Una
'guida turistica' realizzata da chi vive nelle Cinque Terre. Curiosità,
sentieri inediti, tutto sull'area Marina Protetta, la Via dell'Amore
tra Manarola e Riomaggiore, la vendemmia e il vino Sciacchetrà delle
5 Terre.
tratto
da "MI RITORNA IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed.
Luglio 1998. Prog.Graf. di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.
Ricordi della
guerra 1940-1945.
Quando scoppiò la
seconda guerra mondiale avevo diciotto anni e mi trovavo in paese
(mi ricordo anche il punto preciso, via Malmorghetto presso la macelleria
Franceschetti, perché certe cose rimangono impresse nella mente) quando
la radio, che si trovava al di là della strada nella sede del partito
fascista, ne diede l’annuncio. Corsi subito a casa per portare la
notizia e vidi nei volti dei genitori e dei nonni lo sgomento. Loro
già sapevano cosa volesse dire la guerra, avevano già fatto esperienza
con quella del ‘15-’18 quando mio padre si trovava al fronte. Questa
volta però la prima linea era ovunque e in breve tempo iniziò il razionamento
dei generi alimentari; i commercianti distribuivano i viveri a chi
presentava una tessera con bollini chiamata carta annonaria. La razione
di pane e pasta era di cento grammi a testa, gli altri generi non
si trovavano tutti i giorni ma saltuariamente. Poi vennero i bombardamenti
e qui noi fummo fortunati perché non ne subimmo anche se ne conoscevamo
gli effetti per quello che succedeva a La Spezia. Infatti dopo le
prime bombe, la gente di città fuggì e si riversò nei nostri paesi,
li ospitammo nelle nostre case e vi rimasero fino alla fine della
guerra. Molto spesso, a tarda sera o nella notte, un apparecchio da
ricognizione, che chiamavamo Pippo, sorvolava il paese facendo suonare
l’allarme : a quel punto dovevamo andare nei rifugi. Quanta paura!
Nei primi tempi ci rifugiavamo nelle cantine delle case, ma poi vista
la devastazione che le bombe causavano in città, fu ritenuto più prudente
andare nelle gallerie della ferrovia. Passavamo le notti rannicchiati
uno contro l’altro protetti, durante l’inverno, da qualche coperta.
Ricordo un particolare: mia madre portava con se una borsetta, color
grigio con una chiusura a clip. Dentro vi erano piccole cose: una
spilla, una crocetta, un anello d’oro ed anche la fede di matrimonio
insieme a qualche piccolo risparmio. La tessera annonaria per comprare
il pane non la dimenticava mai : tutta la sua preoccupazione era quella
borsetta. Pensavo a cosa sarebbero servite queste piccole cose se
le bombe avessero distrutto la casa. Abitavo alla marina dopo il sottopassaggio
della ferrovia che porta al mare; in quel tratto avevano installato
una garitta e vi facevano la guardia alcuni militari coi quali, nel
tempo, si instaurò un rapporto di amicizia. Essi erano originari della
zona del lago di Como e precisamente da Argegno e Muronico, si chiamavano
Paolo, Giulio e Guido. Quando erano fuori servizio, la sera venivano
da noi in famiglia per passare qualche ora in compagnia; li accoglievamo
con piacere, lieti di alleviare per qualche momento la nostalgia dei
loro cari lontani; conservo ancora qualche foto di gruppo. Stringemmo
amicizia anche con un partigiano rifugiatosi in una casetta di campagna
in località Cravarezza: si chiamava Giorgio ma il nome di battaglia
era “Tigre”. Non sapevamo altro di lui nemmeno la sua provenienza,
scese in paese poche volte e noi , quando ci recavamo nei campi, gli
portavamo un po' di cibo. Nel frattempo mi sposai e il primo figlio
nacque il 9 Aprile del 45. Il 25 dello stesso mese i Tedeschi, che
si erano insediati dopo l’8 Settembre 43 nella batteria Racchia e
in qualche casa del paese, ci obbligarono a rifugiarci in galleria.
Non so descrivere la nostra preoccupazione perché non capivamo la
ragione di questo concentramento; comunque anche noi andammo al rifugio
con quel piccolo essere di appena sedici giorni. Piazzarono le mitragliatrici
all’imbocco della galleria e, in quel momento, ci venne il dubbio
che volessero farci fuori tutti; loro già sapevano che la guerra era
finita, volevano solo partire indisturbati e forse avevano paura della
nostra reazione. Misero anche un carro sui binari della ferrovia carico
di esplosivo che fecero esplodere appena fuggiti. Per fortuna uscimmo
incolumi da questa esperienza e, soprattutto, con la felicità per
la notizia che la guerra era finita. Anche il “Tigre” venne a salutarci
prima di partire: non abbiamo mai più avuto sue notizie, in cuor nostro
abbiamo sperato che fosse arrivato a casa sano e salvo.
Gli raccontammo una bugia facendogli credere che la nonna era in ospedale
e così si sono ritrovati nell’aldilà . Dopo una vita di duro lavoro
e senza alcuna pensione, ci pensò il figlio rimastogli, cioè mio padre,
ad accudirli entrambi con amore. Essi non hanno conosciuto la solitudine
essendo attorniati dai nipoti e questo li riempiva di gioia.