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COLOMBIA  -  Il caso di Pueblo Bello

  

La situazione

La Colombia è nota come una delle democrazie più stabili dell’America Latina. Ha una tradizione di governi civili interrotta solo brevemente da una dittatura militare negli anni ’50. Ma dietro questa facciata di stabilità e di democrazia la Colombia sta vivendo da circa 40 anni un conflitto armato interno, caratterizzato da una sistematica e generalizzata mancanza di rispetto per i diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

Difensori dei diritti umani, attivisti per la pace e sindacalisti che denunciano abusi commessi dalle parti coinvolte nel conflitto armato e che fanno campagne per diritti socio-economici vengono uccisi, attaccati, minacciati e arrestati arbitrariamente. Violenze sessuali nei confronti delle donne sono commesse come un’arma di guerra per generare terrore. Gli sfollati interni, i contadini e le comunità afro-colombiane e indigene che vivono nelle zone di conflitto continuano ad essere affetti dalla violenza in maniera sproporzionata. Tutte le parti interessate al conflitto sono risultate responsabili di queste gravi violazioni e hanno agito indisturbati nella totale impunità.

Anche la recente smobilitazione dei gruppi paramilitari decisa dal governo colombiano, criticata da Amnesty e da varie altre organizzazioni nazionali ed internazionali perché non rispetta le norme internazionali relative al diritto delle vittime alla verità, alla giustizia e alla riparazione, non ha contribuito ad assicurare la fine della crisi dei diritti umani nel paese. Sembra che il governo colombiano sia impegnato in un processo di negoziazione di contratti di impunità di cui beneficeranno non soltanto i paramilitari responsabili di violazioni dei diritti umani, ma anche coloro che li proteggono sul piano politico, economico e militare e, in futuro, probabilmente anche i guerriglieri ugualmente colpevoli di questi abusi. L’impunità è uno dei grandi problemi della Colombia: assicurare che i responsabili non siano portati davanti alla giustizia incoraggia la continuazione delle violazioni.

Il massacro di Pueblo Bello, di seguito descritto, è uno dei casi che può servire ad illustrare questa situazione.

 

 

Il caso

Pueblo Bello è una cittadina situata nella municipalità di Turbo, dipartimento di Antioquia, nella regione dell’ Urabá che, all’epoca, era zona militarizzata amministrata direttamente dall’esercito. Nella zona venivano imposte particolari misure di sicurezza: tutti gli abitanti erano registrati e dovevano portare carte di identità emesse dagli amministratori militari; la libertà di movimento all’interno era ridotta e l’ingresso e l’uscita venivano controllati; vigeva il coprifuoco e nessun veicolo poteva circolare normalmente fra le 6 di sera e le 6 di mattina.

Domenica 14 gennaio 1990. verso le 20,30, una squadra di uomini armati, alcuni incappucciati, altri in uniforme militare ed altri ancora in abiti civili, sequestrarono 43 uomini a Pueblo Bello prelevandoli dalle loro case, dalle strade, dai bar e da una locale chiesa presbiteriana. Questi uomini furono costretti a salire su due autocarri che si allontanarono dall’abitato percorrendo l’unica strada che conduce fuori dalla cittadina; non furono fermati al posto di blocco militare esistente su questa strada.

Tre settimane prima erano stati rubati 43 capi di bestiame da un ranch locale (“Tangas”) di proprietà di Fidel Castaño, noto con il soprannome di Rambo a causa del suo coinvolgimento, con il gruppo paramilitare ai suoi ordini, in numerosi massacri della zona. Pare che il furto fosse stato commesso da un gruppo guerrigliero attivo nell’area. Gli abitanti di Pueblo Bello erano stati frequentemente accusati di essere simpatizzanti della guerriglia.

Erano stati rubati 43 capi di bestiame, 43 uomini erano stati prelevati da Pueblo Bello: non sono più stati visti vivi.

A metà febbraio uno dei partecipanti al raid si consegnò alle autorità e testimoniò che i 43 uomini erano stati portati al ranch di Fidel Castaño dove erano stati torturati, uccisi e sepolti. La polizia perlustrò il ranch e trovò delle fosse comuni contenenti 24 corpi. Sei furono identificati dai familiari come appartenenti al gruppo di uomini sequestrato a Pueblo Bello. Poco dopo il ritrovamento dei cadaveri, 5 membri del gruppo paramilitare furono arrestati ed accusati del sequestro e delle uccisioni: furono rilasciati poco dopo.

Nel giugno 1990 due ufficiali del Batalión Vélez, di turno al posto di blocco, furono accusati di negligenza (“omisión permisiva”) per aver permesso ai camion con gli uomini rapiti di passare. Le accuse furono in seguito ritirate.

La dr.ssa Maria Ester Restrepo Quiceno, Procuratrice Regionale di Urabá, incaricata dell’indagine sul caso, fu uccisa insieme alle due guardie del corpo il 24 luglio 1990.

Solamente nel maggio 1997 il Giudice Regionale di Medellin condannò Fidel Castaño “in absentia” ed altri 9 membri del gruppo paramilitare a 30 anni di reclusione, anche se nel massacro erano implicati più di 60 paramilitari. Soltanto tre dei condannati furono arrestati e risultano ancora in  detenzione (da notare che nel giugno 1991 Fidel Castaño fu condannato “in absentia” a 20 anni di carcere per complicità nei massacri avvenuti nel 1988 nelle località di Honduras e La Negra).

Nel 1996 Fidel Castaño sparì nella selva del Darién, al confine con Panama, e fu dichiarato morto. Nessuno vide il cadavere di Fidel e molti sono i dubbi circa la sua morte.

Nel 2006 la Corte interamericana dei diritti umani (Cidh) ha condannato il governo colombiano a pagare un risarcimento di 12 milioni di pesos (4 milioni e mezzo di euro) ai familiari dei 43 civili sequestrati e assassinati a Pueblo Bello. Insieme alla condanna, la sesta emessa contro la Colombia per violazioni dei diritti umani, il tribunale panamericano ha ordinato allo stato di riconoscere pubblicamente la propria responsabilità e chiedere perdono alle famiglie dei civili uccisi. Data l’assenza di prove inconfutabili, la Cidh ha tuttavia escluso la partecipazione diretta dei militari governativi denunciata da alcune organizzazioni della società civile.

"Sin olvido"

Masacre de 12 jóvenes en el barrio Punta del Este, Buenaventura (Valle) el 19 de abril de 2005

Memoria y Justicia
3 años de impunidad
Hace 3 años, un martes 19 de abril, en la ciudad de Buenaventura, departamento del Valle, fueron asesinados 11 jóvenes, cuyos cuerpos sin vida fueron hallados dos días después junto a un joven más asesinado el día anterior. El asesinato de estos 12 jóvenes corresponde al accionar de estructuras de la estrategia militar encubierta de tipo paramilitar en Buenaventura, en un contexto de aplicación de la política de Seguridad Democrática y de la red de informantes y cooperantes implementada por el gobierno colombiano.
Han pasado 3 años y la impunidad del crimen la consolidó el Juzgado Segundo Penal del Circuito Especializado de Buga (Valle), al no reconocer que la autoría de la masacre fue de las estructuras paramilitares que actuaron y siguen actuando en este puerto del pacífico.
En la investigación iniciada con el radicado No. 2164 por parte de Fiscalia 38 de la Unidad Nacional de Derechos Humanos de la Fiscalía con sede en Cali. El ente investigador dijo tener los méritos suficientes para decidir la ruptura de la unidad procesal, y pasar a juicio, en la premura de mostrar resultados, a nueve paramilitares, varios de los cuales habían participado en procesos públicos de desmovilización con el gobierno colombiano.
Bajo el radicado No. 200600117, el Juzgado Segundo Penal del Circuito Especializado de Buga, adelantó la etapa de juicio y el pasado 31 de julio profirió sentencia condenatoria contra cuatro de los paramilitares, aunque dejo tajantemente claro que para él no hay méritos dentro de la investigación adelantada por la Fiscalía que prueben la pertenencia de los condenados a estructuras paramilitares, dando a entender que su actuación obedeció a lógicas de delincuencia común. Los condenados fueron JOSE RAMON RENTERIA VALENCIA, GUIDO FRANCOIS MATAMBA MANYOMA, CARLOS JAVIER CAICEDO GRANADOS Y DAGOBERTO CAICEDO BENITEZ por los delitos de Homicidio Agravado, Concierto para delinquir y fabricación, trafico y porte de armas de fuego o municiones, imponiéndoles una pena de cuarenta años de prisión.
Al mismo tiempo, el juez absolvió a los restantes cinco paramilitares, uno de los cuales se reconoció como desmovilizado del Bloque Calima y conocido como El Chespi, cuyo verdadero nombre es JEFERSON BONILLA GOMEZ. También fueron absueltos los paramilitares EVERT GONZALEZ VALENCIA, MANUEL ANTONIO RODRIGUEZ, GOBERT CARABALI GOMEZ Y HAROLD WILSON CASTILLO FIGUEROA. Decisión tomada por el juez al decir que no se encontraron méritos que demostraran su pertenencia a un grupo paramilitar ni la participación en la masacre.
Hoy, se está en espera de que el Tribunal Superior de Cali resuelva la apelación a la sentencia realizada por la defensa de los cuatro paramilitares detenidos. Ya podremos intuir cuál puede ser el resultado, al ser las mismas pruebas aportadas por la Fiscalía las que sirvieron para que el juez decidiera que por falta de mérito debía absolver a cinco de los paramilitares.
Mientras se consolida la No ? Justicia, la Fiscalia 38 de la Unidad Nacional de Derechos Humanos de la Fiscalía con sede en Cali, mantiene abierta la investigación con el radicado No. 2164, aún en etapa de instrucción, sin ninguna vinculación.
Investigación sinuosa que nunca dio cuenta de cómo se puede explicar la ocurrencia de una masacre a plena luz del día en una ciudad altamente militarizada. Nunca dio cuenta de la responsabilidad por Acción y Omisión de las instancias locales de Gobierno y Estado, no se han tenido en cuenta los serios indicios de la participación de redes de cooperantes en este hecho.
La Fiscalía dentro de la investigación, tan solo ubicó la "responsabilidad", con débil material probatorio, en nueve paramilitares pertenecientes al denominado Bloque Calima, pero nunca vinculó a ella a quienes se han reconocido públicamente como sus comandantes, como el caso de Diego Murillo conocido como DON BERNA y de Éver Veloza o Hernán Hernández conocido como H.H., capturado el 3 de abril del 2007 en Antioquia, como uno de los responsables de la nueva fase de la estrategia paramilitar en el departamento del Meta, quien fue reconocido por el gobierno como uno de los mandos militares del Bloque Calima dentro del proceso de desmovilización, como lo señala la revista Semana del 9 de abril del 2007.
Han pasado tres años, y se mantiene en la impunidad esta masacre. Han pasado tres años, desde aquel martes 19 de abril, cuando dos hombres llegaron hacia el medio día al barrio Punta del Este de la ciudad de Buenaventura, y bajo engaños sacaron del barrio a 11 jóvenes, entre 18 y 21 años de edad, diciéndoles que iban a jugar un partido de fútbol en la localidad de Dagua, departamento del Valle, con la promesa de pagarles la suma de doscientos mil pesos.
Los jóvenes fueron sacados uno por uno del barrio Punta del Este en una motocicleta y reunidos frente a una casa ubicada en el barrio Santa Cruz, de Buenaventura. Allí los esperaban varios hombres, quienes los invitaron a abordar un colectivo de servicio público que los llevaría al sitio donde supuestamente se realizaría el partido de fútbol.
Los jóvenes RODOLFO VALENCIA BENITEZ, VICTOR ALFONSO ANGULO MOSQUERA, LUIS MARIO GARCIA VALENCIA, HUGO ARMANDO MONDRAGON VALENCIA, PEDRO LUIS ARAMBURO CANGA, RUBEN DARIO VALENCIA ARAMBURO, CARLOS JAVIER SEGURA BELALCAZAR, MANUEL CONCEPCIÓN RENTERIA VALENCIA, MANUEL JAIR ANGULO MONDRAGÓN, CARLOS ARBEY VALENCIA GARCIA y LEONEL GARCIA, inocentes de la situación, abordaron el vehículo de transporte público.
A las afueras de la ciudad el vehículo fue desviado de su ruta, y abordado por cuatro hombres más, armados y quienes se identificaron como paramilitares. Las unidades de la estrategia militar encubierta de tipo paramilitar, desviaron el vehículo hacia el estero de San Antonio ? Bodegas de Cilano, sitio conocido en Buenaventura como cementerio clandestino creado por las estructuras paramilitares.
Al llegar al sitio, los 11 jóvenes fueron obligados a bajar del vehículo, les ataron las manos a la espalda utilizando los cordones de sus propios zapatos, obligados a tirarse al piso y posteriormente asesinados con disparos de bala en la cabeza.
Los cuerpos sin vida de los 11 jóvenes fueron arrojados al mar por sus victimarios.
Dos días después, los cuerpos sin vida de los 11 jóvenes fueron hallados junto a un cadáver más de otro joven asesinado por las mismas estructuras, al parecer el 18 de abril y quien a la fecha no ha podido ser identificado.
El drama que padece el puerto de Buenaventura, sus barrios de bajamar, es una realidad desconocida en informes oficiales de instituciones de gobierno y estado, pero también es una realidad no percibida en los informes del Departamento de Estado y de Naciones Unidas. Cerca de un millar de muertes violentas en los últimos dos años, más de un centenar de desapariciones forzadas en el primer semestre del 2007 y nada se dice, nada pasa. La impunidad de la masacre de los jóvenes de Punta del Este, garantiza la repetición una y otra vez de los crímenes, así se pretendan ocultar o disfrazar en la idea de que obedece a pelea de ?pandillas?, ?delincuencia común? o ?bandas emergentes?.
La política de ?Seguridad Democrática? que llama al puerto de Buenaventura al ?progreso? y al ?desarrollo?, con la promesa de ser puerto estratégico dentro de la implementación del congelado TLC, es hoy escenario de la guerra urbana, de la continuación y consolidación de una estrategia paramilitar con la complicidad por acción y omisión del Estado colombiano.
Por ello, ante la impunidad, ante el terror, ante la militarización de los barrios, ante la imposición del ?progreso?, ante la impunidad, a tres años de la masacre de los 12 jóvenes del barrio Punta del Este, se entierra el olvido, se exhuma la memoria. Familiares, amigos, vecinos, organizaciones sociales y de derechos humanos conmemoraron, decenas de jóvenes marcharon y celebraron en una peregrinación desde el barrio Punta del Este hasta la catedral de Buenaventura, donde se celebró las vidas de estos 12 jóvenes. Afirmando el derecho a la verdad y a la justicia, en medio de la militarización cotidiana de la vida, de los señalamientos y amenazas que persisten por parte la presencia de las mismas estructuras de la estrategia militar encubierta que participaron del espectáculo de la desmovilización paramilitar y continúan su accionar, perpetrando crímenes de lesa humanidad.
Bogotá, D.C. Abril 19 de 2008
COMISION INTERECLESIAL DE JUSTICIA Y PAZ

Una lezione di vita e di umanità : l'incontro con Josè Daniel Alvarez

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ultimo aggiornamento 05 Dic. 2010