Una
'guida turistica' realizzata da chi vive nelle Cinque Terre. Curiosità,
sentieri inediti, tutto sull'area Marina Protetta, la Via dell'Amore
tra Manarola e Riomaggiore, la vendemmia e il vino Sciacchetrà delle
5 Terre.
tratto da "MI RITORNA
IN MENTE" di Caterina Bonanni. Terza Ed. Luglio 1998. Prog.Graf.
di G.Mazzini. Tutti i diritti riservati.
La
mia famiglia
Il nonno.
Eravamo , come si
suol dire , una famiglia patriarcale: i nonni, mio padre, mia madre
e quattro fratelli; uno dei fratelli morì piccolo di difterite, una
malattia allora poco conosciuta. Mio nonno si chiamava Gerolamo, in
dialetto “Giemu”, il nostro casato era ed è dei “Giandrean”. Lui era
il capofamiglia ed amministrava la casa; aveva frequentato solo la
seconda classe elementare, ma era molto intraprendente. Instancabile
lavoratore della terra, ne avevamo parecchia sparsa per il territorio,
ma si occupò anche di altre imprese. Aveva ereditato dal padre un
vecchio mulino per macinare il grano e, stando alla leggenda, sembra
sia stato il primo fabbricato costruito alla Marina nel momento dell’insediamento
dei primi nuclei famigliari. Lo trasformò in frantoio per la spremitura
delle olive, ricordo ancora quando funzionava ad acqua. Un giorno
gli venne l’idea di farlo funzionare elettricamente, non l’avesse
mai fatto! La gente non si fidava, pensava che quell’aggeggio, cioè
il motore, si bevesse l’olio. Ci volle qualche anno per riconquistare
la clientela, ma nel frattempo aveva installato sui monti di Vernazza,
con altri due soci che vi lavoravano, un mulino per la macinazione
del grano, granturco e castagne.
Serviva tutte le frazioni limitrofe e pagavano in natura cosicché
nel periodo della guerra 40/45, queste due imprese ci permisero di
non soffrire la fame. Il nonno si impegnava attivamente alla vita
del paese; gli piaceva dialogare con la gente e, per cercare di risolvere
qualche problema , con altri amici istituì un comitato. Insieme si
batterono per ottenere l’autorizzazione ad installare alla Marina
una dinamo alimentata ad acqua per sviluppare energia elettrica: il
paese si illuminò e fu una gran festa, erano pochi lampioni e così,
dalla forma, li chiamarono “pochi becchi”. Quando ci fu l’incoronazione
della Madonna di Montenero nell’anno 1893, il nonno fece parte del
Comitato per i festeggiamenti e raccontava che fu una grande festa,
che venne molta gente da tutti i paesi vicini e che non sapevano come
contenerla. Si intrecciarono amicizie che durarono poi una vita, e
si tramandarono ai figli e ai nipoti. Fattami grandicella mi recavo
con lui in campagna ed al ritorno, la sera, mi portava in cantina,
spillava un bicchiere di vino dalla botte e mi diceva:”Bevilo, sentirai
meno la fatica”. In quei tempi a tavola bevevamo la “vinetta”, che
era un secondo vino ricavato dalla spremitura del raspo imbevuto d’acqua,
perché il vino buono dovevano venderlo per ricavarne i soldi necessari
al fabbisogno della famiglia. Ero molto affezionata al nonno ed anche
lui mi voleva un gran bene. Qualche volta era polemico e se qualcosa
andava storto si arrabbiava; noi ragazzi allora dicevamo :”Il nonno
oggi è stragno” ma poi lui soleva dire:”Fatta la critica sciolta la
questione” e tutto ritornava come prima. E’ vissuto in armonia con
mia nonna fino all’età di ottanta anni, non si sono mai lasciati neppure
per un giorno. Quando morì la nonna, anche lui non stava bene, cosicché
non se ne accorse e quando ritornò in sé la cercava: noi non avemmo
il coraggio di dirglielo perché sarebbe morto di crepacuore.
Gli raccontammo una bugia facendogli credere che la nonna era in ospedale
e così si sono ritrovati nell’aldilà . Dopo una vita di duro lavoro
e senza alcuna pensione, ci pensò il figlio rimastogli, cioè mio padre,
ad accudirli entrambi con amore. Essi non hanno conosciuto la solitudine
essendo attorniati dai nipoti e questo li riempiva di gioia.