COMITATO OVEST MELEGNANO |
LA CHIMICA SARONIO
Sviluppo e crisi di uno dei più importanti insediamenti industriali
Lo sviluppo delle
fabbriche, le lavorazioni inquinanti, il degrado ambientale La storia dell’Industria Chimica Saronio 2° PARTE
Infortuni sul lavoro: il primato dell’Industria Chimica La sicurezza sul lavoro resta lettera morta per tutta la storia dell’azienda. Ne sono parzialmente testimonianza i registri delle denuncie di infortunio sul lavoro avvenuti nelle attività produttive di Melegnano, conservati nell’archivio storico comunale. Uno di questi, che abbraccia il periodo compreso tra
l’inizio del 1937 e il mese di luglio del 1939, riporta un totale di 296
denunce; in due anni e mezzo gli infortuni che coinvolgono addetti
dell’Industria Chimica sono 173 (di cui uno mortale): quasi il 60% del totale. Nei primi anni ’40 il vero salto di scala: servizi per gli operai e produzione per la guerra. Nel 1940 Saronio aveva fatto costruire ex novo un consistente gruppo di servizi per i lavoratori della fabbrica: spogliatoi, bagni con docce, mensa, portineria, spaccio, bar, un’infermeria definita “modello”, il tutto dimensionato per 2000 addetti. Ciò testimonia che nonostante la guerra, anzi almeno in parte grazie alla guerra, l’Industria Chimica continua a espandere occupazione e produzione. Fin dal censimento industriale e commerciale del 1937-40 l’azienda era stata identificata come fabbrica colori e chimica offensiva. Perciò nel 1941, in occasione della richiesta per
l’autorizzazione alla costruzione di un nuovo fabbricato industriale, che si
dichiara destinato a produrre gas nebbiogeno, l’autorizzazione viene concessa a
livello ministeriale e comunicata al Comune per conoscenza, senza bisogno di
alcun allegato grafico. L’azienda infatti e considerata stabilimento protetto. Lo stabilimento chimico di Cerro al Lambro Nel 1942 Saronio fonda un nuovo stabilimento a Foggia e nel 1943 ne costruisce un altro in territorio comunale di Cerro al Lambro. Con l’attivazione di questi altri stabilimenti l’azienda raggiunge un’occupazione complessiva di 2500 unità. La fabbrica di Riozzo è collegata all’esistente di Melegnano da un raccordo ferroviario che corre parallelo alla strada per Sant’Angelo. Di li a poco viene acquistato dal Demanio Militare, mentre Saronio mantiene la proprietà di una fascia a nord, contraddistinta nelle mappe come area nebbiogeno e oleum. Prima della fine della guerra le forze armate tedesche distruggono lo stabilimento di Foggia e bloccano l’attività a Riozzo. La fabbrica resta inattiva e vuota fino a oggi.
Alla fine della guerra l?industria Chimica può contare sul solo stabilimento di Melegnano che, nonostante le difficoltà negli approvvigionamenti e i mancati ammodernamenti tecnici, aveva comunque continuato a pieno ritmo la produzione. Il riconoscimento della fabbrica come stabilimento protetto, infatti, ne aveva garantito non solo la sopravvivenza ma addirittura il potenziamento. Negli anni del conflitto molte famiglie di Melegnano avevano potuto contare sul “sale della Chimica”, materia prima essenziale al processo produttivo che veniva assegnata all’azienda dallo Stato. Saronio stesso, che da diversi documenti emerge come un “intoccabile”, si era battuto per sottrarre ai tedeschi che facevano incetta di metalli le scorte di piombo e lo zolfo in polvere immagazzinate a Melegnano e a Riozzo. Negli anni seguenti Saronio allarga ulteriormente le sue attività, creando nuove iniziative industriali o entrando in compartecipazione con altre: è nel consiglio di amministrazione dell’ENI; allaccia solidi rapporti con Carlo Erba; ottiene brevetti per prodotti chimici e farmaceutici. Si dedica anche a campi del tutto diversi a quello industriale. Per quasi vent’anni nessuna domanda di autorizzazione per opere edilizie viene presentata al Comune. Le uniche pratiche, poche unità, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, riguardano l’adeguamento igienico o l’ampliamento di unità abitative, di proprietà di Saronio, collocate in varie zone di Melegnano, destinate ad ospitare famiglie bisognose, probabilmente di addetti allo stabilimento. Nel 1958, da un atto dell’Ispettorato del Lavoro, risulta la concessione di nulla osta all’esecuzione di lavori di adattamento di locali produttivi dello stabilimento per esercitarvi la produzione di alfanaftilamina. Nel 1960 l’azienda, divenuta dall’anno precedente Industria Chimica Dr. Saronio SpA, presenta richiesta di autorizzazione in sanatoria per la costruzione di un fabbricato ad uso magazzino. A un solo piano, con copertura in eternit su struttura metallica, il progetto dell’edificio è firmato dall’ingegner Vinello. Nel 1963 a ulteriore denuncia per opere non autorizzate, Saronio reagisce dichiarando che si tratta solo di opere di manutenzione ordinaria, imposte dal Genio Civile per ragioni di sicurezza. Non è chiaro a quali fabbricati si riferiscano gli atti, anche se risulta siano situati in area vincolata a verde pubblico dagli strumenti urbanistici. Un primo atto relativo agli scarichi dell’attività risale al 1946, quando l’Industria Chimica chiede al Comune l’autorizzazione per realizzare un nuovo scarico di acque acide provenienti dallo stabilimento con condotto in gres sottopassante la strada Melegnano-Carpiano, alla profondità di 2 metri dal piano stradale. Il permesso è accordato con alcune prescrizioni riguardanti solamente la regolamentazione del traffico e il ripristino della sede stradale, senza che sia sollevato il problema della destinazione dello scarico. Ma il problema esplode di lì a poco, sollevato inizialmente da attori non istituzionali e poi preso in carico dalle autorità competenti. Tra il 1947 e il 1949 ha luogo un fitto carteggio tra la Prefettura di Milano, Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Milano, il Genio Civile, il Comune di Melegnano e l’Industria Chimica. Oggetto di questa corrispondenza è lo scarico non autorizzato dei rifiuti di lavorazione dello stabilimento nelle acque del Lambro. La prima denuncia per inquinamento del Lambro mossa all'industria Chimica proviene dal Consorzio lombardo per la Tutela della Pesca, sollecitato dai pescatori della zona che lamentavano il fenomeno fin da prima della guerra. Ma all’epoca Saranio si era trincerato dietro il fatto che la produzione dell’azienda interessava gli armamenti. Nel 1947, la Prefettura, rilevando che a due anni dalla fine della guerra non è stato preso alcun provvedimento per evitare danni alle acque, invita l’azienda a richiedere la necessaria autorizzazione prefettizia per scaricare i residui industriali in acque pubbliche (ex art.9 T.U. Legge sulla pesca n°1604/31). Tale domanda «dovrà essere corredata da una relazione tecnica descrittiva di tutti gli impianti e dei cicli di lavorazione oltre che da una planimetria che dia una chiara visione della circolazione delle acque». La Prefettura avverte altresì che a spese dell’azienda «sarà disposta una ispezione allo stabilimento da parte dell’Ufficio di Igiene e Profilassi anche per il prelievo dei campioni d’acqua (…)». Saronio risponde dichiarando che lo scarico delle acque industriali nel Lambro «è stato dalle superiori Autorità regolarmente autorizzato già da parecchi anni e che le fosse di decantazione furono costruite su progetto dell’ingegner Ferruccio Signori, approvato dal Genio Civile di Milano (Ingegner Crippa). I continui bombardamenti che il ponte ferroviario, in prossimità delle fosse di decantazione, ha subito durante la guerra hanno forzatamente fatto sospendere i lavori di manutenzione, ed i detriti accumulatisi appunto a causa di detti bombardamenti, hanno reso meno efficiente l’impianto di decantazione. Ciò non pertanto la nostra ditta ha da tempo iniziato le opere necessarie a ripristinare l’impianto stesso onde rimetterlo nel più breve tempo possibile nelle condizioni fissate dal disciplinare depositato presso il Genio Civile di Milano». Sollecitato dal Comune ad esibire l’autorizzazione prefettizia per lo scarico nel Lambro, Saronio dichiara che la stessa è depositata presso il Genio Civile. Il Genio Civile da parte sua dichiara di aver ordinato nel 1937 all’Industria Chimica alcune opere di decantazione e chiarificazione dei rifiuti provenienti dallo stabilimento e di ignorare se tali opere (ultimate nel 1040) siano mai state collaudate dal competente Stabilimento Ittiogenico di Brescia. Nel giro di qualche mese emerge chiaramente che nessuna autorizzazione di scarico è mai stata concessa dalla Prefettura all’Industria Chimica e che l’azienda non ha ottemperato alle prescrizioni dettate dallo Stabilimento Ittiogenico. Ancora a metà del 1949, sollecitata dal Comune a presentare gli atti di autorizzazione prescritti, l’Industria Chimica dichiara di averli smarriti ma assicura che provvederà subito. INDICE 1°PARTE 2°PARTE 3°PARTE 4°PARTE Scarica l'articolo originale
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