LE OPERAIE TABACCHINE DI TIGGIANO

L'AGITAZIONE DEL 1949

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La fabbrica del tabacco operava da anni. Le donne che vi lavoravano da tempo come operaie sapevano che dopo l’epifania e, comunque, entro la metà di gennaio iniziava la stagione per 3/4 mesi, secondo l’annata del prodotto.
Ma nel gennaio 1949 l’attesa si prolungava oltre il consueto periodo.
Il motivo risaliva alla presenza di una nuova capo fabbrica, la c.d. Maestra, tale sig.ra Angelina Povero, proveniente da Lecce, la quale aveva modificato le modalità di assunzione: le operaie non venivano più assunte tutte insieme, per l’intera stagione ed impiegate in un unico turno, ma a gruppi, per pochi giorni la volta ed impiegate in turni che si incastravano malamente l’uno con l’altro.
In questo modo non era garantita l’assunzione di tutte le duecento operaie ma solo di poche decine. Inoltre, la modalità di assunzione era diventata arbitraria e discriminante in quanto avvenivano assunzioni per favoritismi, per assoggettamento alla Maestra, o per simpatia ed intercessione del fattore, tale sig. Giuseppe Alessio, chiamato u Pippinu fattore, il quale esercitava una considerevole influenza sul barone Don Mario.
Questa situazione portava numerose operaie a restare disoccupate.
Così, le operaie non assunte si riunivano una sera per discutere del problema e compatte decidevano di protestare, di bloccare la fabbrica e chiedere l’assunzione di tutte, nelle modalità avvenute negli anni precedenti.
La mattina del giorno dopo, le operaie disoccupate si posizionavano davanti l’ingresso della fabbrica, bloccavano il cancello per non farlo aprire e a nome di tutte un’operaia disse ad alta voce a quante erano state chiamate al lavoro: “Di qua non entrate se non entriamo tutte anche noi a lavorare”. Qualche lecchina provava a spingere per entrare. Si alzavano urla, litigi, discussioni, offese. Nonostante gli spintoni le operaie resistevano a mantenere il blocco, a tenere il portone chiuso, a non fare entrare nessuno. La fabbrica rimaneva chiusa e la lavorazione bloccata.
Veniva chiamato il fattore Giuseppe Alessio il quale interveniva sulle operaie per fargli cambiare idea e lasciare aprire il portone per far lavorare le poche operaie chiamate. Nonostante le urla, le offese e le minacce, le operaie non si fecevano intimorire e tenevano saldamente il portone chiuso. Il fattore Giuseppe Alessio prendeva allora nove nomi a caso di operaie e li riferiva al barone Don Mario come autrici del blocco della fabbrica.
Don Mario chiamava subito i carabinieri di Alessano i quali intervenivano ed arrestavano le nove operaie suggerite dal fattore ed indicate dal barone. I carabinieri portavano le operaie arrestate nella caserma di Alessano dove venivano rilasciate solo a tarda sera dopo che i loro congiunti si erano adunati per chiederne la liberazione.
Le nove operaie venivano denunciate. Il processo si teneva davanti al Tribunale di Lecce che le condannava a tre mesi di reclusione. La sentenza veniva impugnata e la Corte d’Appello di Lecce la riformava ed assolveva le operaie.
Le operaie denunciate, arrestate, processate, condannate e, poi, assolte erano le signore: Bellante Rosamaria, Caloro Giuseppa, Imperato Maria, Licci Antonia, Martella Maria Assunta, Ricchiuto Assunta, Ricchiuto Teresa, Rizzo Immacolata e Rizzo Marina.
Nella vicenda giudiziaria le operaie venivano difese dall’avv. Alessandro Agrimi di Lecce su intervento del parroco di Tiggiano, Don Attilio Presicce.
Il prete, poi, dava indicazioni di voto per l’avvocato affinché venisse eletto alla camera dei deputati nelle liste della D.C. Successivamente alla sua elezione, il 15.1.1961, l’onorevole avv. Alessandro Agrimi veniva eletto sindaco della città di Lecce. Era la prima volta che un democristiano ricopriva tale carica fino allora tenuta da un missino.
Fra la paura e l’amarezza di essere rimaste senza lavoro, denunciate, arrestate, processate, perseguitate, condannate e di nuovo senza lavoro, si concludeva la prima agitazione delle operaie del magazzino di Tiggiano che altro non chiedevano se non di poter lavorare.

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