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tratto da "MI RITORNA IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed. Luglio 1998. Prog.Graf. di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.

In convento

Nell’anno 1933 o 1934 vennero a Riomaggiore in missione dei frati che chiamavano “Passionisti”. Tutte le sere, durante la funzione, facevano i loro sermoni dal pulpito cercando di convincere ragazze che, dopo una adeguata educazione, si sarebbero poi dedicate ad aiutare il prossimo negli ospedali o che sarebbero state inviate nelle missioni di paesi stranieri. Avevo da poco finito le elementari e mi sarebbe piaciuto continuare gli studi (l’unica cosa che rimpiango è il sapere) ma non ne vedevo la possibilità. Andare a scuola a La Spezia nemmeno parlarne ed il collegio costava troppo. In quel tempo fare studiare una femmina era poco redditizio perché sposandosi si sarebbe staccata dalla famiglia d’origine, mentre il maschio rimaneva nel nucleo. Mi venne così l’idea di andare in convento perchè, al di là della vocazione, ritenevo fosse l’unico modo per proseguire gli studi. Non fui la sola però ad avere questa idea: infatti, pur non conoscendo le motivazioni delle altre ragazze, saremo state una ventina a partire per il convento. Mi ci volle un po’ di tempo per convincere genitori e nonni ma in definitiva a quell’epoca non c’era famiglia che non avesse in casa un prete o una suora. Si occuparono di noi alcune persone dell’Azione Cattolica e le suore “Gianelline” che operavano nell’ospedale di La Spezia: partimmo per destinazione Roma. Dopo un certo periodo di tempo, un giorno improvvisamente, senza alcun preavviso, ci rimandarono a casa. Il motivo? Dissero che avevamo bisogno dell’aria di mare! Io ci rimasi molto male perché vedevo svanire il sogno di proseguire gli studi. Qualcuno, forse il medico, aveva capito che eravamo troppo piccole per decidere della nostra vita. Parecchie di queste compagne di viaggio dopo qualche anno riuscirono ad entrare in un altro convento e ci vivono tuttora: sono state più brave di me. Ho mantenuto con loro il rapporto di una grande e affettuosa amicizia. Hanno fatto tanto bene, in particolare a noi compaesani quando per necessità abbiamo avuto bisogna della loro opera. Sento il dovere di ringraziarle con molta riconoscenza. .


 


 

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