LE OPERAIE TABACCHINE DI TIGGIANO

LO SCIOPERO DEL 1961

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Il Bentivoglio gestiva delle fabbriche di tabacco poste nei paesi del Capo di Leuca. Progettava di concentrare la lavorazione in un’unica fabbrica a Tricase (la Tabacchifici Bentivoglio Salentini) dove avrebbe occupato un numero di operaie inferiore sulle quali avrebbe caricato tutto il lavoro. Per ridurre i costi di lavorazione ed aumentare il suo profitto faceva lavorare un numero ridotto di operaie per 10/11 ore al giorno, a ritmi elevati, ai limiti delle possibilità umane. Sospensioni, minacce e licenziamenti facili creavano, inoltre, un clima di terrore. Uno sfruttamento che tramutava di fatto il rapporto di lavoro a uno stato schiavistico. In sostanza, facendo svolgere lo stesso lavoro ad un numero inferiore di operaie, avrebbe risparmiato sui costi della manodopera, quindi, avrebbe ottenuto maggiori profitti. Per realizzare tale progetto occorreva chiudere le fabbriche dei paesi ed effettuare molti licenziamenti.
La fabbrica di Tiggiano lavorava su concessione del Monopolio dello Stato con licenza n. 356, intestata alla baronessa di Tiggiano, Maria Serafini-Sauli, e dal 1955 veniva amministrata unicamente da Giovanni Bentivoglio di Caprarica del Capo. Dal 1955, anno di avvento del Bentivoglio, si era assistito ad una graduale ed ingiustificata diminuzione del lavoro. Le 250 operaie avevano visto man mano ridurre i propri diritti e, conseguentemente, le possibilità di sopravvivenza. Tutto questo aggravava la situazione economica perché diminuiva il reddito e gli importanti contributi assicurativi. Reddito e contributi che nel 1961 le operaie rischiavano di non percepire minimamente perché il Bentivoglio non dava inizio ai lavori nella fabbrica, chiedendo all’ufficio collocamento solo manodopera per soli lavori urgenti, nonostante nel contratto di concessione fosse prevista la clausola che dovevano essere assunte al lavoro tutte le tabacchine abitudinarie e del luogo.
Quindi, nel 1961 avvenne la conclusione della graduale riduzione del lavoro: il Bentivoglio aveva abolito il diritto al lavoro delle 250 operaie tabacchine.
A lavorare erano state chiamate solo 15 operaie di cui 4 di Tiggiano ed 11 forestiere. La direzione era affidata alla Maestra Lucia Mecchi ed al noto fattore Giuseppe Alessio, c.d. u Pippinu fattore.
Le assunzioni delle operaie avvenivano massimo entro il 15 di gennaio.
Il 16 Gennaio 1961 le operaie si recavano all’ufficio di collocamento per ottenere spiegazioni sui motivi della persistente chiusura della fabbrica. Il collocatore, tale Giuseppe De Jaco di Tricase, riferiva che il Bentivoglio per quell’anno aveva richiesto solo 4 operaie. Le altre sarebbero state chiamate per una quindicina di giorni a marzo o aprile.
Appurato ciò, il gruppo di operaie andava a chiedere aiuto alla CISL, l’unico sindacato esistente nel paese. Ma la segretaria, tale sig.ra Immacolata Rizzo, si rifiutava di riceverle e difenderle senza dare alcuna spiegazione. In realtà la spiegazione c’era. Tra la segretaria di questo sindacato, sig.ra Immacolata Rizzo, e la titolare della fabbrica, la baronessa Serafini Sauli, correva un rapporto non disinteressato, con l’impegno del sindacato di non interferire nell’attività della fabbrica. La baronessa aveva concesso in uso un suo oliveto alla Rizzo a prezzo irrisorio. Inoltre, era stato garantito un appoggio politico alla Rizzo per un sua elezione alla prossima tornata elettorale. E’ chiaro che la CISL non avrebbe mai, e poi mai difeso le lavoratrici.
Rifiutate dalla Cisl, le operaie si rivolsero al patronato ACLI del paese, guidate dall’addetto sociale Vincenzo De Francesco, giusta nomina effettuata il 15.7.1957 dalla direzione provinciale. Le acli (associazione cristiana lavoratori italiani) non è un sindacato ma una struttura che si occupa di assistenza al disbrigo pratiche che i lavoratori devono compiere per ottenere riconoscimenti e benefici sanciti collateralmente dal diritto del lavoro, come, per esempio, indennità di disoccupazione, di malattia, di maternità, invalidità civile, pensioni, ecc. E’ una struttura che beneficia di finanziamenti pubblici, in particolare dal Ministero del Lavoro, ed è di identità espressamente cattolica riconoscendo come suo capo ideale addirittura il Papa. L’indirizzo delle acli, quindi, è spiccatamente di integralismo religioso. Tale identità non può giammai includere le acli nel movimento di emancipazione della classe lavoratrice ma la porta ad essere considerata una struttura conservatrice mirante a mantenere la subalternità dei lavoratori abboniti da una spicciola assistenza caritatevole.
L’addetto sociale Vincenzo De Francesco ascoltati gli avvenimenti si recava dal collocatore per verificare di persona quanto riferitogli.
Il collocatore De Jaco confermava che il Bentivoglio aveva richiesto solo 4 operaie di Tiggiano ed 11 di Caprarica del Capo ed esibiva il carteggio della richiesta.
Il De Francesco intimava al collocatore di non concedere il nullaosta ma il collocatore De Jaco rispondeva: “Questi sono stati chiamati ed a questi gli do il nulla osta”.
Il De Francesco spiegava che ciò era contro le norme in materia e contro il capitolato della concessione del monopolio che stabiliva espressamente che dovevano essere assunte le operaie abitudinarie. Sul contratto di concessione rilasciato dal Monopolio di Stato, infatti, c’era una clausola in base alla quale il Bentivoglio poteva effettuare la lavorazione della foglia secca presso la fabbrica di Tiggiano ma a condizione che a tale lavorazione dovevano essere chiamate tutte le operaie che vi avevano già lavorato negli anni precedenti.
Nonostante ciò, il collocatore De Jaco, funzionario dello stato, rispondeva che “Bentivoglio chiama chi vuole e può fare quello che gli pare”.
Ogni argomentazione era inutile in quanto il collocatore De Jaco si ostinava a ripetere che il Bentivoglio poteva comandare come voleva.
Non riuscendo ad ottenere alcun risultato, nonostante la manifesta ingiustizia, il De Francesco organizzava la sera stessa un’assemblea per esporre la grave e delicata situazione, invitando anche tutte le autorità del paese, dal sindaco, Gaetano Miggiani, al sacerdote, Don Egidio Di Bartolomeo.
Nell’affollatissima assemblea tenutasi nella sede acli, il De Francesco rappresentava la situazione, la giusta rivendicazione delle operaie, le conseguenze della loro mancata assunzione e sottolineava l’illegittimità dell’operato del Bentivoglio e la connivenza del collocatore De Jaco. In conclusione dell’assemblea si decideva di proclamare lo stato di agitazione.
Il 17 gennaio 1961 le operaie presidiavano davanti al Municipio, in piazza Castello, e vigilavano la fabbrica per verificare le reali intenzioni del Bentivoglio Nei giorni successivi, il De Francesco intimava nuovamente al collocatore di ritirare il nullaosta e far assumere le operaie abitudinarie. Il collocatore non prendeva in considerazione quanto gli veniva esposto.
La mattina del 22 gennaio 1961 veniva accertato che nella fabbrica lavoravano operaie crumire forestiere.
La voce girò nel paese come un baleno. Le operaie si radunavano davanti alla sede acli in via Vitt. Veneto e con alla testa il De Francesco marciavano verso il municipio protestando con rabbia, molta rabbia.
Il sindaco telefonava al Prefetto affinché provvedesse sull’operato del Bentivoglio per fargli rispettare le norme sull’assunzione e punirlo per l’irregolarità commessa. Il Prefetto rispose mandando i carabinieri di Alessano e Tricase i quali invitavano energicamente le operaie a sciogliere la manifestazione ritenuta non autorizzata. Veniva proclamato lo sciopero generale del paese: nessuno doveva lavorare ed il paese doveva rimanere bloccato in tutte le vie d’uscita e d’entrata. Venivano formati dei picchetti per sorvegliare il blocco del paese ed affinché nessuno si recasse al lavoro. Il paese si fermava: nessun contadino si recava in campagna, nessun muratore in cantiere: tutto veniva bloccato. Le strade di accesso al paese venivano bloccate anche con delle scale a pioli di legno poste di traverso. Dei carretti venivano fissati con delle corde davanti agli accessi della residenza baronale.
Il blocco era mantenuto giorno e notte, 24 ore su 24. I picchetti si davano il turno e venivano posizionati principalmente nelle case prospicienti il tratto di strada di via Cavour, dalla fabbrica alla residenza baronale. Durante la notte ognuno portava degli alimenti nelle case trasformate in sedi di appoggio, compreso il fornaio Albino che portava il pane appena cotto. Vi era la massima solidarietà e partecipazione.
Il 23 gennaio 1961 si svolgeva un’altra manifestazione davanti al municipio ed il sindaco, alla presenza del maresciallo dei carabinieri di Alessano, telefonava al Prefetto il quale non dava cenno di riscontro alle denunzie esposte.
Dopo aver sfilato per le vie del paese, le operaie, a mezzo del De Francesco, informavano telefonicamente l’Ufficio Provinciale del Lavoro e la direzione delle Acli. Le telefonate avvenivano dal centralino posto presso il negozio di alimentari di Giuseppe Nuccio, c.d. de mesciu Peppi, in via Veneto.
Si inviava anche un telegramma di protesta al Prefetto di Lecce del seguente tenore: ”Operaie tabacchine ditta Serafini Sauli, rappresentata Bentivoglio, protestano mancato inizio lavorazione et invocano intervento Eccellenza Vostra provocare richiesta lavoro et apertura magazzino. Commissione operaie Acli Tiggiano”.
Sempre il 23 gennaio, alle ore 14.30, il delegato Acli della zona di Tricase, Giacomo De Donno, così riferiva con un telegramma alla direzione provinciale:
"Gentilissimo Segretario,
sono stato a Tiggiano per rendermi conto del perché le tabacchine sono in agitazione. Sul posto, insieme al nostro Addetto Sociale, ho parlato col Sindaco, Sig. Miggiani Gaetano, il quale mi ha esposto quanto segue:
La Concessione è intestata a Maria Serafini Sauli e la rappresenta legalmente Bentivoglio Giovanni da Caprarica; lo stesso Bentivoglio per il quale si è scioperato a Lucugnano! Ogni anno la lavorazione del tabacco è iniziata subito dopo la festa di S. Ippazio, protettore del paese e cioè il 19. Quest’anno invece non è affatto iniziata e il Bentivoglio sollecitato dal Collocatore ha risposto che aprirà il magazzino quando dirà lui e comunque verso aprile-maggio e con 10-12 operarie, mentre sempre hanno lavorato circa 250 tabacchine! Ogni qualvolta le operaie hanno avuto bisogno di qualche certificato il Bentivoglio si è rifiutato di rilasciarlo e spesso non le ha nemmeno ricevute.
La concessione è di 62 ettari di terreno che dovrebbero in media produrre 600-650 Ql. di tabacco come sempre, mentre quest’anno ne ha prodotto Ql. 194, almeno per quello che si vede. Le tabacchine chiedono dove è finito l’altro tabacco!
Per tutto questo la popolazione è indignata e questa mattina le operaie hanno manifestato vicino al Municipio. Sono intervenuti i Carabinieri di Alessano i quali insieme al Sindaco hanno telefonato a Lecce.
La CISL del luogo è assente! O meglio c’è dell’amicizia forse non disinteressata!!! Comunque il Sindaco è con noi. Questo è tutto. Stasera vi telefonerò, a mezzogiorno il telefono era chiuso, e prenderemo accordi".
Sul giornale locale Il Corriere del Giorno, stampato a Taranto, nell’edizione del 25 gennaio 1961 veniva pubblicato un articolo sempre a firma di Giacomo De Donno, delegato di zona delle Acli:
“ANCHE A TIGGIANO TABACCHINE IN AGITAZIONE
Tricase, 25 gennaio 1961
(G.D.D) - Non è ancora cessato lo sciopero delle tabacchine di Lucugnano (che dura ormai da ben 17 giorni, perché la ditta non intende lavorare, come per legge, il tabacco sul luogo) che le tabacchine della vicina Tiggiano sono entrate in agitazione per il mancato inizio della lavorazione.
Le ACLI, seguendo sempre il loro programma di venire incontro ai lavoratori, come continuano a proteggere le tabacchine di Lucugnano così hanno assunto la difesa delle operaie di Tiggiano. L’intera popolazione di Tiggiano ha sfilato oggi per le vie del paese con cartelli di protesta. La manifestazione si è svolta nel più assoluto ordine: Telegrammi sono stati spediti al Prefetto e alla Direzione provinciale delle ACLI. Le autorità sono sul posto.
E’ cosa inconcepibile che in pieno secolo ventesimo, dopo leggi e leggi emanate per proteggere il lavoratore si usino ancora mezzi coercitivi idonei solo ad esasperarlo e ad annullare le giuste conquiste della classe operaia. Siamo sicuri che le autorità prenderanno le misure necessarie affinché queste situazioni assurde siano risolte con equa giustizia, come è nella intenzione delle ACLI e della classe da loro rappresentata.”
ARTICOLO “Anche a Tiggiano tabacchine in agitazione” del 25.1.1961
Il 24 gennaio 1961 si decideva di tenere presidiata la piazza del municipio. Durante il presidio venivano impugnati dei cartelli realizzati in legno e compensato riportanti gli slogan scritti con vernice nera:
“Chiediamo assunzione di tutte le lavoratrici”;
“Chiediamo immediato inizio lavorazione”;
“Protestiamo per mancata salvaguardia diritti nostro lavoro”;
“Al di sopra degli interessi personali sia rispettata l’umana dignità della lavoratrice”;
“La legge per la giustizia contro i soprusi”;
“Le acli solidarizzano operaie tabacchine Tiggiano”.



Il 25 gennaio 1961 il Bentivoglio riusciva a far penetrare alcune operaie crumire forestiere nella fabbrica per approntare la lavorazione. Immediatamente fu assalita la fabbrica dalle operaie e dai tiggianesi manifestanti. Le operaie forestiere riuscirono ad andarsene da un’uscita secondaria posta nei campi mentre il Bentivoglio si rifugiava nel palazzo della baronessa da dove riusciva a scappare nella tarda notte grazie all’aiuto di tal professor Cabibbo, un insegnante della locale scuola. Dopo tale episodio, il prof. Cabibbo veniva cacciato dal paese dalla popolazione.
Si decideva allora di presidiare tutto il perimetro della fabbrica in modo da non farvi entrare più nessuno.
Anche il collocamento fu assediato e il collocatore minacciato di morte con scritte fatte sui muri:
“Attento collocatore non favorire la ditta ma aiuta le tabacchine altrimenti sarai fatto fuori”; “Lavoro a tutte le tabacchine”.
La presenza dei carabinieri di Tricase e Alessano era costante e quotidiana e, oltre ad invitare continuamente la gente a disciogliere la manifestazione e ritornare a casa, presidiavano l’ufficio collocamento facendovi entrare una persona alla volta dopo averla perquisita. Da qualche funzionario partiva un timido invito affinché il Bentivoglio ripristinasse la situazione ed assumesse tutte le operaie. Ma il Bentivoglio persisteva nel suo atteggiamento. Anzi addirittura minacciava di ridurre notevolmente la coltivazione di tabacco, il che comportava, poi, una diminuzione di prodotto da lavorare in fabbrica. Da questo punto di vista la situazione era già precaria in quanto il Bentivoglio aveva ridotto a 194 quintali di tabacco i 650 previsti dalla concessione di coltivazione di 62 ettari. L’enorme quantità mancante fu portata sicuramente in altra fabbrica che il Bentivoglio aveva a Tricase e dove voleva trasferire quella di Tiggiano. Dichiarava che se nel 1960 aveva coltivato 42 ettari di tabacco invece dei 62 dovuti, nell’anno successivo ne avrebbe coltivati solo una decina. La minaccia mirava a far desistere la popolazione dalla protesta, mettergli paura. Le operaie e la popolazione dovevano tenersi quella miseria corrisposta e dovevano tornare a piegare la testa. Nello stesso tempo persone di fiducia del Bentivoglio diffondevano la minaccia facendo esasperare ulteriormente la popolazione.
Si rammenta che Tiggiano nel censimento del 1961 aveva 2081 abitanti che campavano a stento col lavoro nei campi del carsico e poverissimo agro. Il sostegno economico maggiore era costituito proprio dal lavoro nell’unica fabbrica esistente, il Magazzino. Questa, infatti, su una popolazione femminile di 1040 unità, impiegava mediamente 230 operaie per pochi mesi l’anno, comunque sufficienti per far percepire non solo un certo reddito giornaliero, anche l’indennità di disoccupazione, l’assistenza sanitaria e previdenziale, ed eventualmente l’indennità di maternità.
La paga era misera e si pativa la fame, senza quella misera paga si rischiava di morire di fame. Soprattutto si dovevano pagare medicine e medico. Pertanto, il lavoro nella fabbrica costituiva una questione di vera e propria sopravvivenza. Il clima di rabbia delle operaie era incandescente ed il comportamento arrogante del Bentivoglio aveva esasperato anche la popolazione la quale aderì compatta nella mobilitazione delle operaie tabacchine.
Dopo le minacce di ridurre la produzione del tabacco, che non avevano sortito effetto, il Bentivoglio provava ad intimidire la gente mobilitata nella protesta. Proprio durante il picchettaggio notturno nonostante l’intervento di vari funzionari il Bentivoglio mandava squadre di scagnozzi per provocare e creare della risse. Ma nessuno abboccava, né rimaneva intimidito.
Falliti i tentativi della minaccia e delle intimidazioni, per far spaventare la popolazione, il Bentivoglio, al fine di porre fine alla protesta cercava di creare delle spaccature all’interno del movimento di lotta.
Il Bentivoglio seminava zizzania per aizzare dissidi e spaccature interne alla popolazione. Ma il movimento teneva e non cascava neppure nel tranello delle menzogne.
Man mano che i giorni passavano la rabbia aumentava, la mobilitazione permaneva e duramente si resisteva senza scoraggiamenti: tutti erano convinti che ad ogni costo si doveva ottenere il lavoro, per garantirsi quel poco di pane che appena avrebbe garantito giusto la sopravvivenza. Era chiaro che la guida del De Francesco era fondamentale al movimento di lotta. Venuto meno, quindi, il suo impegno la lotta difficilmente sarebbe continuata. Cosi si tentò prima di corromperlo con la somma di 500 000 lire. In pratica, il De Francesco veniva chiamato nella sacrestia della chiesa di S. Ippazio con la scusa di discutere della situazione al fine di trovare una via di uscita. Ma, invece di discutere gli porgevano una busta gialla chiusa che il De Francesco rifiutava. Il sacrestano, poi, gli riferiva che conteneva banconote per la somma di cinquecentomila lire affinché sospendesse lo sciopero. Il valore di tale somma all’epoca corrispondeva a quella sufficiente per l’acquisto di appartamenti.
Mancata la corruzione del De Francesco, si tentava di reprimerlo, cioè farlo arrestare dei carabinieri. Questi improvvisamente cercarono di bloccare il De Francesco e portarlo via. Ma l’arresto non riusciva in quanto i dimostranti intervenivano subito, bloccavano i carabinieri ed aprivano una colluttazione. Bisognava liberare il De Francesco dai carabinieri. Partivano urla, spintoni, strattonamenti, infine colpi di bastoni e ombrelli. I carabinieri risposero col lancio di candelotti lacrimogeni. Un carabiniere rimaneva ferito alla testa.
Fallito il tentativo per il De Francesco non era finita. Veniva minacciato di morte. La minaccia era fondata e la gente aveva visto la sera uomini armati. Un giorno alcuni dimostranti, tra cui il sig. Trieste Protopapa, sorpresero due uomini mentre si apportavano con un fucile su un terrazzo prospiciente la piazza Padula dove il De Francesco si stava recando per tenere un comizio.
Veniva deciso che il De Francesco non doveva mai camminare da solo ma sempre circondato da persone.
La Cisl locale esprimeva la sua contrarietà allo sciopero e sconsigliava i propri iscritti alla partecipazione. Esprimeva, in caso contrario, propositi di vendetta nei confronti di quanti avessero ancora partecipato all’agitazione ed alla protesta. Si minacciava di non presentare in favore dei lavoratori iscritti alla Cisl la domanda per l’indennità di disoccupazione agricola, mentre nei confronti dei non iscritti, la Cisl anticipava la denunzia nei confronti di quanti vi avrebbero beneficiato.
Tali provocazioni e minacce non facevano cambiare idea a nessuno e si continuava nella protesta. Giovedì 8 febbraio, le operaie tabacchine e la popolazione tutta avevano nuovamente sfilato per le strade del paese protestando per la mancata assunzione al lavoro. Nelle trattative il Bentivoglio dava delle concessioni minime e insoddisfacenti e comunque non rispettava gli impegni assunti con le autorità durante gli incontri. Nonostante la manifestazione, nella notte tra giovedì 8 e venerdì 9 febbraio, il Bentivoglio all’insaputa di tutti, con spirito menefreghista e metodi da truppe d’assalto, attraversando i campi retrostanti, introdusse nella fabbrica alcune operaie forestiere, di Caprarica del Capo, per lavorare il tabacco.
La mattina del 9 febbraio la notizia metteva in agitazione tutto il paese e la popolazione si recava nei pressi della fabbrica.
Immediatamente la fabbrica veniva circondata dagli scioperanti con l’intento di rispondere all’ennesima provocazione, non facendo uscire le operaie forestiere e linciare anche loro. Intorno alle ore 15.00, una macchina del Bentivoglio tentava di portare via le tabacchine forestiere dal magazzino dove erano rimaste rinchiuse.
Di colpo il portone della fabbrica si apriva ed usciva la macchina accellerata in velocità. Davanti al portone c’era tutta la gente che bloccava l’ingresso.
Ma l’autista della macchina del Bentivoglio la lanciava ugualmente contro la folla investendo una ragazza, la sig.ra Assunta Mastroleo, che riportava serie ferite alle gambe e varie contusioni al corpo.
I dimostranti riuscivano ugualmente a fermare la macchina e ad aprirla ma nel momento in cui stavano linciando l’autista e gli occupanti intervenivano i carabinieri, sempre presenti, i quali con affanno li salvavano e gli permettevano di scappare indietro e rifugiarsi nella fabbrica da dove uscirono solo nelle notti successive scappando per i campi. I carabinieri, una volta posti al sicuro gli occupanti della macchina, caricavano la gente per disperderla sparando anche dei candelotti lacrimogeni.
Il tenente dei carabinieri chiedeva immediati rinforzi e da Lecce arrivavano la sera stessa quindici mezzi militari, tra camion e autoblindo, che portarono un centinaio di soldati, agli ordini di un maggiore dei carabinieri. Tali militari si aggiungevano alle decine di carabinieri fatti pervenire da ogni parte della provincia.
La funzione di questa presenza massiccia era quella di reprimere con la forza lo sciopero. Fallito ogni tentativo di spezzare la protesta rimaneva reprimerla con la forza. Con molta forza e nel sangue.
Così le forze dell’ordine, con l’aiuto delle luci artificiali e di fanali, era quasi notte, attuavano delle furibonde cariche a freddo sugli scioperanti.
La gente rispondeva alla violenza come poteva.
Per prima cosa veniva rotta, con fitte sassaiole, l’illuminazione pubblica e, soprattutto, quella abbagliante dei mezzi militari che le forze dell’ordine puntavano contro la gente per stordire e disorientare i manifestanti.
Davanti la rottura dei fanali, i militari aumentavano le cariche.
Si dava vita ad una vera e propria battaglia campale per le strade del paese.
La gente tutta veniva inseguita dai carabinieri. Si scappava alla rinfusa, senza ordine, senza seguire una direzione specifica. Si scappava dalla carica, sparpagliandosi per le strade ed i cortili, per poi ricompattarsi immediatamente. Nessuno si spaventava dalle cariche. La rabbia era tanta. Il sangue agli occhi montava ancora di più. E allora, ricompattati, ancora sassi che rompevano i fari puntati contro dai carabinieri e dai soldati, nuove cariche, urla, maledizioni. Ma ad un certo punto, un folto gruppo di gente inseguita, tra cui il De Francesco, rimaneva imbottigliato nella piazza antistante la chiesa, piazza Olivieri.
I dimostranti, chiusi nella piazza, non potevano scappare e si preparavano un’altra volta a resistere dalle cariche dei militari, a pararsi dai colpi e dalle botte. Lanciavano slogan e incitazioni alla giustizia.
Ma il corpo a corpo questa volta non si verificava. I militari rimanevano a distanza di una decina di metri e non attaccavano.
I carabinieri ed i soldati erano in assetto di guerra ed imbracciavano il fucile ed alcuni anche bombe a mano. Di colpo si schieravano in due righe e con armi puntate ad altezza d’uomo si apprestavano a far fuoco sui dimostranti, tra cui, bambini ed anziani, che impettiti scandivano slogans per il diritto al lavoro e la lotta contro i soprusi.
Donne, bambini ed anziani che invitavano i militari ad abbassare i fucili: “Perché ci sparate ? Non siamo delinquenti. Non ce l’abbiamo con voi. Perché voi ce l’avete noi ? Perché ci sparate?”.
Stava partendo l’ordine di far fuoco. Mancava qualche secondo. Solo l’energico intervento di alcune persone, tra cui il De Francesco, evitava l’esecuzione.
Si ribadisce che l’esecuzione dei dimostranti veniva evitata proprio per un secondo. Sarebbe stata una carneficina.
Due giovani, Del Core Biagio e Ottobre Gino, venivano fermati e rilasciati la mattina successiva sotto pressione della popolazione.
Questi avvenimenti furono riportati dal Corriere del Giorno di Taranto del 14/2/61, cioè, cinque giorni dopo ed in modo non del tutto veritiero perché inverte l’operato dei militari anche se non ha potuto nascondere il rischio corso per loro colpa e, cioè, che si era evitato lo spargimento di sangue.



SEMPRE TESA LA SITUAZIONE A TIGGIANO
Tricase, 14 febbraio 1961

(G.D.D.) – Pensavamo di non più ritornare sull’argomento delle tabacchine di Tiggiano, poiché la ditta della locale concessione di tabacco, aveva assicurato le Autorità competenti che si sarebbe lavorato normalmente come negli anni scorsi: invece dobbiamo ricrederci.
Dopo l’agitazione di giorni fa gli animi si erano calmati pur restando sul chi vive,
La Ditta aveva richiesto all’ufficio di collocamento tutte le tabacchine del paese, ma per una lavorazione divisa in due turni di cinque giorni ciascuno. Quest’anno dunque non raggiungendo il numero necessario di giornate lavorative per i contributi, le tabacchine non avrebbero riscosso l’indennità di disoccupazione aggravando così la loro esistenza.
In seguito la popolazione già esasperata dalla non rosea prospettiva della richiesta fatta dalla ditta, si accorgeva che delle tabacchine forestiere erano state portate nella loro fabbrica. Per cui insorgeva contro il proprietario impedendo che uscisse con le operaie forestiere dalla fabbrica. A nulla valeva il pronto intervento dei carabinieri.
Le intemperanze di un autista della ditta, che aveva investito una ragazza stavano per aggravare la situazione se la forza pubblica non fosse energicamente intervenuta lanciando una bomba lacrimogena, e il tenente comandante la circoscrizione non avesse chiesto telefonicamente immediati rinforzi.
Solo al ritorno del Sindaco da Lecce il quale insieme al Vice Sindaco, al dott. Imperiale, Presidente Provinciale delle ACLI, si era recato per riferire al Prefetto, la folla cominciava a tranquillizzarsi, poiché egli recava la notizia che le tabacchine avrebbero lavorato non più per le poche giornate richieste dalla ditta, ma per ben 27 giorni; cioè per quanti ne prevede la Legge per i 194 quintali di tabacco prodotti.
L’agitazione non ha assunto aspetti peggiori causa la moderata azione delle ACLI, le quali hanno saputo smorzare i toni troppo aspri di animi spinti alla disperazione dal contegno irresponsabile della ditta.
Tale azione è stata validamente affiancata dai carabinieri i quali hanno compiuto il loro dovere evitando spargimento di sangue.


ARTICOLO: “Sempre testa la situazione a Tiggiano” del 14.2.1961

Il gratuito e violento intervento e comportamento dei militari nella provincia di Lecce era stato oggetto di un’interrogazione alla camera dei deputati dove veniva denunciata, tra l’altro la “scarsa sensibilità” del prefetto di Lecce ad opera dell’On. Sponziello. L’11 gennaio precedente, tra l’altro, a Vernole ci furono gravi incidenti tra dimostranti e polizia. In seguito, fu sostituito il questore, capo della Polizia della provincia di Lecce, con Ettore Maria Cirillo, insediatosi il 14 gennaio 1961.
Sabato 10 febbraio le camionette dei militari rimanevano appostate a difesa delle proprietà della baronessa asserragliata nel palazzo insieme al Bentivoglio.
L’episodio delle operaie crumire e del tentativo di forzatura del blocco stradale avvenuto il giorno prima aveva dato motivo alla gente di un ulteriore mezzo di lotta. In pratica i picchetti posizionati intorno alla fabbrica dovevano avere anche delle bottiglie di benzina in modo da versarla sulla macchina se il Bentivoglio avesse voluto ripetere la provocazione. L’idea traeva spunto da quanto successo a Lucugnano nei giorni precedenti quando i dimostranti in lotta avevano incendiato il portone della fabbrica tenuta chiusa sempre dal Bentivoglio.
Era passato quasi un mese e la mobilitazione e partecipazione allo sciopero era ancora totale. Il paese era sempre bloccato.
Un giorno, mentre la popolazione protestava in via Umberto I°, un gruppo di monaci missionari usciva dalla chiesa invitando la gente a desistere dalla lotta e ad essere pacifica e paziente. Ciò faceva inferocire ancor più i dimostranti i quali risposero che volevano solo pane e lavoro. La risposta era vibrata e scandita con rabbia. I monaci, temendo un’aggressione, impauriti ritornavano in fretta nella chiesa chiudendo le porte.
Fallito l’ennesimo tentativo di far finire lo sciopero, i tempi per l’accordo si strinsero, e il 19 febbraio con l’intervento delle autorità provinciali (funzionari dell’Ufficio del Lavoro e il presidente Acli, Ippazio Imperiale) veniva siglato l’accordo su tre punti: riassunzione completa di tutte le tabacchine, anche di quelle licenziate negli anni precedenti, che per un totale di 247 operaie; ad amministrare la fabbrica, che avrebbe lavorato ad unico turno, sarebbe stato un funzionario del Monopolio di Stato competente; e soprattutto, al Bentivoglio gli veniva vietato di mettere piede nella fabbrica.
L’accordo veniva siglato durante la notte nella sede acli e la mattina successiva ne veniva data lettura in piazza Castello, vicino al bar di don pospero. Lettura che veniva accompagnata da un lungo applauso.
Qualche giorno dopo le operaie cominciarono a lavorare in fabbrica. Sempre a firma di Giacomo De Donno, sul Corriere del Giorno di Taranto del 24 febbraio 1961 veniva data la notizia del raggiunto accordo:
“Dopo ventisette giorni si è concluso lo sciopero delle tabacchine di Tiggiano. Pienamente accolte le richieste dei lavoratori.
(G.D.D.) Lo sciopero di Tiggiano protrattosi per ben 27 giorni è finalmente terminato con la vittoria del buon senso e dell’ordine. La ditta locale, dopo l’intervento delle autorità provinciali, ha dato inizio ai lavori chiedendo all’Ufficio di Collocamento del luogo l’assunzione di tutte le operaie tabacchine del paese in un unico turno, come era nelle aspirazioni della popolazione”.


ARTICOLO: “Si è concluso lo sciopero delle tabacchine di Tiggiano” del 24 febbraio 1961

Nell’articolo si enfatizzava solo l’operato della dirigenza provinciale delle acli e non della popolazione, vera ed unica artefice della lotta, che si era mossa sulle basi di idee di giustizia e di uguaglianza concrete e terrene e non su principi cristiani fonte di beni spirituali, come l’articolista cattolico insinuava falsamente. In tutto questo conflitto durato un mese non si ha nessuna presa di posizione da parte delle autorità ecclesiastiche.
Con l’accordo conclusivo le tabacchine e l’intero paese avevano vinto.

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