono uccisi a San Giovanni in Carico.
Se poi volete sapere come dal Governo papale si alimenti il brigantaggio
estero, ecco qual’è la trafila. Il Comitato legittimista di Marsiglia,
che fa capo al signor Anatolio Lemercier, finge di arruolare dei Belgi e
dei Francesi pel servizio della Santa Sede: a tal fine dà loro una carta
con un bollo analogo. Gli arruolati vengono sui postali francesi a
Civitavecchia, donde il monsignor Delegato li spedisce colla ferrovia a
Roma. Qui vengono subito presi in consegna dal signor Luzzi segretario
particolare di De Merode, i quali hanno la posizione segreta e sono
esclusivamente incaricati del servizio militare borbonico. Sopra un
semplice ordine di De Merode, vengono forniti dal magazzino militare le
vesti, gli armamenti, le cariche, senza sapere a chi, e mettendo solo
come documento l’ordine suddetto. I signori Lepri e Luzzi passano
immediatamente i detti arruolati nei ruoli borbonici: li fanno dormire
alla spicciolata nei quartieri dei battaglioni esteri presso S. Maria
Maggiore, e fanno ad essi somministrare il vitto dalla taverna di un
certo Rufinoni, presso la detta basilica, in uno stanzone appartato
dietro la cucina, ove non entra alcuno. Dopo qualche giorno i detti
arruolati o vengono spediti ai confini per Chiavone, o vengono rimandati
a Civitavecchia, dove il console napoletano signor Galera tiene in
pronto i posti nei vapori postali francesi, e mediante questi li manda a
Napoli, se possono andare senza sospetto o più ordinariamente a Malta,
Cosi si è formata la banda Boriès e Langlois che ora va desolando la
Basilicata. Del resto è continuo l’andirivieni dei legittimisti di tutte
le specie. Lo scorso martedì uno di costoro, che si dice gran signore si
portò al conte di Trapani e gl’insinuò d’indurre Francesco Il a fare due
proclami, uno agli operai, uno alla nobiltà di Francia. Con questo detto
il signore sperava far gran concorso nelle file reazionarie ed
assicurava più volte che il terreno era stato ben preparato all’uopo.
(lbidem; 22 dicembre 1861, n° 7)
Secondo Gaetano
Salvemini:
"Contro la duplice oppressione cui li hanno sottoposti in questi cinquant'anni di unità politica i "galantuomini" locali e l'industrialismo settentrionale, i "cafoni" meridionali hanno reagito sempre, come meglio o come peggio potevano. Subito dopo il 1860 si dettero al brigantaggio: sintomo impressionante del malessere profondo che affaticava il Mezzogiorno, e nello stesso tempo indizio caratteristico del vantaggio che si potrebbe ricavare - quando ne fossero bene utilizzate le forze - da questa popolazione campagnola del Sud, che senza organizzazione, senza capi, abbandonata a se stessa, mezzo secolo fa tenne in scacco per alcuni anni tanta parte dell'esercito
italiano". |
Il deputato Ferrari, nel novembre 1862 grida in
aula:
«Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borbone sul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120.000 uomini? Ho visto una città di 5000 abitanti completamente distrutta e non dai briganti»
(Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito italiano il 13 agosto 1861). Massimo D’Azeglio nel 1861 si domanda in aula come mai «al sud del Tronto» sono necessari «sessanta battaglioni e sembra non bastino»:
«Deve esserci stato qualche errore; e bisogna cangiare atti e principii e sapere dai Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no… agli Italiani che, rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo non abbiamo diritto di dare delle
archibugiate». |
Disraeli
ex cancelliere dello Scacchiere (e futuro primo ministro),
alla Camera dei Comuni
di Londra, nel
1863:
«Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle dei Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due
movimenti».
Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863, l’esercito italiano ha catturato «con le armi» e perciò fucilato 1038 rivoltosi; ne ha uccisi in combattimento 2.413; presi prigionieri a vario titolo 2.768 (ma la stima è 10 volte più alta).nL'anno 1863 fu tra i più duri della campagna:Omicidi commessi dai briganti n. 379, Sequestri commessi dai briganti 331,
Capi di bestiame uccisi o rubati 1.821, Briganti morti in conflitto 421,
Briganti fucilati 322, Briganti arrestati 504,
Briganti costituitisi 250, Militari dell'Esercito caduti in conflitto
228, Feriti 94 |
Cattura del
Borjes da parte del
Maggiore Enrico Franchini
del XXVIII btg.
Rapporto dettagliato.
Da "Il brigantaggio
alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863" del conte Alessandro Bianco
di Saint-Jorioz. ...Tutto in questo paese favorisce il brigantaggio:
la povertà dei coloni agricoli, la rapacità e la protervia dei nobili e
dei signori; l'ignoranza turpe in cui è giaciuta questa popolazione:
l'influenza deleteria del prete; la superstizione, il fanatismo,
l'idolatria fatte religione e santificate; la mancanza del senso
morale...... lo spettacolo schifoso della corruttela negli impiegati,
nella magistratura, nei pubblici funzionari, la rapina , il
malversare....tutti i vizi, come tutte le miserie si sono scagliate
sopra questo infelice popolo, si può dire, per servirmi di un vieto e
rancido paragone mitologico, che la famosa scatola di Pandora sembra
essersi riversata su questa infelice e misera quanto bella e amena
terra...continua a
briganti
Borjes e gli altri, processati, vengono condannati a morte. La
lotta fra briganti da una parte e guardie municipali, civiche, carabinieri e
reparti dell'esercito dall'altra, si svolge fra violenze inaudite ed
esecuzioni sulle pubbliche piazze nella speranza che il fenomeno
regredisca. Soldati e briganti, invece di combattersi apertamente, si
cacciavano come selvaggi: nessuna legge, nessun quartiere. Il gen.
Pinelli e il magg. Fumel opposero terrore a terrore. I briganti,
sorprendendo qualche manipolo di soldati, li martoriavano e mutilavano
vivi; scene di cannibalismo desolavano campagne e villaggi; si vendeva
sui mercati e si mangiava carne di soldati; mezze compagnie di
bersaglieri, accolte a festa in qualche borgo,
erano convitate ed
avvelenate dalle stesse autorità municipali. Vennero saccheggiati
paesi, arse a dozzine le borgate (anche per rappresaglia in seguito alla efferata uccisione di
una compagnia di soldati a
Pontelandolfo vedi sotto)
senza pietà ne per infermi, ne per
fanciulli e vecchi; si fucilò a caso per qualunque sospetto; non si
vollero prigionieri, ma cadaveri.
Accanto alle repressioni legate al
brigantaggio si ebbero anche le proteste sorte nei civili consessi,
legate spesso alle scelte economiche che vedevano il sud sempre più
emarginato come agli stabilimenti ferroviari di
Pietrarsa. Il
brigantaggio però prosegue ancora per tutti gli anni 60, ed in misura
diversa, con bande ridotte, fino alla fine del secolo. Se prima si
parlava di "Situazione
Meridionale", ora si comincia a parlare di
Questione
(problema) meridionale sotto tutti gli aspetti.
Con l'affermarsi
dell'amministrazione centrale e la dislocazione in ogni comune dei
Reali Carabinieri (nel corpo entrano anche le guardie meritevoli, dei
rispettivi stati accorpati), la lotta prosegue fra alterne vicende
finché il fenomeno viene a confondersi con la normale criminalità.
E' degli anni 70 la costituzione in Sicilia
dei Bersaglieri a cavallo, circoscritti a soli quattro plotoni di circa
100 uomini, coadiuvati per gli animali da personale di cavalleria per
combattere il fenomeno mafioso.
L'armamento è quello tipico dei cavalleggeri, uno schioppo
corto, facilmente maneggiabile una volta appiedati. Non fu mai reparto
organico, ma di circostanza giacché faceva montare chi aveva
dimestichezza con la sella (cosa che allora erano ancora in molti ad
avere). La dislocazione su tutto il territorio del nuovo esercito
italiano (130
reggimenti ) e le nuove norme di leva, amalgamarono le varie
componenti nazionali. L'erede al Trono, da principe di Carignano, divenne
principe di Napoli. A Torino, città ormai periferica rispetto a Roma, stava per
nascere la FIAT e il cinema italiano.
Un altro
capitolo si è aggiunto alla terna di sopra
MAFIA, GABELLE E GABELLOTTI
per meglio comprendere il passato e il presente e il libro
"I Lager dei Savoia"
.
Nota 1- A San Giuseppe Jato, presso Palermo, dei malfattori in pochi mesi avevano commesso numerosi delitti e cinque omicidi per vendetta. I soldati stavano dando loro la caccia. Una sera il carabiniere Nosenza e il bersagliere Mordio,
nella stampa sopra, si imbatterono in tre uomini armati; all'intimazione di fermarsi quelli presero a sparare, uccidendo il carabiniere. Il bersagliere a sua volta uccise un malandrino, egli altri due fuggirono; l'indomani uno venne ritrovato morto.
Nota 2- Il dipinto del 1861 di Francesco Saglieno,
in alto a destra nella pagina, conservato a Napoli nel Museo di Capodimonte illustra un episodio realmente accaduto: reparti di bersaglieri e della Guardia Nazionale attaccano una banda di briganti in una impervia zona appenninica nei pressi di Civita
Castellana (Vt).
|
L'AGGUATO DI PONTELANDOLFO
Come ogni tanto succede un navigatore
mi scrive -
Giorgio D'Auria, .... I morti
forse superano il migliaio, considerato che solo Pontelandolfo aveva
circa 5.000 abitanti (seguono "complimenti immaginabili di
prammatica") e mi contesta parte delle affermazioni fatte sopra, che
per accessibilità alla rete anche ai più giovani non ho inteso sciorinare nella
sua violenza e che ora mi trovo costretto ad accennare. Non sono
innamorato dello scoop alla Pansa che fa del singolo il generale
(ma
quella di Pansa oltre che una provocazione è una questione economica,
scrive per mangiare). Nei
capitoli già pubblicati ognuno ha avuto i suoi meriti e chi non li ha
avuti, c'era a mio modesto avviso il motivo che non li avesse. A Pontelandolfo
le cose si spinsero per entrambi gli schieramenti oltre i limiti dello
scontro fisico
allora imperante. Il "patriottismo" se cosi lo si vuol definire fatto da
ex soldati, ufficiali legati alla causa monarchica di Francesco II e del
Papa Re ci poteva anche stare, pur non avendo alcun piano politico predeterminato alle spalle. Qualcuno a volte parla di
colonialismo da parte dei Piemontesi, ma il colonialismo c'è quando un paese conquistato non ha
poi diritto al voto e non fu questo il caso. Colonialismo c'è
quando sono gli occupanti a conquistare i gangli vitali della
amministrazione, ma anche questo non è vero perché fu il contrario,
furono i meridionali ad impossessarsi dello stato burocratico, girare
per credere. Ma torniamo
all'episodio in se che ha corso dai primi giorni di agosto del 1861, con schermaglie
violente fra le stesse forze
locali contrapposte (reazionari e antireazionari a significati
invertiti) che si affrontano aizzate dal clero, la cui funzione
non venne mai disconosciuta dai vertici romani e dallo stesso pontefice
che ora vorrebbero fare santo. Non ritengo di aggiungere nient'altro
lasciando al lettore le conclusioni.
E
la strage ebbe inizio...... parole di Cosimo Giordano
il bandito dal
carcere al Presidente della Corte d'assise di Benevento il 23 aprile
1884 (Cosimo Giordano nato a Cerreto Sannita ex carabiniere a cavallo
dell'esercito borbonico, combatté contro i piemontesi. Catturato nel
1882, morì in carcere nel 1887 )
"Ill.mo Sig. Presidente, il sottoscritto, nel momento dello esame, mi
sono dimenticato di accennarli il caso strano della morte di quarantasei
soldati(ndr: piemontesi), che furono trucidati in Pontelandolfo. Io le darò le
spiegazioni di come fu successo il fatto. Io mi trovava sulla montagna
di Morcone colla mia banda, quando le mie sentinelle mi chiamarono,
dicendomi "vediamo venire due a tutta corsa e facendo segni con le
mani", e dicevano "sono arrivati quarantasei soldati al paese. "E che
cosa l'avete fatto?" "Li siamo ligati, e siamo venuti per sapere cosa
volete fare". Io ho risposto: "Andate subito, e ditegli da parte mia che
non gli facciate nessun oltraggio, che io sarò subito appresso di voi".
Così partirono essi avanti e noi appresso, quando, arrivato a
Pontelandolfo, domandò: "Dove sono?". Mi fu risposto che erano stati
presi e portati in una grotta distante dal paese, e li hanno fucilati;
ed io fu tanto dispiaciuto che li risposi: "Malvagi che site, perché
avete fatto questa viltà a que' poveri disgraziati, che quelli erano
soldati che avevano preso il giuramento come noialtri, per cui devono
servire il comando de' loro superiori: ma è sicuro che un giorno vi
pentirete di questo torto che avete fatto ad essi ed a me". Ed io partii
con la banda sulla montagna. Dopo qualche giorno fui chiamato che
m'avessi portato in Pontelandolfo. Subito discesi con 250 della mia
banda, e mi dissero che avevano avuto la spia che venivano 250 soldati
da Solopaca. Io mi accampò al di fuori del paese presso le sentinelle,
rimasto d'accordo, che quando venivano i soldati, di far suonare le
campane all'arma, e così sarebbero accorsi tutti quelli della città e
quelli della campagna. All'alba della mattina io feci battere la sveglia
dalle mie trombe, perché subito scoprii quattro colonne di soldati, e
subito capii che era la vendetta che facevano de' quarantasei soldati, e
io, per fare pentire gli uccisori del macello fatto a quei poveri
infelici, feci sparare qualche colpo, ma poi feci battere ritirata. I
soldati entrarono e cominciarono a bruciare le case, ed io non volli più
saperne di quel paese. Poi dopo seppi che si facevano molti arresti di
giorno e di notte, e li portavano a Cerreto Sannita, e che subito erano
fucilati, e così pagavano la loro pena. Il suo subordinato detenuto
Cosimo Giordano"
"Non tutti sono colpevoli". Ed ecco farsi innanzi al Melegari un
vecchio di 80 anni, dignitoso e fiero nell'aspetto. "Maggiore
comandante, io ho cercato di distogliere il sindaco e i cittadini dai
propositi reazionari, ma mi hanno trattato da vecchio rimbambito
rispondendomi che Francesco II sarebbe presto ritornato alla conquista
del Regno. Non ho paura per me, sono ad un piede dalla fossa;
risparmiate le mie due sorelle". Melegari, commosso acconsente. "Ditemi
tuttavia dei 45 (uno si salvò) poveri soldati sopraffatti a tradimento e trucidati
barbaramente". Il vecchio racconta, senza nulla tacere.
"I soldati
opposero bensì una disperata difesa, ma sopraffatti, sfiniti, caddero in
mano d'una turba selvaggia e sanguinaria che, non sazia di trucidarli,
commetteva su di loro, fra i più atroci tormenti, le più oscene sevizie.
I due ufficiali, legati nudi agli alberi, costretti prima ad assistere
all'eccidio dei loro soldati, venivano poi torturati in tutti i modi: le
donne, furibonde, conficcavano loro ferri negli occhi, e tutte le membra
del corpo erano barbaramente flagellate e mozzate (ci furono atti di
cannibalismo). Ad un sergente solo
fu risparmiata la vita dai briganti, imponendogli il giuramento che egli
avrebbe combattuto con loro per la santa causa, e quest'infelice deve
ora trovarsi chiuso nella torre di Pontelandolfo".
Truppa Italiana Colonna Mobile – Fragneto Monforte lì 14 Agosto
1861 ore 7 a.m. - stop- Oggetto: Operazione contro i Briganti: - stop - Ieri mattina
all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. - stop- Essi
bruciano ancora. Il sergente del 36° Reggimento, il solo salvo dei 46, è
con noi. - stop - Divido oggi le mie truppe in due colonne mobili; l’una da me
diretta agirà nella parte Nord ed Est, - stop- l’altra sotto gli ordini del
maggiore Gorini all’Ovest a Sud di questa Provincia. - stop- Il Luogotenente
Colonnello Comandante la Colonna; firmato Negri (probabilmente Pier
Eleonoro).
Gaetano Negri*, futuro Sindaco
di Milano ai genitori (*scrisse anche il libro “Caccia ai Briganti” e fù
per molto tempo indicato come l'ufficiale Negri comandante la colonna)
Napoli,
agosto 1861- Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non
essere molto liete. Probabilmente anche i giornali nostri avranno parlato
degli orrori di Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio
commisero il piu' nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma
la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per
questo meno barbara. Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese,
uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il
fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto. La stessa
sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di
Pontelandolfo. Sembra che gli aizzatori della insurrezione di questi
due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei
villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio
e alla rivolta. Se invece dei
briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla
superstizione,
si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben
inteso!), il castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú
sicuri e piú pronti. - Gaetano Negri
Per
non lasciare nulla di intentato
e per verificare
al
di là della ferocia gli effettivi numeri della strage
mi rifaccio a un testo di parte, come direbbe
Gaetano Negri, uscito
dalle mani dei Preti.
Brani tratti dalla ricerca di Luisa Sangiuolo da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880"
De Martino, Benevento, 1975
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio%5CStoria%5CCasalduni.htm
#allarme e Davide Fernando Panella da: "Brigante in terra nostra" a
cura: Associazione Progetto Domani - Cassa Rurale ed Artigiana del
Sannio Calvi (BN) - Stampa Borrelli, San Giorgio del Sannio (BN), 2000
http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Casalduni5.htm
….. Tra i documenti più importanti per conoscere i fatti
del 14 agosto vi sono i libri dei morti degli archivi parrocchiali dei
due paesi, e una memoria scritta dal parroco di Fragneto Monforte.
Questi documenti furono redatti da sacerdoti, protagonisti e testimoni
oculari di quanto accadde, contemporaneamente ai fatti narrati e sono,
quindi, da ritenersi fonti primarie. Nei Registri dei morti di
Pontelandolfo e di Casalduni, il 14 agosto 1861 è indicato come il
giorno dell'incendio, in quello di Fragneto Monforte, il giorno
dell'incendio e del saccheggio. Attraverso la loro lettura diretta
cerchiamo di conoscere esattamente il numero delle vittime di quel
giorno e quali furono le conseguenze dell'incendio e del saccheggio. Dal
progressivo 99 al 110 con un 109 bis del giorno 14 agosto 1861…
i morti .. sono 13 (civili), di cui 10 furono uccisi e 3 morirono
bruciati. I morti bruciati sono due anziani: di 94 e 89 anni e uno di 55
anni, che morì dopo due giorni.
LA "VERSIONE"
DEL CORRIERE
http://www.corriere.it/cultura/speciali/2010/visioni-d-italia/notizie/03-civitella-del-tronto-galasso-esercito-franceschiello_44ed8514-cfc9-11df-8a5d-00144f02aabe.shtml
e salto direttamente
alle conclusioni: Il parroco, infatti, stigmatizza tutte
le azioni degne di biasimo. Per i fatti dell'11 agosto: ritiene
inopportuna e poca saggia la decisione di mandare appena 45 soldati a
sedare la rivolta non solo in questi due paesi: fu stupido, ed inetto
comando di Superiore . . Furono mandati al macello, mandati ad essere
uccisi. Il suo giudizio verso gli autori dell'eccidio è durissimo,
soprattutto per le donne: Vergogna eterna di Casalduni!
Mi si racconta
che molte femmine macchiarono le loro mani di sangue umano! Che colpa eravi di sventurati infelici soldati di leva? Il suo grido di condanna è
ancora più forte per le decisioni di Torino perché confondendosi il
giusto col reo, con novella barbarie fu decretata la distruzione di due
Comuni Pontelandolfo e Casalduni! Lapidario ed esemplare è sicuramente
il suo giudizio nei riguardi del decreto di Torino che fu senza
riflessione, umanità e giustizia. Questi tre passaggi sono veramente
degni di nota, e descrivono molto bene l'agire governativo: fu
istintivo, disumano e ingiusto. Quello che era necessario, cioè trovare
i responsabili dell'eccidio dei soldati e processarli, non fu fatto. Fu
scelta l'unica strada da evitare, la strage indiscriminata. La sua
condanna continua perché sono da disprezzare anche gli abitanti di
Fragneto Monforte, i quali, dopo che la fiera accozzaglia di soldati, e
garibaldesi avidi di bottini ha istituito il mercato del bottino di
Pontelandolfo e Casalduni, avidamente e per poco denaro hanno acquistato
degli oggetti. Non poteva immaginare l'arciprete che l'avidità e la
cattiveria umana non si arrestano neanche di fronte alle disgrazie più
grandi, e perciò ne resta scandalizzato. Ma l'arciprete, però, non è
solo testimone dei fatti; suo malgrado diventa protagonista, come
abbiamo già visto. E' da sottolineare, a questo punto, la facilità con
cui in questo periodo si poteva essere considerati reazionari, cioè
sostenitori dei Borbone, o rivoluzionari, cioè sostenitori dell'unità
nazionale. Infatti, con raffinata ironia, don Mastrogiacomo ci fa sapere
che il giorno 10 Agosto era un reazionario, il 15 era un rivoluzionario.
Stupisce, inoltre, la sua speranza: altro non restasi che preghiere e
pazienza; nella tragedia, il sangue versato da innocenti sarà seme di
tempi nuovi!
La ricerca storiografica deve portare alla conoscenza dei fatti, e su di
essi deve ergersi sovrana la verità. Per gli avvenimenti del 14 agosto
1861 si deve dire che oggi il clima di serenità e obiettività ci
suggerisce innanzitutto di non giustificare nessun massacro o di fare
delle vittime i colpevoli. Alle vittime conosciute del 14 agosto nei due
paesi, si devono aggiungere quelle anonime, causate dall'incendio e dal
saccheggio, come pure i soldati uccisi nel giorno 11 agosto.. E' lezione
storica la constatazione che nel passato sono stati raggiunti obiettivi
positivi attraverso fasi dialettiche di contrapposizione, di lotte aspre
e violente. Per questo motivo, a tutte le vittime dell'una e dall'altra
parte in quegli anni di tragica incomprensione e del mancato e corretto
modo di risolvere i difficili problemi politici e sociali, deve andare
il nostro onore incondizionato, perché dal loro sacrificio è derivato il
Bene dell'Unità Nazionale
da
http://www.instoria.it/home/brigantaggio_politico.htm
.... di Ciro Pelliccio - Le forze che si contrapposero furono notevoli.
Nel 1862 vi erano nell’ex regno 52 reggimenti per oltre 120.000 uomini,
83.927 uomini della Guardia Nazionale, 7.489 carabinieri che si
opponevano a 135-140.000 componenti le varie bande. Il bilancio della
“rivoluzione italiana” fu drammatico. Non esistono cifre precise, ma
quelle più accreditate danno, dal 1861 al 1870, 123.860 fucilati,
130.364 feriti, 43.629 deportati, 41 paesi completamente distrutti;
10.760 briganti condannati all’ergastolo, 382.637 briganti condannati a
pene varie. Da parte piemontese le perdite ammontarono a 21.120 soldati
caduti in combattimento, 1.073 morti per malaria o malattie o ferite,
820 dispersi. |
Raffaele Vacca da InformaSaggi
Carabinieri n.8 - ottobre 2012 …
Rapporto del Generale Amulfi al
Min. della Guerra: “la distruzione del brigantaggio in Calabria deve essere
considerata opera dei Carabinieri con il concorso delle Guardie Nazionali”
relazione su "Il Brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863", del
conte Alessandro Bianco di S. Joroz (già nel Corpo Reale di S. M. Generale) il
quale, dopo avere denunciato le carenze dello Stato, scrisse: "Ben diversamente
debbo dire dei Reali Carabinieri. Ogni encomio sarebbe minore al merito di
quest' Arma benemerita e insigne; la sua condotta morale, il modo urbanissimo
col quale disimpegna il suo servizio, il suo contegno sono superiori ad ogni
elogio. Queste popolazioni ne sono in ammirazione e ben a ragione, perocché,
avendo tuttora presente il modo vile, dispotico, burbero e brutale con cui erano
trattate prima non le par vero che il servizio politico e t' ordine pubblico si
possano tutelare con tanta moderazione, prudenza e dignità di modi, come ora
fanno i nostri Reali Carabinieri"
Le ricompense al Valor Militare assegnate durante la lotta al brigantaggio
all' Arma furono molte: 1 Medaglia d'Oro, 4 Croci dell'Ordine Militare di
Savoia, 531 Medaglie d'Argento e 748 Menzioni Onorevoli.
In Calabria negli ultimi anni del secolo XIX, si segnalarono le gesta
criminali del ben noto e pericolosissimo bandito Giuseppe Musolino che, evaso
dal carcere di Gerace, durante una movimentata latitanza, si rese colpevole di
numerosi delitti. La sua avventurosa cattura avvenne presso Urbino il 9 ottobre
1901 ad opera di Carabinieri, comandati dal Brigadiere Antonio Mattei, padre del
presidente dell'ENI, Enrico.
|