Una
'guida turistica' realizzata da chi vive nelle Cinque Terre. Curiosità,
sentieri inediti, tutto sull'area Marina Protetta, la Via dell'Amore
tra Manarola e Riomaggiore, la vendemmia e il vino Sciacchetrà delle
5 Terre.
tratto
da "MI RITORNA IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed.
Luglio 1998. Prog.Graf. di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.
Come
trascorrevamo le vacanza estive.
Nei mesi di Luglio,
Agosto e metà Settembre quasi tutte le famiglie di Riomaggiore si
trasferivano nei rustici di campagna situati in località diverse (al
Santuario, a Saricò, a Lemen, nel Terzo ecc..) La casetta della mia
famiglia era in località “Casarino”. Appena arrivati dovevamo bonificarla
dagli insetti che vi avevano preso dimora durante l’inverno. Queste
vacanze non erano un riposo ma un proseguimento del lavoro. Ci si
alzava molto presto per andare nel bosco a procuraci la legna che
serviva durante l’anno per cucinare e riscaldarci, si ripuliva il
sottobosco che, portato nella stalla con le pecore, diventava concime
per la vigna. Nel pomeriggio ci radunavamo sul piazzale del Santuario;
i piccoli organizzavano giochi, le ragazze lavoravano a maglia o ricamavano.
Intorno c’erano i nonni che raccontavano le loro storie e i loro proverbi
di cui ho cercato di farne tesoro. Ammiravo questi vecchi che nonostante
l’età lavoravano ancora con tante lena. Fra essi c’era un certo “Mangin”,
molto simpatico, che con la sua flemma ci raccontava le battaglie
da lui sostenute sul monte Podgora nella guerra del 15-18. Fumava
la pipa e mi piaceva osservarlo quando la caricava con gesti sempre
uguali. Poi c’era il nonno materno detto “Bacicin” che aveva un libro
scritto in dialetto genovese. Ogni giorno ci leggeva un racconto;
è andato avanti per tanti anni che ancora ne ricordo qualche brano.
Quando il mare era calmissimo, vederlo dal Santuario era uno spettacolo
stupendo e allora ci prendeva la voglia di andare a fare un bagno.
Pur dovendo scendere una scalinata lunghissima, con quattro salti
arrivavamo alla spiaggia ; la sera, al ritorno, dovevamo caricarci
sulle spalle o sulla testa le provviste: ritornavamo stanchi ma felici.
La
solidarietà.
Quando qualcuno
del paese costruiva o aggiustava una casa di campagna, la domenica
il parroco, finita la spiegazione del Vangelo, faceva questo avviso:”
Domani i Chenin sistemano la casa del Terzo[5], ci sarà da dare una
mano”. Il mattino seguente e finché c’era materiale da trasportare,
cioè sabbia, ardesie, legname ecc., ogni persona che si recava nei
campi da quelle parti, si faceva carico di qualcosa senza nessuna
ricompensa e così era per tutte le famiglie. Anche a noi giovani insegnavano
ad aiutare le persone anziane e quando andavamo in campagna, incontrandole
sui sentieri, dovevamo sollevarli anche del più piccolo peso. Essi
poi ci ringraziavano con un “Diu i ter mita”[6] e noi rispondevamo
con “ Diu ir fassa”[7].
NOTE:
[5] Terzo = località di campagna
[6] Dio te ne renda merito.
[7] Dio lo faccia.