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tratto da "MI RITORNA IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed. Luglio 1998. Prog.Graf. di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.

La raccolta delle castagne.

Nel nostro territorio comunale erano poche le famiglie proprietarie di castagneti: c’erano quelli dei Miglia, dei Pasqualetti, dei Lacion, Peton, Puta, Beli, Tumai e Giardi ; le località erano: Travigna, Laghi, S.Rocco, Canevai e Cavade. Quando arrivava la stagione della raccolta delle castagne, non si poteva andare in queste località perché c’erano i proprietari sempre all’erta. Allora si andava oltre il monte Verucoli nel Comune di Riccò del Golfo; le località erano Rospo, Codeglia, Foce, Stelà, Riccadonna, er Pradu. Qualche proprietario anche lì era di Riomaggiore. La sera prima della partenza ci si accordava con le amiche: il mattino seguente due ore prima dell’alba, con un grembiule, un sacco, un falcetto ed un pezzo di pane, partivamo. Ci si incamminava per la costa di Campion, oppure per la via dei laghi salendo la costa del “Curlo”, un viottolo molto ripido. Non era detto che i proprietari di questi castagneti non fossero all’erta, solo che il territorio era talmente vasto e la popolazione così scarsa che non riuscivano a controllarlo tutto. Giunte nel bosco ci si divideva, però ogni tanto ci chiamavamo con un fischio per tenerci in contatto. Quando si trovava un terreno pianeggiante, le cosiddette “reseghe”[12], bisognava stare attente perché era facile che arrivassero i padroni. C’era un proverbio che diceva “ A castagna a là a cua chi a coie a lè a sua”[13] e così non ci sentivamo in colpa se eravamo nella proprietà altrui. Poi c’erano le valli dove convergeva l’acqua della montagna, qui le castagne erano più abbondanti essendo convogliate dal pendio e dall’acqua; erano discese impervie e rimanervi in piedi era un’impresa ardua , per scendere a valle bisognava liberarci dai rovi con il falcetto. Dopo la raccolta, risalire la china con in testa il peso del sacco pieno di castagne, dai quindici ai venti chili, era ancora più faticoso. Succedeva qualche volta che il padrone ci coglieva sul fatto: allora, siccome avremmo dovuto consegnare il raccolto, per impietosirlo cominciavamo a piangere e così ci lasciva andare forse considerando la fatica che avevamo fatto. Quando i morsi della fame si facevano sentire, quel pezzo di pane si inzuppava in un piccolo rivolo d’acqua e si mangiava con qualche castagna. In questa piccola pausa era molto bello rendersi conto della natura che ci stava intorno: ricordo con nostalgia quei silenzi rotti dal cinguettio degli uccelli, qualche animaletto che sbucava tra le foglie cadute, il canto di un ruscelletto che scorreva accanto. Ero molto estasiata e tutto ciò mi ripagava della fatica. Il sole era il nostro orologio. Facendo capolino fra gli alberi ci diceva quando era l’ora del ritorno; dovevamo arrivare prima del tramonto altrimenti i nostri genitori sarebbero stati in pensiero. Questo lavoro si ripeteva più volte durante la stagione della raccolta: i “burdaghi”[14], i baleti[15], le rostie[16] erano per noi un cibo prelibato.

Tempo di Quaresima.

In tempo di Quaresima era rigorosamente vietato mangiare carne e latticini. Mi raccontava mia suocera Maddalena che un giorno di primavera, assieme alla sorella, si erano recate nei campi per estirpare le piante di lupini che erano state precedentemente seminate e che servivano per concimare la vigna. Erano giunte sul campo molto presto, era appena l’alba, per preparare il lavoro agli uomini che dovevano sotterrare queste erbe. Videro qualcosa che sembrava un animale arrotolato, si tolsero il grembiule glielo gettarono sopra e lo catturarono. Quando giunsero gli uomini riconobbero in quell’animale una lepre, così a sera, la portarono a casa e benché fosse Quaresima, decisero di cucinarla, anzi la cucinarono le donne. Nonostante in famiglia fosse molto sentito il rispetto delle usanze religiose, non era di tutti i giorni avere a disposizione un piatto così prelibato. I tempi erano quelli che erano così dopo, come si direbbe oggi, un sofferto dibattito decisero che fossero le donne a rinunciare al banchetto; qualcuno doveva pur sacrificarsi per rispettare la Quaresima e, come sempre succedeva a quel tempo, gli uomini ebbero la meglio.

La commemorazione dei defunti.

Il 2 di Novembre le funzioni religiose cominciavano molto presto, verso le quattro del mattino; forse era per agevolare le persone che si dovevano recare al lavoro e così, a quell’ora, suonavano le campane e tutti grandi e piccoli ci recavamo in chiesa. In casa rimanevano solo gli ammalati e i neonati; noi bambini ne avremmo fatto volentieri a meno ma i nostri genitori erano intransigenti e poi forse non saremmo rimasti a casa per certe leggende che sentivamo raccontare dai nonni. Si diceva che quella mattina le anime dei trapassati sarebbero venuti a farci visita ed era usanza lasciare in cantina un lumicino acceso, un piattino con un bicchiere e gli attrezzi per spillare il vino dalla botte. Non sarebbe stato piacevole fare certi incontri! Arrivati in chiesa ci sedevamo per terra e con gli amici si formava un cerchio e in mezzo accendevamo le candele che ognuno si era portato. Mentre gli anziani erano intenti alle preghiere per noi ragazzi cominciava il gioco. Ogni gruppo cercava di spegnere le candele dell’altro con lanci di castagne o sassolini, e qualche volta ci nasceva anche la rissa. Tornati a casa ci preparavano una polenta di farina di castagne.

NOTE:
[11] Ciò = lavoranti.
[12] Reseghe = terrazze.
[13] La castagna ha la coda e chi la coglie è sua.
[14] I burdaghi = castagne sbucciate e bollite.
[15] Baleti = castagne intere bollite.
[16] Rostie = caldarroste.


 


 

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