Amnesty International Italia
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Testimonianza del sig. Bagmaci Muslum sulle persecuzioni e torture subite.
Integrazione alla memoria allegata alla domanda di riconoscimento dello Status di Rifugiato
Mi chiamo M. B, sono nato nel Nord Kurdistan (Kurdistan turco). Sono kurdo. Sono di religione zoroastriana.
Mio padre è contadino.
Mia madre è casalinga. Abitano in un l villaggio
Siamo in dodici fratelli
Nel 1982 mio padre è stato arrestato e condannato a 3 anni di carcere con l’accusa di collaborazionismo, solo per aver dato acqua e cibo ad alcuni ragazzi che glielo avevano chiesto. Per questo motivo da allora tutta la mia famiglia è stata fatta segno di speciale sorveglianza da parte dell’esercito e delle forze speciali. Un grave problema che abbiamo dovuto affrontare, in quegli anni, è stata la difficoltà a coltivare i nostri campi ed il conseguente aumento della nostra povertà, dovuti all’assenza di mio padre incarcerato. Insieme a mia madre, tutte le estati, ci recavamo a lavorare nei campi di cotone ad Adana alle dipendenze di un latifondista , che ci costringeva a lavorare duramente per 10-12 ore al giorno per un compenso minimo: anch’io, seppur piccolo, ed i miei fratelli e sorelle lavoravamo alla raccolta del cotone.
Tornato mio padre le cose sono andate meglio.
Ho frequentato le scuole fino a 16 anni. Varie volte sono stato castigato dagli insegnanti, con punizioni corporali, perché, con i miei compagni, parlavo in curdo, la lingua che ho imparato in casa mia, perché i miei genitori, analfabeti, conoscono solo quella.
Un giorno mi sono rivolto all’insegnante in curdo, la lingua che mi viene più spontanea parlare: sono stato espulso non solo dalla scuola che frequentavo, ma da tutte le altre scuole. Così , nonostante volessi continuare a studiare, ho dovuto trovarmi un lavoro vendendo giornali.
Nel 1993 collaboravo e distribuivo un giornale d’opposizione al regime che si chiamava “Ozgur Ulke” ad Antalya. Il giornale è stato soppresso. C’era una situazione da guerra civile, documentata da tutte le organizzazioni che si occupano di Diritti Umani ed anche da Amnesty International, di cui, ora, sono socio attivo.
Un giorno sono entrato in un caffè ad Antalya con i giornali che stavo distribuendo... quando un gruppo di razzisti turchi sono venuti verso di me, hanno cominciato a picchiarmi. Risale a quel momento la cicatrice che ho sul petto all’altezza del cuore. Poi avevano preso una mazza e con quella mi avevano colpito alla nuca, dove ho la cicatrice. Erano arrivati i poliziotti: anziché portarmi all’ospedale mi hanno portato in caserma e visto che ero un curdo ne hanno approfittato per sottopormi a torture: per tre giorni mi hanno picchiato con calci e pugni ed hanno usato su di me le scosse elettriche (picana), quindi hanno aperto contro di me un procedimento giudiziario presso il Tribunale speciale di Konya, un tribunale istituito per giudicare gli oppositori politici.
In seguito sono ritornato a casa mia dove l’esercito mi aveva imposto di presentarmi ogni settimana in una caserma dove dovevo firmare. Il nome della caserma è Yaylak. Sentendomi minacciato e in pericolo di vita, ho deciso di fuggire all’estero. Nel maggio 1994 sono andato in Germania dove ho chiesto asilo politico.
Mentre ero in Germania gestivo con mio fratello un ristorante. Una sera sono entrati nel ristorante nove naziskin, persone che non avevo mai visto, e avevano preso ad insultarmi dicendomi d’andarmene dalla Germania, mi minacciavano di morte; io ho tentato di telefonare alla polizia, loro me l’hanno impedito e si sono messi a distruggermi il ristorante. Ho avuto una colluttazione con loro, ho ferito uno di loro. Gli altri otto sono scapparti, è rimasto solo quello ferito, ho chiamato la polizia che è arrivata e mi ha portato in caserma; ho subito un processo e sono stato condannato ma non ho scontato la pena in carcere poiché sono stato espulso in Turchia.
Il 23 novembre 2002 due poliziotti mi hanno accompagnato nel viaggio aereo fino a Istanbul. Arrivato all’aeroporto di Istanbul sono stato arrestato dai poliziotti turchi dell’antiterrorismo: mi hanno torturato per sei giorni e intanto mi accusavano di aver fatto attività politica mentre ero in Germania, mi accusavano di essere un simpatizzante del PKK. Durante la detenzione sono stato più volte picchiato, mi hanno inflitto la falaka ( percosse sulle piante dei piedi) , le scosse elettriche, mi hanno spento sul corpo sigarette, sono stato legato strettamente nei polsi e ai piedi; tra una seduta di tortura e l’altra, mi mostravano foto di persone che dovevo riconoscere, io non le avevo mai viste prima, per questo riprendevano a picchiarmi con maggiore intensità. Durante quei 6 giorni mi è stato impedito di contattare un avvocato, né alcuna altra persona. I miei aguzzini mi dicevano “ Perché vuoi chiamare un avvocato, siamo noi i tuoi avvocati!” Tutte le sere sei guardie del carcere mi portavano in infermeria dove un medico mi chiedeva se ero stato torturato; siccome le sei guardie erano sempre presenti, per paura, ero costretto a negare. Le torture che mi praticavano non lasciavano segni sul mio corpo, quindi era difficile anche per il medico rendersi conto di ciò che mi infliggevano durante il giorno.
Dopo questi sei giorni mi hanno ordinato di andare a Sivas per il servizio militare, dove dovevo trovarmi entro due giorni.. Sapevo che i curdi che prestano servizio militare di leva sono particolarmente discriminati e costretti a partecipare ad operazioni militari contro altri curdi, ero anche a conoscenza di morti di militari di leva curdi, fatte passare poi per suicidi, per questo avevo molta paura di andare a Sivas.
Ho preferito andare prima dalla mia famiglia che non vedevo da tanti anni. Sono stato qualche settimana con la mia famiglia. I militari venivano a cercarmi ma non sono riusciti a trovarmi. Sono andato da mia sorella che vive ad Antep e in questa città il 5 febbraio 2003 c’era una manifestazione per chiedere la fine dell’isolamento di Ocalan e che gli fossero permesse le visite degli avvocati. Manifestazioni che con le stesse richieste si svolgevano contemporaneamente anche in tante città europee. Come curdo io dovevo partecipare. Sono stato arrestato dai poliziotti dell’antiterrorismo e per quattro giorni mi hanno torturato. E’ risultato di nuovo che non avevo fatto il servizio militare e perciò il 9 febbraio con due militari sono stato accompagnato a Sivas. All’arrivo a Sivas mi hanno picchiato. Un giorno un ufficiale mi ha chiamato e mi ha chiesto: “Sei un terrorista?” Ho risposto di no. Lui mi ha detto: “Ci è arrivata da Antep la relazione su di te, dicono che lo sei” Io ho risposto ancora che non era vero. Lui mi ha detto: “Qui ti ammazzano di sicuro e ci sarà anche una scusa per fare apparire la tua morte un suicidio: si dirà che qui non ti trovavi bene dopo essere vissuto comodamente per tanti anni in Germania”. Gli ho chiesto cosa mi consigliava di fare. Lui mi ha risposto che avevo una unica possibilità per fuggire: far sì che un mio parente chiedesse per me l’uscita di fine settimana. Ho chiamato mio cognato, il marito di mia sorella di Antep, gli ho riferito le cose che mi aveva detto l’ufficiale; mio cognato ha preso per me il permesso e siamo usciti fuori.
Abbiamo preso due biglietti: uno per Izmir e uno per Antep. Lui ha preso il bus per Antep e io quello per Izmir. Dopo questo, mio cognato per qualche giorno è stato arrestato ed anche torturato. Io invece, il 24 maggio 2003, a Mersin, sono riuscito a salire su una nave per l’Italia. Per il viaggio avevo dovuto pagare 3000 euro. Su quella nave eravamo in 177 persone. Il viaggio è stato di sette giorni e sette notti. Giorni senza cibo, senza acqua, pensavamo di morire. Sono arrivato in Italia nella notte tra il 30 ed il 31 maggio 2003: sulla costa nei pressi di Crotone. Al mattino i poliziotti ci hanno portato in bus a Crotone, in un campo militare vicino all’aeroporto. Io ho detto subito che volevo fare domanda d’asilo in Italia. Ci facevano qualche domanda, ma dopo un mese di permanenza nel campo io ancora non avevo capito a che punto fosse la procedura, ed anzi ero spaventato perché due curdi che avevano fatto il viaggio con me erano stati rinviati in Turchia. Uno di quei due si chiama Muhittin Kaya, che ho saputo è stato incarcerato al suo arrivo in Turchia, dell’altro non so. Alla fine avevo raggiunto Roma e trovando che le persone dovevano dormire anche nei parchi mi ero diretto verso Nord.
Finalmente in ottobre sono arrivato a Parma; al CIAC mi hanno proposto l’inserimento nel progetto “ Terra d’Asilo ” a Fidenza e da allora le mie condizioni sono cambiate: ho trovato ospitalità, una borsa lavoro che mi consente di vivere dignitosamente e la possibilità di rendermi utile al Centro di Accoglienza della Caritas di Fidenza ed in altre associazioni di volontariato, come Amnesty International e Jambo (Commercio equo e solidale). Ho frequentato un corso di lingua italiana e ho potuto inserirmi bene nella città che mi ospita.
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ultimo aggiornamento 05 Dic. 2010