LA SITUAZIONE MERIDIONALE
PIETRARSA - INDUSTRIALI E INDUSTRIA
" Pochi esempi offre la storia come quello della situazione in cui venne a trovarsi il piccolo regno sardo-piemontese, che contava poco più di quattro milioni di abitanti, allorché nello spazio di circa due anni dovette affrontare i problemi giganteschi derivantigli dall'assorbimento di oltre 17 milioni di altri italiani (più di 9 milioni dal Regno delle Due Sicilie ed 8 dagli Stati dei centro-nord) in conseguenza del risultato dei plebisciti d'annessione….. l'insufficienza dei quadri della competente burocrazia da destinare alle nuove province per assicurarvi un omogeneo andamento della cosa pubblica;… il sopravvenire delle due campagne del 1866 e del 1870; la frettolosa estensione di talune leggi di prevedibile contenuto impopolare (ad esempio la coscrizione obbligatoria e l'imposizione della carta moneta oltre alla tassa sul macinato successiva al 1866) nei territori annessi; infine, errori di valutazione come quello, ad esempio, dello scioglimento delle formazioni militari borboniche, dal quale derivò la formazione di una criminalità così imponente (pretestuosamente politica, poi ambientale) da determinare una campagna supplementare di occupazione militare" . Cosi inizia il capitolo sul brigantaggio di www.carabinieri.it ma di Pietrarsa non si parla.
La crisi economica che si verificò all'indomani dell'unificazione d'Italia spinse il governo a privatizzare la gestione dell'opificio di Pietrarsa. La sospensione dal lavoro di molti operai era il provvedimento più semplice per il nuovo proprietario che voleva vederci chiaro sulla competitività. Gli impegni assunti di far rientrare in fabbrica tutti gli operai sospesi e a rilanciare il ruolo dell'insediamento produttivo non ebbero un seguito. Alle proteste sia occupazionali che salariali si rispose con il licenziamento di 60 operai. Gli operai diedero allora avvio alla occupazione della fabbrica, mentre i dirigenti lasciavano Pietrarsa. Per timore di rappresaglie questi richiesero l'intervento della forza pubblica per sedare la rivolta e le polveri presero fuoco quel 6 agosto del 63.
6 Agosto 1863. Bersaglieri, carabinieri, guardie civiche sparano su una folla di operai esasperati: due morti e numerosi feriti (12)(chi dice quattro morti: versioni diverse danno anche numeri più alti ). (Archivio di Stato di Napoli, fondo Questura, fascio 16). All’epoca, come detto da più parti (Esposizione industriale - Firenze 1861 e Londra 1862), l’officina di Pietrarsa con oltre 1.000 operai era un fiore all’occhiello dell’industria sia nazionale che meridionale. A Pietrarsa fu però preferita l'Ansaldo (l'Ansaldo, prima del 1860 contava soltanto 500 dipendenti e dopo due anni li raddoppia), di Giovanni Ansaldo (vedi sotto storia) finanziata come sempre con soldi pubblici. Al Sud non restò neanche la commessa per le locomotive regionali. Solo un centinaio su 600 locomotive fu appaltato a Pietrarsa che, dopo vari passaggi di proprietà, nel 1885 venne addirittura declassata a officina di riparazione. Facevano ala a questa produzione gli altoforni di Mongiana (Calabria) e Atina che vengono chiusi nel 1874. Il 25 giugno 1874, in "ottemperanza" alla Legge 23/6/73, Mongiana venne chiusa e fabbriche, officine, forni di fusione, boschi, segherie, terreni, miniere, alloggi e caserme, tutto il complesso diventò la "casa di campagna" di Achille Fazzari, ex garibaldino. La Calabria si era sostenuta fino ad allora con piccole miniere locali e altoforni che funzionavano a legna. La cosa non era più possibile, sia per ragioni ambientali che di concorrenza col carbone. http://www.vocedimegaride.it/html/Articoli/IndustriePesanti.htm
A parziale compensazione delle cancellazioni produttive a partire dal 1904 il Governo Giolitti varò la “Legge speciale per il Risorgimento di Napoli”. Fu la base per la costruzione nel 1909 dello stabilimento siderurgico ILVA che con i 12 ettari di superficie ed i tre altoforni da 150 tonnellate, costituirà per un trentennio uno dei più importanti poli industriali del Mezzogiorno. Arriverà ad occupare nel 1919 oltre 4.000 operai, e nel 1973 quasi 8.000. Con la crisi del 29 l’Iri acquisisce l’impianto. Lo stabilimento è rimasto nell’ambito del così detto Ospedale delle Industrie fino alla definitiva dismissione all’inizio degli anni ‘90. Nel 1962 diventò Italsider, affiancandosi agli altri tre impianti italiani, quello di Genova Cornigliano, quello di Terni ed il nuovo stabilimento di Taranto. Tornò ILVA solo verso la fine degli anni ’70 quando iniziò anche la grande crisi del settore.
Che i Savoia al Sud, nonostante tutto, a distanza di quasi 100 anni godessero ancora di larga considerazione lo dicono i risultati del referendum istituzionale indetto nel '46 che sancì per il Re (al sud) una percentuale vicina al 64%. A fronte di un dato nazionale finale per la Repubblica del 54,3% (che cancellò la monarchia) le regioni meridionali, dal Lazio in giù isole comprese, portarono una dote di 5.930.000 (63,84% che non è poco) voti contro i 3.359.000 per la Repubblica.
« Ciò che è certo è che il
Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua
solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello
che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito,
le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi
fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di
Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime
fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza
criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del
fallimento. » (Francesco Saverio Nitti)
http://it.wikipedia.org/wiki/Revisionismo_del_Risorgimento
Il ministro delle Finanze del Regno di Sardegna Giovanni Nigra, dopo il ’49, si
era rivolto alla banca Rothschild di Parigi «per cominciare a pagare le
riparazioni di guerra dovute a Vienna». Quando Cavour gli successe alla guida
del ministero «continuò ad utilizzare i Rothschild, ma volle anche introdurre
una qualche concorrenza. Il suo primo prestito fu ottenuto nel 1851 per il
tramite della piccola banca Hambro di Londra; e benché i Rothschild replicassero
tentando di deprimere il corso dei titoli piemontesi a Parigi, l’operazione si
concluse con un successo» (D. Mack-Smith, Cavour, Milano 1984, p. 68). Più
tardi, dopo la guerra di Crimea, Cavour, facendo a braccio di ferro coi
Rothschild, «contro il cui tentativo di ‘ebraizzarlo’ protestò più di una volta,
[...] utilizzò altri banchieri: Laffitte, Hambro e il Crédit Mobilier dei
fratelli Péreire» (ibid, p. 117). Qualcuno disse molto semplicemente che l'Unità
d'Italia venne fatta a spese dei vinti come di seguito «Nella discussione del
9 febbraio 1859 il marchese Costa di Beauregard denuncia: "Il Conte di Cavour
vuole la guerra e farà gli estremi sforzi per provocarla. Nella pericolosa
condizione in cui ci ha collocati la sua politica, la guerra si presenta al suo
pensiero come l’unico mezzo per liberarsi onorevolmente dal debito spaventoso
che ci schiaccia, e di rispondere agli impegni che ha preso", il bilancio del
regno di Sardegna di quell’anno "ha un deficit di 24 milioni di lire che porta
il debito pubblico complessivo ad un totale spaventoso di 750 milioni di lire" .
Era quindi sull’orlo della bancarotta sia a causa della bilancia commerciale, da
anni in passivo, sia soprattutto per la costosissima politica estera, in questa
situazione l’unica possibilità per evitare il tracollo finanziario era la
conquista di nuovi territori e come disse l’influente deputato sabaudo Boggio :
"Ecco dunque il bivio: o la guerra o la bancarotta".» (Il sud e l'Unità
d'Italia, p. 55).
Giovanni
Ansaldo (1815-1859), fondatore dell'Ansaldo (1852).
Ndr: Con la fine della guerra ha
fine anche la stagione delle vache grasse. Nel 1921, con le dimissioni
dall'Ansaldo, i Perrone cessano ogni impegno in campo industriale
continuando, soprattutto, nell'attività editoriale. L'Ansaldo fallirà
alcuni anni dopo. |
|
Carlo Bombrini Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, Senatore del Regno d’Italia dal 15-XI-1871. Fu Direttore Generale della Banca di Genova dal 1845 al 1849, Direttore Generale della Banca Nazionale degli Stati Sardi dal 1849 al 1861, Governatore della Banca Nazionale del Regno d’Italia dal 1861 (nel Sud la moneta nazionale veniva indicata come quella di Bombrini). Nel 1852 rilevò l’Azienda Meccanica Taylor-Prandi di Sampierdarena assieme a Giovanni Ansaldo, Raffaele Rubattino e Giacomo Filippo Penco e con essi dette vita agli Stabilimenti “Gio. Ansaldo & C.”, registrati al Tribunale di Genova nel gennaio 1853, la maggior azienda italiana privata nel campo della siderurgia. Fu fervente Patriota ed intimo amico di Mazzini (*Genova 3-X-1804, +Roma 15-III-1882). |
|
Giovanni Bombrini Il figlio Cavaliere della Legion d’Onore, Cavaliere al Merito del Lavoro, Senatore del Regno d’Italia dal 14-XII-1890, Ufficiale d’Artiglieria del Regio Esercito Sardo dal 1859 al 1866, Direttore Generale degli Stabilimenti “Gio. Ansaldo & C.” dal 1882, Presidente della Società BPD (Bombrini-Parodi-Delfino, fabbrica di esplosivi con sede a Segni) dal 1912, Presidente della Società dell’Acquedotto Pugliese (una delle poche grandi realizzazioni fatte al sud) e Presidente della Società delle Ferrovie Salentine (*Genova 21 o 31-XII-1838, +Isola del Cantone 13-II-1924) |
|
Vincenzo Florio (1799-1868) Uno dei primi imprenditori meridionali a intuire l’importanza dello sviluppo industriale e cantieristico della Sicilia: fondò una società di navigazione e diventò senatore del regno d’Italia. Suo figlio Ignazio (1838-1891) diede grande impulso all’iniziativa, creando nel 1881, con Rubattino di Genova, una nuova società sotto la denominazione di Navigazione Generale Italiana. Il nipote Vincenzo (1883-1959) fu tra i pionieri dell’automobilismo. |
|
Museo Nazionale delle Ferrovie di Pietrarsa |
|
Il museo ha sede a Pietrarsa negli edifici dell'ex Reale Opificio meccanico fatto costruire nel 1840 da Ferdinando II di Borbone. Il 3 ottobre 1839 nel Regno delle Due Sicilie veniva infatti inaugurata la prima linea ferroviaria d'Italia, la Napoli-Portici, (attuale Napoli Salerno) lunga 7411 metri, percorsa in 11 minuti con un convoglio trainato da una locomotiva Bayard. “La popolazione di Napoli e delle terre vicine accorreva in grandissimo numero come a uno spettacolo nuovo. Tutte le deliziose ville attraversate dalla strada s’andavano riempiendo di gentiluomini e di dame vestite come in un giorno di festa ...” Nel 1845 qui veniva costruita la prima locomotiva a vapore, chiamata Pietrarsa, consegnata alle Regie Strade Ferrate. La struttura delle officine veniva completata nel 1853, primo complesso industriale italiano. Dopo l'unità Pietrarsa fu data in gestione al governo italiano per costruire rotaie, locomotive, macchine a vapore e armamenti. Nel 1885 la gestione fu affidata alla Rete Mediterranea, mentre nel 1905 le ferrovie vennero unificate e la gestione passò allo stato. Dopo la II guerra mondiale il declino del vapore segnò anche quello delle officine e nel 1975 furono chiuse. Da allora qui ha sede il museo. I dipinti sono di Salvatore Fergola. Il Museo di Pietrarsa è raggiungibile col treno Napoli-Salerno fermata Pietrarsa-San Giorgio o da Napoli con gli autobus e filobus della ANM. E' aperto tutti i giorni feriali dalle 8:30 alle 14:00. info 081 472003. |