Una
'guida turistica' realizzata da chi vive nelle Cinque Terre. Curiosità,
sentieri inediti, tutto sull'area Marina Protetta, la Via dell'Amore
tra Manarola e Riomaggiore, la vendemmia e il vino Sciacchetrà delle
5 Terre.
tratto
da "MI RITORNA IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed.
Luglio 1998. Prog.Graf. di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.
I
pescatori.
Con l’arrivo della
bella stagione, i pescatori partivano per la pesca delle acciughe.
La sera verso le sei cominciavano a caricare sui grandi “gozzi” le
reti, le lampare e tutti gli attrezzi necessari, qualche giacca sdrucita
e una vecchia coperta per ripararsi dalla brezza notturna. Mi affascinavano
queste partenze, abitando alla Marina per me assistervi era come un
rito. Ricordo i “Feriei”, quattro fratelli, ognuno con la propria
barca e relativo l’equipaggio. Andavano all’amaa[1] che per me era
una località molto lontana, dove il cielo e il mare sembra che si
tocchino. Non avevano motori ma solo le loro forti braccia attaccate
a quei remi; erano uomini robusti segnati in volto da quel duro lavoro
e dai raggi del sole. Uno di questi si chiamava “Giuà”. Egli aveva
dato un nome strano alla sua barca, l’aveva chiamata “E’ il Padre
Eterno”, nome col quale poi hanno chiamato lui per tutta la vita.
Quando sopraggiungeva la notte si accendevano le luci delle lampare,
piccole fiammelle che apparivano a scomparivano seguendo l’ondeggiare
del mare; giunti con la barca nel punto convenuto si fermavano aspettando
la preda. Avevo manifestato più volte a questi pescatori la volontà
di vivere questa avventura, trascorrere cioè con loro una notte di
pesca in alto mare. Ero molto curiosa: avrei incontrato un pescecane?
O una balena? Me l’hanno promesso tante volte ma non mi hanno mai
portata; erano saggi, non volevano farmi correre rischi perché il
mare è imprevedibile. Qualche volta pur partendo con il mare calmo,
poteva accadere che durante la notte, cambiando il vento, dovevano
tornare in fretta per evitare, avvicinandosi alla riva, di esser sbattuti
sugli scogli dalle onde. Era una faticaccia. Stremati e senza pesci
arrivavano davanti alla marina dove tutta la gente del paese era pronta
sullo scalo per aiutarli a tirare a riva la barca con tutta l’attrezzatura.
Anch’io partecipavo in qualche modo al loro ritorno perché volevo
bene a questa gente, mi aveva insegnato ad amare il mare nonostante
i suoi umori.
A barca da
l’aena[2]
Per il trasporto
della sabbia, in quel tempo, era più conveniente il trasferimento
via mare. Alla marina, quando il mare era calmo, arrivava un barcone
a vela detto “il bilancino”. A noi ragazzi ci sembrava un piroscafo
tanto era più grande delle barche che sostavano sullo scalo.
Il primo ragazzo che avvistava la barca correva in paese a chiamare
gli amici gridando “a l’è rivà a barca da l’aena !”[3] Essi arrivavano
a frotte; eravamo veramente tanti dal momento che le classi scolastiche
erano composte da più di sessanta alunni fra maschi e femmine, naturalmente
in aule separate. Attraccata la barca, i marinai, che erano uomini
robusti, svelti, e portavano un fazzoletto alla corsara, avevano nel
frattempo steso una plancia dalla barca allo scalo; camminavano come
funamboli su questo traballante passaggio con in spalla delle grandi
“cufe”[4] di sabbia. Finito di scaricare la sabbia ci consentivano
di salire sulla passerella saltellando e divertendoci un mondo. Mi
interessavano molto questi giochi che avevano come protagonista il
mare: il fatto è che, abitando alla marina, mia nonna la Giulina,
che amavo moltissimo e che era figlia di pescatori, mi aveva insegnato
tante cose sul mare: nuotare, raccogliere patelle e muscoli, rammendare
le reti e pescare con la lenza. Mi raccontava tante storie, comprese
le sue ansie nell’attesa dei fratelli quando il mare era in burrasca:
io l’ascoltavo con tanto interesse e commozione.
NOTE:
[1] Amaa = in alto mare.
[2] L’aena= la sabbia.
[3] E’ arrivata la barca che trasporta la sabbia.
[4] Cufe = gerle