Le tre parole magiche
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Ti capita quella mattina che
pizzichi e spizzichi la lente a contatto senza ottenerne
collaborazione. Te la spiaccichi contro la pupilla e lei
preferisce starsene comodamente appollaiata sul tuo
polpastrello. A Tonino era capitata una di quelle mattine.
Alla fine uscì di casa col naso pesante dei suoi vecchi
occhiali, le ascelle che rilasciavano piano piano tracce di
Axe e la gola ancora zuppa di collutorio. La strada era sempre
quella, s'imboccava via Morana e i piedi seguivano quel
tragitto troppo noto senza comunicare col cervello. Masticava
le sue tre parole magiche e senza neanche accorgersene era già
al Liceo.
Arrivava ogni giorno con un ritardo
variabile, tutto dipendeva da quelle maledette lentine. Oggi
aveva sforato di una buona quindicina di minuti, non c'era
nessuno a sfumacchiare marlboro sul marciapiede. Aveva perso
tutto quello che c'era da perdere, solo le tre parole gli
restavano e per questo continuava a ripeterle, per non restare
ancora più solo.
Salutava con distacco i suoi compagni, un breve cenno alla
professoressa di turno e una scusa farfugliata prima di
precipitare dentro quelle sei ore che ti scorrevano lente e
distanti. Tutti i concetti che scaccolavano fuori dalle bocche
laureate chiedevano almeno un minimo d'attenzione. Tonino
restava prigioniero della seconda fila con in testa le tre
parole che piroettavano felici. I richiami di questa o quella
professoressa lo strappavano via per un solo istante, bastava
poco per ritornare lì.
Nessuno lo sapeva, pensavano che era un
ragazzo strano ma niente di più. Al suo compagno di banco
bastava scopiazzare dalla sua versione di latino, ai
professori che sapesse vomitare concettismi se interpellato e
riempire le colonne di un tema.
La campanella della sesta ora aveva
assassinato anche quel giorno, Tonino poteva tornare da loro,
era a casa. La casa dei suoi genitori non riusciva a sentirla
sua, sembrava che quei muri lo tenessero prigioniero, lo
soffocavano gocciolando ducotone. Per andare via di lì non
bastava la patente o i diciott'anni, quell'angoscia ti avrebbe
seguito sino in capo al mondo. C'era solo un modo e lui lo
sapeva. Gli bastavano le sue tre parole magiche, solo quelle.
Il pranzo era una farsa, la madre gli chiedeva cose che non le
interessavano e lui rispondeva con parole vuote e sorrisini
d'occasione. Un giorno o l'altro gli sarebbe andata di
traverso la pastasciutta e rantolante, boccheggiando forse
avrebbe visto suo padre reagire finalmente a uno stimolo
esterno.
Poteva finalmente alzarsi dalla tavola e
scendere nella sua stanza, si rintanava lì, provava una decina
di diverse posizioni e slacciandosi le scarpe sistemava la
luce ideale. Iniziava la sua magia e sussurrava le sue tre
parole magiche, sull'ultima sillaba entrava in quell'ignoto
mondo.
Vagava con le orecchie piene di voci
sconosciute, schiudendo gli occhi miopi a nuove percezioni. Il
cielo aveva nuove sfumature e le nuvole lo cullavano
sospirandogli la vecchia magia che aveva afferrato da piccolo.
Il tempo lì era strano, qualcosa che passava in secondo piano
e certe volte scompariva rapito da una lumaca che lo
nascondeva dentro la sua conchiglia. Altre volte un cane nero
correva veloce e acchiappava tra i denti bianchi minuti, ore,
mesi. Correva lontano e scavava grosse buche in cui faceva
sparire i figli del tempo.
"Tonino è tardi! Non devi studiare? Perdi tempo prezioso!" la
voce di sua madre lo risucchiava via, lo strappava da quello
strano, ignoto mondo per riconsegnarlo alla grigia realtà. Lei
aveva dimenticato quell'incantesimo, lei che glielo aveva
insegnato!
Tonino non voleva dimenticare e le ripeteva senza fermarsi
come le parole di una vecchia canzone che ti s'incollano in
testa e non riesci più a scrollartele via. Lui non voleva
perdere l'unico accesso, l'unica chiave per quell'universo di
luna.
"IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE, IO AMO LEGGERE" lo diceva ed
era vero. Amava avventurarsi lungo capitoli che graffiavano il
cielo del magico mondo della lettura, adorava guadare il fiume
d'inchiostro saltando di libro in libro, arrampicarsi su per
le virgolette che imprigionavano e le parole di personaggi che
si staccavano dal testo e vivevano. Non si sarebbe mai
stancato di giocare a rimpiattino con la lumaca e il cane nero
dai denti bianchi, li avrebbe cercati e non avrebbe mai
svelato il loro segreto.
Ancora per molti anni avrebbe assistito in
diretta a quel miracolo che si rinnovava giorno dopo giorno,
ogni volta che apriva la copertina di un libro e con la bocca
traboccante delle sue tre parole magiche avrebbe rivisto quel
cielo dove gli aquiloni volavano liberi, volavano senza fili,
volavano come lui stesso riusciva a volare.
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4 Tonino
Pintacuda |
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21
dicotomici anni, siciliano3 , studente di
filosofia all'Università di Palermo,
Bomber,
satellite saturnista e
bachecaro,
ideatore e webmaster di Bombasicilia.net. |
Potrei stare interi giorni perso tra le pagine di qualche buon
libro ( e ci sono stato sino ai miei 15 anni). Al momento, però,
la mia principale occupazione è riempire una riga dopo l'altra
del libretto universitario e aspettare gli ultimi volumi della
saga della Torre Nera di Steve King.
Amo le ragazze con problemi esistenziali di un certo calibro e
i capelli neri e dei bei seni, Conversazione in Sicilia di Elio
Vittorini, i libri di Kafka e alcuni albi di Dylan Dog (Il lungo
addio, Johnny Freak), le poesie in musica di Francesco e Max
Gazzé, le passeggiate con la mia cagnolona, tutte le canzoni di
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles, il terrazzo
della casa di
Stas' e,
da pochissimo, il cinema di Abbas Kiarostami. |
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