Una
'guida turistica' realizzata da chi vive nelle Cinque Terre. Curiosità,
sentieri inediti, tutto sull'area Marina Protetta, la Via dell'Amore
tra Manarola e Riomaggiore, la vendemmia e il vino Sciacchetrà delle
5 Terre.
tratto
da "MI RITORNA IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed.
Luglio 1998. Prog.Graf. di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.
Usanze
ormai tramontate.
La vendemmia.
Nel mio paese, Riomaggiore,
la stagione della vendemmia era un periodo straordinario. Stavano
per finire le preoccupazioni legate agli eventi atmosferici che, durante
l’anno, condizionano pesantemente l’andamento del raccolto di un anno
di faticoso lavoro. Nelle strade di campagna era un andirivieni di
gente, gli anziani staccavano i grappoli d’uva dai tralci e i giovani
li trasportavano nei tini. Era molto faticoso, ma la gente era felice,
gioiosa, si sentivano canti, grida, richiami: ho molto nostalgia di
quel tempo. Avendo la mia famiglia tanti campi coltivati, le nostre
forze non erano sufficienti alla bisogna cosicché, come per altre
famiglie, e per un periodo di quindici o venti giorni, veniva utilizzata
manodopera proveniente anche dall’entroterra spezzino come Zeri, Valgiuncata,
Pignone, Polverara, Bracelli ecc.. Queste persone salivano e discendevano
i pendii con grandi corbe[10] sulle spalle; cominciavano la mattina
all’alba e andavano avanti fino a tarda sera; durante il giorno si
consentivano una breve sosta per mangiare un boccone di pane con qualche
grappolo d’uva. Il pasto più abbondante si consumava la sera: un piatto
di minestrone, qualche acciuga salata, oppure un po’ di baccalà annaffiato
naturalmente di “vinetta”. Per lavarsi andavano alla spiaggia, non
c’erano ancora i bagni e le docce. Per alcuni di loro era la prima
volta che vedevano il mare, i treni e la luce elettrica che per noi
non era più una novità. Ricordo un ragazzo il quale, la prima sera
che arrivò, non riuscì a dormire, era meravigliato e stupito nell’accendere
e spegnere quell’interruttore. I “ciò”[11] , così li chiamavamo, dormivano
in sacconi di felci solitamente nelle soffitte; avevano vestiti che
non cambiavano mai se non quando vi provvedevano le famiglie che li
ospitavano; quei panni impregnati di tanto sudore diventavano nauseabondi.
Solo chi conosceva la fatica del contadino poteva capirli. Quando
ripartivano per il loro paese d’origine, a vendemmia terminata, ci
salutavano con la speranza di tornare l’anno successivo augurandosi
che il raccolto fosse andato bene. Avevo tanta nostalgia per queste
partenze perché qualcosa cambiava: era finita l’estate, l’inverno
era alle porte, incominciava un nuovo ciclo di lavoro in campagna,
la raccolta delle olive e delle castagne.