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La storia delle operaie tabacchine e dello sciopero generale di Tiggiano del 1961 lascia molti elementi di riflessione. E cioè: I lavoratori agricoli e le operaie tabacchine vivevano in stato di miseria mentre i nobili ed i padroni svolgevano una vita agiatissima. I primi avevano pochi beni di sopravvivenza, i secondi avevano la maggior parte delle proprietà terriere, case, palazzi, macchine. I primi lavoravano dalla mattina alla sera per due soldi, i secondi erano nullafacenti. Quanta più proprietà avevano i baroni, tanta meno ne aveva la popolazione lavoratrice. Quanto meno venivano pagati i contadini e le operaie, tanto più guadagnava il padrone. Licenziare, ridurre il salario dei lavoratori rimasti e farli lavorare a ritmi più elevati è una regola essenziale del nostro sistema economico. Tale regola è quella che stava seguendo il Bentivoglio con la chiusura di piccole fabbriche nei paesi, tra cui quella di Tiggiano, e l’apertura di una sola a Tricase dove concentrare la produzione su un numero inferiore di operaie. La pessima situazione di sfruttamento della popolazione tiggianese, quindi, dei lavoratori agricoli e delle operaie non era frutto del caso ma diretta conseguenza di questa organizzazione economica. Quando le operaie del Magazzino venivano supersfruttate ed il padrone calpestava ogni diritto e dignità umana, i carabinieri ed i soldati sono rimasti chiusi in caserma. Quando le operaie hanno protestato i militari e le forze dell’ordine sono subito accorse a difendere la proprietà del padrone ed a perseguitare i manifestanti. Uguale comportamento hanno tenuto le istituzioni ed i partiti. Stando così le cose, si deve sapere che il padronato non può mai cedere alle richieste dei lavoratori. Se ciò avviene è solo all’esito di una dura lotta ma solo temporaneamente. In tempi raffreddati il padronato annulla ogni conquista precedentemente ottenuta. Sin dalla vittoria dello sciopero del 1961 si doveva capire che il padronato sarebbe ritornato alla carica per trasferire la fabbrica come poi ha fatto. Dopo il 1961 bisognava mantenere la lotta per l’estromissione dei padroni dalla fabbrica e non lasciarli al loro posto. Bisognava rimanere vigili sull’andamento dei fatti. Intrapresa un lotta non bisogna scoraggiarsi dalle intimidazioni che il padronato attua per dissuadere e reprimere i lavoratori. Bisogna aspettarsi iniziative simili alle divisioni, denunce, minacce, ma non bisogna cedere. La mobilitazione dello sciopero del 1961 è un esempio importante di resistenza. Nel 1961 la fabbrica non è stata trasferita e le operaie hanno conservato il loro posto di lavoro perché hanno attuato una lotta violenta, con il blocco del paese e delle attività economiche. Senza la violenza, il sabotaggio, lo sciopero, i lavoratori non otterranno mai nulla. Dopo il 1961 le istituzioni e la chiesa hanno convinto le operaie a non lottare ma ad usare i mezzi democratici e pacifici per le loro rivendicazioni. Seguendo tale metodo le operaie hanno perso. Il movimento di lotta di Tiggiano del 1961 doveva creare un unico fronte di rivendicazione con quello di Lucugnano, dove si lottava per gli stessi motivi: contro la chiusura della fabbrica voluta dal Bentivoglio. Tra l’altro, Lucugnano dista appena 4 Km. da Tiggiano. Inoltre, si doveva unire con tutte le altre operaie delle fabbriche del Salento dove si viveva la medesima situazione di sfruttamento e miseria per avanzare richieste di miglioramento delle condizioni generali. Bisogna capire che non si risolve la condizione di vita con una protesta spontanea dettata dall’esasperazione. Sarebbe un fuoco di paglia. Le operaie tabacchine ed i lavoratori di Tiggiano dopo il 1961 dovevano dotarsi di una organizzazione che fosse promotrice diretta dei suoi interessi, attiva per la conquista di più ampi diritti, per la costruzione di un’altra società. Il movimento di lotta di Tiggiano del 1961 non doveva delegare i suoi interessi a personaggi sconosciuti provenienti da Lecce, tra l’altro portatori di idee padronali come onorevoli e dirigenti della D.C. e delle Acli. Doveva far riferimento agli esponenti del movimento politico che si batte per l’emancipazione della classe lavoratrice, contro le disuguaglianze e lo sfruttamento. Su questi elementi bisogna riflettere per comprendere i motivi della fine di un grande movimento dei lavoratori e della popolazione quale è stato quello del 1961. La storia è conoscenza, esperienza, esplorazione. Dagli avvenimenti accaduti si deve trarre il senso costruttivo per la volta del futuro. Gli errori commessi da chi ci ha preceduto non dobbiamo commetterli noi. Nel Basso Salento fino ad alcuni anni fa lo sfruttamento massiccio veniva applicato nel lavoro in campagna, l’attività principale era l’agricoltura. Oggi, viste le trasformazioni avvenute, da società agricola-artigianale a società artigianale-industriale, lo sfruttamento si concreta ampiamente nelle fabbriche dove centinaia di operai, soprattutto donne, lavorano in condizioni uguali, se non peggiori, a quella delle tabacchine degli anni ’50 e ’60. Negli ultimi anni, oltre al continuo sfruttamento dei lavoratori, stiamo assistendo alla speculazione della cultura. La musica popolare salentina è oggetto di appropriazioni private per trarne solo profitto. Gli avvenimenti storici, specie quelli riguardanti la classe lavoratrice, vengono pubblicati con il solo scopo mercificante da soggetti dalla mentalità padronale. Oltre all’usurpazione si registra un continuo travisamento dei fatti. Ecco, allora, che l’impegno della storiografia deve necessariamente indirizzarsi ad affrontare anche queste realtà come la logica della storia impone. L’attività storiografica deve quindi partecipare alla costruzione del futuro e non limitarsi alle semplice descrizione di fatti, drammi e stragi. Il suo ruolo dev’essere attivo e propositivo, soprattutto nel momento attuale in cui i cambiamenti che avvengono prospettano un futuro incerto, forse apocalittico e comunque fuori da ogni principio di giustizia. Allora, la storia delle operaie tabacchine e dello sciopero generale di Tiggiano del 1961 al pari di tante altre situazioni e lotte, lascia molti insegnamenti. E cioè: La situazione di sfruttamento e di giogo a cui sono sottoposti i lavoratori è creata dalla proprietà privata e dal profitto. Le condizioni di ingiustizia e di disuguaglianza non sono causate dal carattere delle singole persone ma sono frutto del sistema economico che viviamo. La divisione in classi della popolazione, quella lavoratrice e quella padronale, proletaria e borghese, porta sempre all’inasprimento delle condizioni della classe subalterna in favore di quella dominante. E’ una coperta corta: gli interessi di una classe sono inconciliabili con quelli dell’altra. Le autorità istituzionali, gli organi rappresentativi e le forze dell’ordine sono degli strumenti in mano ed al servizio dei padroni per esercitare un maggiore sfruttamento dei lavoratori e del territorio. All’interno di questa società i lavoratori non possono mai ottenere il miglioramento delle loro condizioni. Se ciò avviene è solo in base a delle lotte e solo temporaneamente. Prima o poi il potere si riprende quanto ha dovuto concedere. I lavoratori devono lottare per ottenere conquiste immediate ma nella consapevolezza che i problemi si possono risolvere solo ed esclusivamente cambiando l’attuale sistema economico capitalista. Tale cambiamento deve costituire il fine di tutte le iniziative. Durante le lotte il padronato cerca sempre di intimidire e minacciare i lavoratori; di creare delle spaccature del movimento, di dividere la gente e mettere un lavoratore contro l’altro; di corrompere o perseguitare gli attivisti; di reprimere la protesta con la violenza tramite le forze dell’ordine, le leggi e la magistratura; di bloccarla tramite accordi bidone. Quindi non bisogna mai scoraggiarsi, né disgregarsi, giammai arrendersi. Contro le ingiustizie non è proficuo attuare delle rivolte esasperate, improvvise e fini a se stesse, né delegare la lotta a chi non rispecchia i contenuti dell’analisi del sistema, né gli interessi della classe lavoratrice. Occorre, invece, creare l’unità dei lavoratori, di tutti i lavoratori, seguire sempre il programma di cambiamento della società e dotarsi di un’organizzazione permanente quale strumento di direzione dell’idea da attuare.
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