Amnesty International Italia
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EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI TEMATICO
per gli alunni della scuola d’istruzione secondaria di secondo grado
INTRODUZIONE
Questo percorso tematico è finalizzato alla conoscenza , alla comprensione , all’educazione ai diritti umani, ma soprattutto a sviluppare , negli studenti cui è destinato, il valore del rispetto reciproco , dell’ integrazione come valore imprescindibile per la convivenza e la relazione tra le persone .
Obiettivo a lungo termine è quello di dimostrare che è possibile rendere concreti i concetti di libertà, tolleranza e giustizia facendo si che ,attraverso di essi , la società abbia un “humus “ in cui vivere senza violazioni dei diritti altrui, portando progressivamente ad un miglioramento reale delle condizioni di vita. Esso fa riferimento e si ispira alla Costituzione Italiana, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, alla Normativa Comunitaria sull’educazione interculturale e contro il razzismo e la xenofobia, all’Ordinamento Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nonché a tutte quelle Convenzioni che l’ONU ha approvato nel tempo con il preciso scopo di una convivenza civile fra i Popoli.
Obiettivo a medio termine è quello di conoscere le diversità , valorizzarle, sviluppando capacità per favorire la comprensione dell'altro e l'eliminazione dei pregiudizi e dei preconcetti nei suoi confronti; interiorizzare e tradurre nel proprio vissuto l’idea dell’identico valore di tutti gli esseri umani attraverso l’applicazione di metodologie particolari ,molto semplici nella sua attuazione (giochi di ruolo , letture ,considerazioni libere ),attraverso cui gli studenti potranno sfruttare ogni loro conoscenza e abilità: cosi facendo , prendono coscienza della propria personalità, confrontano le proprie esperienze con quelle degli altri, sviluppando il senso della collaborazione, della partecipazione e della solidarietà.
In questo modo si svilupperà negli allievi la consapevolezza di essere parte, e nello stesso tempo protagonista, di un complesso sistema che vive di relazioni umane, di scambio di saperi, di incontro di esperienze e culture diverse, di espressione creativa della conoscenza.
Obiettivo a breve termine è quello di instaurare nella classe ,nelle classi , nell’istituto comprensivo, un clima innovativo di consapevolezza , di “ iniziale “ accettazione del “diverso da sé” che possa presto trasformarsi in condivisione di esperienze differenti fra loro , diverse per la modalità e la matrice che le ha generate ma che arricchiscano le conoscenze di tutti. In sostanza , che portino gradualmente ma ineluttabilmente a un rapporto reciproco basato sulla stima e sul rispetto delle idee e dei comportamenti altrui. Il progetto attinge inoltre all’esperienza consolidata di Amnesty I. nel campo dell’educazione ai diritti umani e ad alcuni lavori già realizzati in altre realtà scolastiche. Esso ha caratteristiche formative "trasversali"; pertanto vede coinvolti tutti gli insegnanti, ognuno con il contributo della propria disciplina. pensato
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Amnesty International è un’organizzazione non governativa indipendente, una comunità globale di difensori dei diritti umani, fondata nel 1961 dall’avvocato inglese Peter Benenson, che lanciò una campagna per l’amnistia dei prigionieri di coscienza. Conta attualmente quasi due milioni di soci, sostenitori e donatori in più di 140 paesi. La Sezione Italiana di Amnesty, costituitasi nel 1975, conta oltre 80.000 soci.
La visione di Amnesty International è quella di un mondo dove i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli altri documenti sulla protezione internazionale siano riconosciuti, garantiti e tutelati. Amnesty svolge ricerche e azioni per prevenire e far cessare gravi abusi dei diritti all’integrità fisica e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione e alla libertà dalla discriminazione. Amnesty, inoltre, denuncia gli abusi commessi dai gruppi di opposizione, assiste i richiedenti asilo politico, sostiene la responsabilità sociale delle imprese e si batte per un trattato internazionale sul commercio di armi.
Amnesty si impegna concretamente per:
- porre fine alle violazioni dei diritti umani: pena di morte, sparizioni, esecuzioni extragiudiziali, processi iniqui, tortura, violazioni dei diritti economici e sociali.
- difendere i diritti fondamentali delle vittime delle violazioni: prigionieri di coscienza, prigionieri politici, donne, minori, obiettori, rifugiati, sindacalisti.
Di tutte le tecniche che Amnesty ha messo a punto nella sua più che trentennale lotta contro le violazioni dei diritti umani, la campagna internazionale è una delle più impegnative. Una campagna su un paese o su un tema coinvolge a tutti i livelli il movimento e prevede l'utilizzo delle più diverse tecniche per la sensibilizzazione dell'opinione pubblica e la pressione verso i governi violatori: invio di appelli, contatti con le ambasciate, organizzazione di eventi pubblici, attività di lobby presso i governi e le organizzazioni internazionali. Di fatto una campagna di Amnesty è un evento “temuto” dal paese oggetto per l’enorme pressione che suscita: è già capitato che alcuni governi abbiano diffidato Amnesty dall’iniziare una campagna verso di loro o abbiano effettuato dei miglioramenti di "facciata" (come la liberazione di qualche prigioniero di opinione il giorno prima del lancio di una campagna) per screditare i rapporti di Amnesty.
Il socio singolo può partecipare attraverso gli appelli mondiali da ricopiare e spedire, inseriti nel notiziario nazionale e disponibili sul sito, inviando lettere per contribuire alla pressione internazionale esercitata dal movimento su casi specifici. Migliaia di cartoline, telegrammi, lettere, fax, messaggi di posta elettronica creano intorno ai casi una visibilità e un interesse che mettono in seria difficoltà i governi. Le testimonianze di molti prigionieri liberati grazie ad Amnesty International, lo dimostrano.
Nel 1973 è nata la tecnica delle azioni urgenti , utilizzata quando è fondamentale agire immediatamente. E’ stata infatti ideata per contrastare l’uso sistematico della tortura, che spesso si concentra nei primi momenti dopo l’arresto, quando è necessario intervenire in tempi rapidissimi per far sentire alle autorità la pressione dell'opinione pubblica. Quando il Segretariato ha notizia di imminenti violazioni dei diritti umani lancia un'azione urgente. Nelle successive 48 ore gli aderenti alla rete che ricevono i casi si attivano inviando fax, telegrammi e messaggi di posta elettronica. Questo provoca in molti casi sensibili miglioramenti e scongiura il pericolo imminente di gravi violazioni
EDU – educazione ai diritti umani
Ormai da diversi anni Amnesty International ha affiancato al tradizionale impegno di "pronto intervento" in favore delle vittime delle violazioni dei diritti umani, un ampio e articolato progetto educativo attraverso il quale promuove l'adesione ai valori contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e negli altri strumenti in materia di diritti umani riconosciuti a livello internazionale
. Un processo di lungo periodo che costituisce una strategia preventiva efficace di difesa della dignità e della libertà di ogni individuo. Un lavoro che parte dalle scuole ma si estende a tutti gli ambiti della formazione.
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Educazione, è bene sottolinearlo, e non istruzione, ai Diritti Umani: ciò
vuol dire non limitarsi a trasmettere una serie di pur utili nozioni. La
sola conoscenza, infatti, non è sufficiente a modificare atteggiamenti e
comportamenti. Solo un processo di lungo periodo puo' costituire una
strategia preventiva efficace di difesa della dignità e della libertà di
ogni individuo .
Il percorso - che qui di seguito trovate- mira in particolare ad approfondire un tema particolare di cui troppo spesso si hanno scarse notizie attraverso i “ media” ma che ha una gravità specifica anche perché coinvolge per lo più minori , sia maschi sia femmine , in molto Paesi del cosiddetto “SUD “ del mondo . Complice la miseria , la fame , l’ignoranza , le vittime si trovano a subire un trattamento inconcepibile con gli standard internazionali di rispetto dei Diritti Umani . Amnesty I . denuncia sempre più frequentemente questi casi che stanno diventando , purtroppo , troppo numerosi .
Nella stesura di questo percorso si intende dare lo spunto – ad alunni ed Insegnanti – per approfondire le singole violazioni attraverso la ricerca su giornali , inchieste televisive , denunce ufficiali e fare quindi una sorta di “ mappatura “ delle moderne forme di schiavismo e delle cause che lo generano . Infatti solo attraverso la conoscenza e l’informazione ci si può muovere verso la denuncia di vere e proprie violazioni dei più elementari Diritti , che spesso restano nascoste e impunite .
PERCORSO TEMATICO
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
1948
Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù: la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Articolo7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.
La schiavitù contemporanea
Per affrontare la questione di cosa sia la schiavitù contemporanea, occorre innanzitutto definire il fenomeno, individuare alcune sue caratteristiche e sottolinearne le differenze rispetto alle forme classiche della schiavitù. I fattori che caratterizzano la schiavitù contemporanea e la distinguono da quella classica possono essere riassunti attraverso lo schema di Kevin Bales (lo studioso inglese il cui volume, I nuovi schiavi, 2000, ha dato visibilità al fenomeno):
Fattori caratterizzanti le vecchie e le nuove forme di schiavitù
Vecchie forme di schiavitù |
Nuove forme di schiavitù |
Proprietà legale accertata |
Proprietà legale evitata |
Alto costo d'acquisto |
Basso costo d'acquisto |
Bassi profitti |
Elevatissimi profitti |
Scarsità potenziale di schiavi |
Surplus potenziale di schiavi |
Rapporto di lungo periodo |
Rapporto di breve periodo |
Schiavi mantenuti a vita |
Schiavi usa e getta |
Importanza delle differenze etniche |
Irrilevanza delle differenze etniche |
Questo schema, che si basa fondamentalmente sulla realtà di alcuni paesi del Sud del mondo, laddove il fenomeno appare ancora significativamente più diffuso, fa emergere un quadro antitetico rispetto alle forme assunte dal fenomeno schiavista rispetto al passato. In sintesi va sottolineata una maggiore flessibilità nelle modalità di subordinazione schiavistica, sia per il basso costo d'acquisto (non solo dunque mediante le guerre, ma anche attraverso una capillare azione di reclutamento nelle aree più povere e diseredate giocando su quello che potremmo definire affidamento volontario incondizionato), sia per le modalità di sfruttamento che sembrano non guardare al lungo periodo ma, al contrario, sembrano concentrarsi sul breve e dunque sullo sfruttamento intensivo.
Il periodo di sfruttamento sembra non sia più una variabile prioritaria, tanto il rimpiazzo immediato - e quindi le forme radicali di turn over - sembra essere piuttosto garantito. Non secondaria appare la perdita di valore che in questa prospettiva assume l'appartenenza etnica: importante diventa semplicemente che la vittima risponda alle esigenze funzionali per cui viene sistematicamente sottomessa, resa docile e accondiscendente alla volontà padronale. La schiavitù contemporanea - secondo Kevin Bales (2001) - ha necessità di possedere la vittima (o farla possedere nel caso dello sfruttamento prostituzionale), di controllarla da vicino, di gestirne l'agibilità sociale e di scaricare il più possibile i costi di mantenimento alla vittima stessa nella prospettiva dell'ottimizzazione del profitto. Lo schiavista contemporaneo sembra abbia capito che essere proprietari di schiavi è piuttosto pericoloso (e quasi sempre illegale), non serve più. Infatti, "i vantaggi economici dei rapporti di schiavitù a breve termine sono di gran lunga superiori al costo d'acquisito di nuovi schiavi quando se ne presenta la necessità".
Rapportando le considerazioni di Bales ad un contesto occidentale - e in particolare in Italia - l'indifferenza etnica come base dei rapporti di subordinazione schiavistica non appare del tutto corretta. In effetti, più che parlare di differenze etniche si potrebbe fare riferimento alle differenze di provenienza geografica rispetto al luogo in cui si attivano i meccanismi finalizzati alla subordinazione schiavistica. Scartando, tra l'altro, l'idea che non ci siano segmenti di immigrazione che si caratterizzano per il fatto di essere composti da immigrati-padroni possessori/proprietari di schiavi. Ossia che non siamo in presenza di una importazione di rapporti schiavistici, ma che tali rapporti - nelle forme che assume in un paese come l'Italia - nascono e si sviluppano sul territorio nazionale alle condizioni che l'ordinamento generale involontariamente consente all'interno di particolari ambiti interstiziali.
Quindi è la non conoscenza dei diritti e l'impossibilità di esercitare in maniera matura gli stessi che rende vulnerabili le persone e in primo luogo gli stranieri immigrati, provenienti da realtà lontane, organizzate su rapporti sociali differenti, spesso codificati a prescindere dai diritti soggettivi e personali in quanto basati su culture tradizionali che mantengono determinati equilibri soltanto nel contesto specifico di riferimento. Cambiando contesto - mediante il processo di emigrazione - possono scaturire forme di disadattamento e di disorientamento che spingono fasce di popolazione straniera a vivere gran lunga al di sotto degli standard mediamente determinati dal contesto medesimo.
Le definizioni possibili
Rapportando dunque il fenomeno schiavistico a un paese come il nostro, i suoi confini si fanno incerti, quasi sfuggenti e non chiari. Per Bales uno schiavo è un individuo costretto con la violenza o con la minaccia della violenza a fini di sfruttamento economico. Secondo David Bell (1975) gli elementi costitutivi della relazione schiavo-padrone sono tre:
Quello che appare evidente è che ci troviamo davanti a definizioni che hanno scopi differenti tra loro, in un caso (la definizione di Bales) quello di fotografare un ambito, dare lo spettro più ampio possibile e indipendentemente dalla qualità scientifica della definizione, nel secondo (la definizione di Bell) quello di trattare con la materia in termini teorici senza badare al fenomeno nelle sue manifestazioni contemporanee. Al primo caso assomiglia la definizione data dal Ccem (Comitè contro l'esclave modern),, che fa un lavoro di intervento sociale di grande efficacia in Francia, (www.ccem-antislavery.org, chi invece conduce campagne e fa lobbying internazionale da più di un secolo è Antislavery international, www.antislavery.org). Il Ccem individua a sua volta cinque criteri a partire dai quali una persona viene definita schiava:
A questi si aggiungono, come componenti non determinanti che giocano a favore del padrone, l'esercizio della violenza (reale o minacciato) e la paura della vittima rispetto alle autorità locali (indotta o meno). Appare evidente che l'insieme dei fattori proposti dal Ccem rappresenta un tentativo di sistematizzazione di quelli che caratterizzano sinteticamente perlopiù i casi di riduzione in schiavitù scoperti in Francia. I criteri del Ccem sono utili a ragionare sull'Italia perchè rimandano inequivocabilmente all'immigrazione e pertanto individuano in questo segmento della popolazione -in alcune parti marginali di essa - l'area vulnerabile dove è possibile la produzione di relazioni basate sulla subordinazione schiavistica.
I diversi tipi di schiavitù
E' possibile individuare i tre ambiti all'interno del quale si materializzano le forme contemporanee di riduzione in schiavitù:
Ciascuna di queste forme si può sovrapporre alle altre. In particolar modo le ultime due, in quanto sono anche quelle maggiormente diffuse. La schiavitù da debito - prendendo innumerevoli forme concrete - è comunque molto difficile da definire, anche perché si basa anche su contratti formali e/o informali apparentemente ineccepibili.
Esempi di schiavitù contemporanea nel mondo
In India
In India ci sono circa 15 milioni di child bondage labourers in età superiore ai cinque anni, giacché i prestiti vengono offerti alle famiglie locali in difficoltà economiche con lo scopo di reclutare manodopera. L'85% di questi bambini secondo le stime proposte lavora nell'agricoltura. Le principali industrie dove questi lavoratori-bambini vengono impiegati sono quelle delle sigarette, della seta, dei tappeti, del pellame. Non mancano gli impieghi nel settore dei servizi, come il cameriere, il tuttofare negli hotel o come domestici, nonché nel settore della prostituzione. Parliamo quindi di industrie e settori che sono in relativa espansione, anche per la forte domanda di prodotti orientali presente nel Nord del mondo.
In Brasile
Altra forma di grave assoggettamento da debito è quella brasiliana, nella quale il debito non è una prassi consolidata ma viene contratto attraverso l'inganno e il raggiro. In Brasile, i reclutatori (i gatos, gatti) sono a conoscenza di quando il raccolto va male e quindi si presentano nei villaggi con i camion gridando che offrono lavoro nelle foreste amazzoniche a condizioni ottime. Così facendo riescono a reclutare persone al limite della sopravvivenza offrendogli denaro alla partenza per lasciarlo come anticipo alle famiglie. Dopo di che vengono trasportati a destinazione dandogli da mangiare durante il viaggio. Una volta arrivati vengono indotti a restituire i soldi anticipati alle famiglie attraverso l'impiego nelle opere di disboscamento.
In Cina
Il mercato creato dalle foreign funded enterprises nelle nuove aree industriali cinesi è quello più duro tra tutti, dove si verificano con più forza le violazioni e le forme di schiavitù a danno di lavoratori immigrati (da altre regioni). Infatti, nella Repubblica popolare cinese questi lavoratori ammontano a 144 milioni e rappresentano quella "forza lavoro periferica e flessibile nel nuovo libero mercato del lavoro che è stato spesso salutato come la pietra di svolta del successo economico della Cina" (Chan, 1998). I migranti cinesi quando si trovano in un altra regione da quella di origine assumono - sulla base delle disposizioni vigenti - lo status di foreign nationals dovuto alla paura che le autorità centrali hanno per gli effetti che potrebbero determinarsi con gli spostamenti di massa e di inurbamento incontrollato.
Questi lavoratori, proprio perché migranti, hanno molti meno diritti (in relazione alla scuola, ai servizi sociali) rispetto a quando si trovano nel luogo di residenza abituale (in sostanza fanno un passo indietro rispetto allo status pieno di cittadinanza) e per di più non possono portare la famiglia. Per lasciare la campagna devono avere il permesso di partire e poi avere quello di lavorare nel contesto di migrazione e dunque di nuova residenza. Quando vengono trovati senza documenti possono essere espulsi e rinviati nella loro regione di origine. Anche in questo caso abbiamo un mix di debito e contrattualizzazione. Il management in genere paga le tasse per ottenere il permesso e fa ripagare successivamente agli operai con il lavoro.
A volte il management trattiene i documenti per i quali ha prestato i soldi, così il lavoratore non è incentivato ad uscire dalle residenze collocate generalmente nel perimetro delle fabbriche perché, se fermato dalla polizia e non potendo dare le sue generalità, rischia facilmente di essere rispedito a casa. Dal punto di vista delle condizioni di lavoro qui siamo in presenza di abusi rilevanti che si concretizzano anche con punizioni e percosse, nonché con orari che di dilungano anche fino a 16 ore giornaliere (senza considerare le ore in più come straordinari pagati). Questi orari sono più lunghi di quelli che la legge consente e sono generalmente pagati con la tariffa oraria normale. Non ci sono mai giorni liberi e di riposo, ma in compenso ci sono multe, deduzioni dalla paga per comportamento scorretto, o ritardi in entrata o per malattia (mai riconosciuta).
Arabia Saudita e negli emirati del Golfo
Di grande rilievo è la situazione della manodopera immigrata nei Paesi del Golfo: gli immigrati non possono entrare nel paese senza la garanzia del Kafil(garante). Il Kafil può impiegare l'immigrato, farlo lavorare da altri, passare la sua garanzia ad un altro Kafil. Non secondaria è la figura dell'intermediario di manodopera. Questo la può importare (facendosene garante), ha la facoltà di collocarla direttamente al lavoro oppure di lasciarla libera di cercare autonomamente lavoro. In entrambi i casi però ha la facoltà di trattenere le carte dell'immigrato per il periodo della sua permanenza in maniera da avere la garanzia che l'immigrato stesso possa pagargli ogni mese un contributo per la sua assistenza. In alcuni casi l'intermediario incassa il salario direttamente e poi - una volta tolta la quota che ritiene congrua per il suo interessamento - lo passa all'immigrato facente parte della sua cerchia protetta.
Trafficking e smuggling
Parlando di schiavitù da debito legata all'immigrazione occorre distinguere tra due categorie che determinano forme diverse di possibile assoggettamento e sulle quali, nelle ondate di allarme sociale legate al fenomeno dell'immigrazione, si tende spesso a fare confusione:
Nel primo caso, quindi si tratta di un raggiro o di una violenza perpetrata ai danni di una persona che si cerca di far emigrare per poi sfruttarla nel paese di destinazione. Mentre nel secondo caso è l'emigrante che contatta lo smuggler e paga per essere aiutato. Nel caso del trafficking quindi siamo in presenza di una forma di possibile schiavitù coatta, mentre nel secondo caso sono semmai possibili forme di servitù da debito nelle quali la persona introdotta nel paese paga il viaggio con un periodo di lavoro (ma, anche, ripaga un debito contratto con la propria famiglia lavorando molto nel paese di emigrazione).
Le forme di paraschiavismo nel mercato del lavoro immigrato
L'ambito economico è quello in cui la relazione di sfruttamento opera e si esprime tra soggetti adulti nel campo di attività produttive (industria, agricoltura, servizi) caratterizzate da un rapporto tra un proprietario di mezzi di produzione e un prestatore di forza lavoro.
Pur nella varietà delle forme che si riscontrano, vi è un elemento che attraversa le diverse situazioni, vale a dire le diverse modalità di limitazione della libertà personale che subisce il lavoratore. Nel caso specifico, in questa parte del lavoro, si è trattato quindi di verificare e analizzare quei casi in cui la relazione contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore presenta un carattere fortemente alterato e compromesso, nel senso che quest'ultimo risulta privato delle possibilità di concordare minimamente le condizioni del proprio lavoro.
Quando questo rapporto non è frutto di un libero accordo tra le due parti fin dall'inizio, o quando le modalità concordate saltano per lasciare spazio all'esercizio di un potere di coercizione, dominio, sottomissione coatta si determina una situazione nella quale si possono ravvisare gli estremi di forme di lavoro servile o para-schiavistico.
Le due condizioni si possono sintetizzare come segue:
L'householde la piccola impresa ne forniscono in questo senso l'esemplificazione più efficace, in quanto luoghi in cui i rapporti vengono gerarchizzati non soltanto sulla base dei ruoli tradizionali ma anche perché subentrano interessi contrapposti di carattere sociale e economico e l'imprenditore necessita di assicurarsi la totale dedizione del lavoratore alla causa dell'impresa. Tale tipo di relazione è estremamente difficile da rescindere per la vittima. Si pensi alla collaboratrice domestica che vive e lavora in una casa da dieci anni e ha fatto di quello il suo contesto sociale, o alla persona che lavora in una fattoria e da essa dipende per l'alloggio, fino all'edile, magari irregolare, che dorme nella baracca del cantiere. Il padrone può dare qualche soldo in più una volta e la seguente non pagare affatto, minacciare violenza, fare molestie sessuali e, al contempo, far giocare i figli con la persona che vive in casa: si tratta di un contesto vischioso, dal quale la persona poco integrata nel tessuto sociale, ha grande difficoltà pratica e psicologica ad uscire.
Come si manifestano queste forme di relazione, ad esempio nel contesto italiano:
Un primo esempio può essere ravvisato nel settore edilizio, altamente flessibile e precario, nel quale il lavoro nero è la norma. In edilizia, come in agricoltura, è diffuso il caporalato: gli operai stranieri (rumeni, albanesi), spesso irregolari, aspettano davanti ai depositi i furgoni che li vengono a prelevare. Quello che può succedere è che, oltre a trattenere una parte della paga (già più bassa del valore contrattuale) il caporale decida di non pagare affatto, minacci la denuncia e l'espulsione, picchi il lavoratore. Mancata tutela degli infortuni, "li buttano giù dal furgone nei pressi di un pronto soccorso" ha raccontato un sindacalista intervistato per la ricerca, mancato pagamento, lavoro a oltranza, scambio della baracca in cantiere - dove il lavoratore dorme - con il salario, sono possibili forme che si configurano come modalità di supersfruttamento e che, in alcuni casi, assumono forme di para-schiavismo. Il rumeno Ion Cazacu, morto perché il suo padrone gli ha dato fuoco in seguito alla richiesta di maggiore tutela, è il caso più eclatante: vita in baracca, lavoro al neo e rapporto totalmente squilibrato con il padrone. L'imprenditore che ha ucciso il suo operaio racconta di "avergli dato tutto, essere stato come un amico", sintomo di una percezione che rimanda ai film americani dove i bravi schiavi meritano generosità finché stanno al loro posto.
Nel lavoro domestico: se la lavoratrice (quasi sempre è una donna) è irregolare, in genere non conosce i suoi diritti, e vive presso la famiglia per cui lavora totalmente alla mercé dei padroni. Da parte delle famiglie cittadine più ricche spesso viene proprio una richiesta di manodopera irregolare, forse anche per questo. La condizione di dipendenza produce in questi casi orari continui e senza giorno libero, sequestro del passaporto e delle valigie, molestie e violenze, truffe nelle paghe (è il caso di una ragazza cui si diceva di stare versando lo stipendio su un conto e si davano solo 200 mila lire al mese). Succede anche che il datore di lavoro denunci preventivamente la scomparsa di gioielli, per poter ricattare la lavoratrice che avvii una vertenza nei suoi confronti con la minaccia di andare alla Polizia ad annunciare che ha scoperto il ladro.
Non conoscendo i loro diritti, spesso nemmeno la lingua, isolate dalla propria comunità, queste donne hanno paura dell'espulsione (anche nel caso in cui sono regolari), sono quindi totalmente in balia dei loro padroni.
Terzo ed ultimo esempio è quello degli immigrati che contraggono un debito per entrare nel paese. Si può trattare di persone che vi entrano irregolarmente, così come di persone che si indebitano per ottenere la chiamata nominale da parte di imprenditori loro connazionali. Le sfumature, così come nei casi di edilizia e lavoro domestico, sono infinite: la persona può aver contratto il debito sapendo di dover lavorare gratis per qualche mese, e invece si trova in condizioni lavorative terribili e non viene pagata per mesi e mesi, e/o minacciata di essere rispedita indietro.
In ogni caso si tratta di relazioni temporanee (si esauriscono quando viene pagato il debito), che possono comunque assumere modalità davvero dure. Nel caso del debito "da viaggio" la situazione di dipendenza dal padrone è totale: per la casa, per il lavoro, per i documenti (nel caso si sia regolari) o per la paura di essere scoperti (nel caso di ingresso irregolare). Le comunità in cui si verificano più spesso questi legami sono quelle bengalese e cinese. La persona che contrae il debito è perfettamente cosciente della situazione in cui si troverà salvo nei casi in cui siano presenti violenza o inganno. Occorre inoltre tenere presente, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, che queste non si discostano da quelle presenti nei paesi di provenienza (con la differenza che una volta affrancati dal debito si godrà di maggior benessere). Inoltre la presenza di legami familiari o comunitari (appartenenza a una comunità religiosa o a partiti politici, nel caso del Bangladesh) introduce ulteriori elementi di ambiguità nel rapporto lavorativo.
La schiavitù nel diritto internazionale e italiano
Il problema della schiavitù viene affrontato con maggiore enfasi soltanto nel 1926 con l'approvazione della Slavery Convention ratificata inizialmente da trentasei stati. Il testo della Convenzione di Ginevra è composto da 12 articoli di legge di precisa formulazione, nel Preambolo vi è un richiamo alle Convenzioni e Dichiarazioni che l'avevano preceduta.
Molto importante è l'art. 1 nel quale si esplicitano, per la prima volta, i concetti di schiavitù e tratta. La schiavitù è "lo stato o condizione di un individuo sul quale sono esercitate le prerogative del diritto di proprietà o alcune di esse" (art.1.1).
La tratta degli schiavi, contemplata nell'art. 1.2, include "ogni atto di cattura, acquisto o cessione di un individuo al fine di ridurlo in schiavitù; ogni atto di acquisto di uno schiavo al fine di venderlo; ogni atto di cessione a scopo di vendita o scambio di uno acquistato al fine di farne oggetto di vendita o scambio e, in generale, ogni atto che costituisca commercio o trasporto di schiavi".
A fine 2000, a Palermo, si è svolta la Conferenza Onu che ha portato all'approvazione della Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale sottoscritta da 148 paesi. Altro sviluppo importante per quanto riguarda la tutela del minore è costituito dall'approvazione della Commissione Onu per i Diritti Umani, il 26 aprile 2000, di due Protocolli facoltativi alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo: il primo dedicato alla "Vendita, prostituzione e pornografia dei minori", il secondo al "Coinvolgimento dei minori nei conflitti armati".
Il quadro nazionale e l'articolo 18
L'ordinamento italiano tratta il tema della schiavitù in alcuni articoli del Codice penale:
l'art 600 che sanziona la riduzione in schiavitù;
l'art. 601 che condanna il commercio di schiavi;
l'art. 602 sull'alienazione e l'acquisto di schiavi.
Nel maggio 1991 (legge n. 176) l'Italia ha apportato alcune modifiche al Codice per recepire la Convenzione sui diritti del fanciullo, nel 1998 per adeguare la legge alle decisioni della Conferenza internazionale di Stoccolma del 1996 (prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione materiale pornografico, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile).
L'orientamento della giurisprudenza italiana è quello di applicare l'articolo 600 sia alle situazioni di diritto che di fatto. Questo orientamento ha consentito l'applicazione dell'articolo per condannare alcune persone che hanno privato della libertà le proprie domestiche, impedendo loro la libertà di movimento, l'uso del telefono, di disporre delle proprie cose.
L'articolo 18 è uno strumento giuridico molto avanzato contenuto nella legislazione sull'immigrazione italiana. Si tratta di un dispositivo che prevede la concessione di un permesso di soggiorno per protezione sociale alle vittime di tratta che decidono di lasciare la strada e intraprendono un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. L'articolo 18 è usato fondamentalmente per quel segmento della prostituzione che possiamo definire coatta. Non tutte le prostitute fanno questo lavoro perché obbligate, ma per alcuni tipi di prostituzione (quella su strada) e per alcuni gruppi nazionali (soprattutto albanesi e nigeriane) l'esercizio della violenza, la costrizione, il vincolo del debito è elemento ricorrente. Con l'articolo 18 si è individuato uno strumento che consente la fuoriuscita dalla prostituzione sapendo di essere protetti e di avere un futuro in Italia. Naturalmente, l'applicazione dell'articolo varia a seconda dei momenti e delle Questure a cui ci si rivolge: in alcuni casi l'ottenimento della protezione sociale diventa un calvario (e alcune donne desistono) mentre in altri il percorso è rapido ed efficace .
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ultimo aggiornamento 06 Dic. 2010