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AMNESTY INTERNATIONAL
SECONDA CONFERENZA INTERNAZIONALE SUI DIRITTI UMANI IN COLOMBIA
Brussell, 17-18 Aprile 2007
La crisi dei diritti umani – le sue cause, le responsabilità di ciò e le possibili soluzioni – è stata a lungo materia di controversie in ogni discussione sulla Colombia e il suo duraturo stato di conflitto.
Preso atto che persistono punti di vista divergenti e incompatibili su come la crisi dei diritti umani si stia sviluppando, questa conferenza è molto attuale poiché ci dà una opportunità di esaminare alcuni dei prevalenti luoghi comuni e dati di fatto che ruotano attorno alla situazione dei diritti umani.
La questione centrale che dovremmo esaminare oggi ruota attorno al quesito se la Colombia, come pretende il governo, sottostia ad un processo di rinascita nel quale vi è una relativa pace, livelli rapidamente decrescenti di violenza, reale smobilitazione di decine di migliaia di combattenti illegali e giustizia per le vittime di violazioni dei diritti umani; o se invece, al contrario, la natura della crisi umanitaria stia, una volta di più, semplicemente cambiando.
Il conflitto colombiano è estremamente complesso e pieno di sottili sfumature. Mentre è molto difficile provare e quantificare il numero di abusi, vi sono chiaramente stati alcuni miglioramenti negli ultimi anni sul livello di alcuni tipi di violenze: vi è stata una considerevole riduzione del numero di sequestrati così come del numero di civili uccisi per ragioni connesse al conflitto armato. Inoltre andrebbe detto che la situazione della sicurezza in alcune delle aree urbano più popolate, come pure in molte delle strade principali, è migliorata notevolmente. Ciò va ben accolto e deve venire come un sollievo per milioni di colombiani che voglio semplicemente affrontare la loto vita libera dalla paura.
Tuttavia nel riconoscere positivamente questi miglioramenti, non dobbiamo essere ciechi di fronte all’altra Colombia, nella quale milioni di persone continuano a sostenere il peso maggiore di questo conflitto sanguinoso. Stanno spegnendo le loro voci perché le loro storie smentiscono in maniera molto vivida e convincente la versione ufficiale, la quale sostiene che la Colombia abbia largamente superato il suo passato sanguinoso. Questi altri colombiani includono le centinaia di migliaia che stanno ancora spostandosi a causa del conflitto, il crescente numero di civili che sono uccisi ogni anno dalle forze di sicurezza, le centinaia di desaparecidos , i bambini, anche dodicenni, reclutati come carne da macello sia dai gruppi paramilitari sia da quelli dei guerriglieri, gli attivisti e i contadini detenuti arbitrariamente, le donne stuprate dalle parti in lotta, le comunità perseguitate perché erroneamente sospettate di aiutare e favorire i combattenti nemici, e le vittime dei rapimenti e degli indiscriminati attacchi con bombe nelle aree urbane.
Per queste persone, la violenza, in tutta la sua durezza e barbarie, prosegue.
D’altro canto, data la lunga storia di impunità nel conflitto colombiano, pochi prevedevano che, quantomeno, alcuni influenti politici, pubblici funzionari di alto rango e ufficiali militari con maggiore anzianità di servizio legati ai gruppi paramilitari dovrebbero ora affrontare procedure legali di un qualche tipo o, quantomeno, una indagine penale per tali crimini. Molte persone, sia in Colombia sia all’estero, hanno espresso grande sorpresa per le dimensioni del problema, come se le organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani non le avessero avvertite di questo terribile fenomeno per decenni. Avvertimenti caduti invariabilmente su orecchie da sordi , mentre i governi colombiani che si sono succeduti negavano del tutto che vi fosse un problema.
Anche oggi, quando non è più possibile confutare l’evidenza, alcune istituzioni statali stanno ancora rifiutando di accettare responsabilità personali e istituzionali e hanno persino tentato di prendersi il credito per l’attuale torrente di rivelazioni, sostenendo che esse sono state possibili solamente grazie alla smobilitazione dei paramilitari e alla Legge Giustizia e Pace. Ma quelli che dovrebbero essere veramente ringraziati per l’avvio di indagini su questi profondamente radicati, istituzionalizzati legami in atto- e sia chiaro che questi casi sono appena la punta dell’iceberg – sono la Corte Suprema, l’Ufficio del Procuratore Generale e l’Unità per i Diritti Umani presso il Dipartimento di Giustizia, così come tutti i giornalisti e difensori dei diritti umani coraggiosi che hanno investigato sulla questione e l’hanno tenuta in vita, spesso a caro prezzo personale per sé stessi.
Il governo colombiano ha ripetutamente chiesto ad Amnesty International di riconoscere che la tanto lodata apparente smobilitazione di 32000 paramilitari sia stata un eccezionale e irresistibilmente positivo processo. Amnesty International non condivide questa visione.
Mi si permetta di rendere abbastanza chiara la posizione di Amnesty International sul processo di smobilitazione. Noi abbiamo espresso seri dubbi su di essa sin dall’inizio. Il nostro atteggiamento manifesta il nostro impegno verso i diritti delle vittime e deriva dalla grande esperienza nell’osservare simili processi in altri paesi come pure dalla nostra conoscenza di ciò che costituisce una vera smobilitazione.
La ricerca della verità e della giustizia in ogni situazione di conflitto è densa di difficoltà e di ostacoli. Ma perché un tale processo sia un reale successo, esso deve avere come nucleo centrale i diritti umani, incluso il principio di “non ripetizione”. I diritti umani non sono una etichetta da essere appiccicata su un processo di pace e smobilitazione per renderlo più accettabile; essi sono, o dovrebbero essere, la componente cruciale per ottenere una giusta e duratura pace. Essi sono una costante che dovrebbe essere applicata a tutti i processi di pace e smobilitazione, anche quando essi coinvolgono paramilitari o guerriglieri.
Gli standard internazionali mettono in chiaro che i diritti delle vittime non possono essere compromessi. Il processo di smobilitazione in corso non si conforma a quel principio.
Alcuni hanno detto che rinunciare alla giustizia per amore della pace sia un prezzo che vale la pena di pagare, ma il processo di smobilitazione e la Legge Giustizia e Pace , che lastricano la strada verso di essa , non hanno dato né pace né giustizia.
La macchina paramilitare ha trasformato il sedicente processo di smobilitazione in una farsa. Molti dei suoi combattenti, molti dei quali colpevoli di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, hanno già beneficiato de facto di amnistie in forza del Decreto 128. E’ altamente improbabile che i crimini da loro commessi e il ruolo che hanno svolto, come pure il ruolo giocato da quelli che hanno fornito loro supporto materiale e politico, saranno mai indagati o che le loro vittime riceveranno la giustizia che disperatamente desiderano e che hanno diritto di aspettarsi.
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E’ vero che buona parte della leadership paramilitare può finire con l’essere privata della sua libertà per la sua partecipazione in alcune delle peggiori atrocità contro i diritti umani per almeno alcuni anni ma, al presente, che questa volta stia in prigione o in qualche lussuosa sistemazione è semplicemente materia di congetture. Comunque la prospettiva di una sentenza di pena detentiva poco probabilmente causerà molti notti insonni per le parti terze, coloro che furono i principali artefici del progetto paramilitare e senza i quali i Mancuso e i Castaño di questo mondo non sarebbero riusciti ad essere tali efficienti macchine per uccidere. Ciascuno di coloro che hanno deliberatamente e volontariamente sostenuto il progetto paramilitare – comandanti militari anziani e funzionari governativi, capi politici regionali, membri della finanza, altri enti governativi e internazionali – stanno probabilmente dormendo bene sapendo che le probabilità che i loro crimini vengano alla luce come risultato di questo processo sono praticamente inesistenti.
Cosa ancora più importante per loro, e per i leader paramilitari che presto potranno riprendere le loro vite libere da qualunque complicazione legale, sarà la consolazione di sapere che la ricchezza e il potere politico, e in alcuni casi la forza militare, che essi hanno accumulato durante decenni, a spese di migliaia di colombiani che sono stati assassinati e di milioni che sono stati sfollati dalle loro terre, rimarranno virtualmente intatti, grazie al governo che non è preparato ad affrontare le basi strutturali del progetto paramilitare che ha di fronte.
Non confrontandosi con l’infrastruttura politica, militare e economica paramilitare sia a livello nazionale sia a livello internazionale, il governo ha garantito che essa rimanesse intatta.
Il paramilitarismo in Colombia non sarà sradicato sino a quando le sue radici, che continuano ancora a essere protette e alimentate sia dentro sia fuori del paese, non saranno distrutte.
Una delle radici fondamentali del problema è la dibattuta questione del controllo della terra e delle risorse naturali. Molta della ricchezza accumulata dai paramilitari e dai politici e uomini d’affari che li sostengono proviene dal furto, spesso accompagnato da violenza o minacce, di milioni di ettari di terra appartenente a centinaia di migliaia di agricoltori, indigeni e comunità “afro discendenti” dappertutto nel paese. Finora circa 50.000 persone hanno richiesto formalmente risarcimento nel contesto di procedure coinvolgenti leader paramilitari. Un quinto di tali richieste è correlato al furto di terra.
Come parte dell’accordo con il governo colombiano, i paramilitari promisero di consegnare tutti i loro guadagni illeciti e di restituirli ai loro legittimi proprietari o alle loro famiglie. Tuttavia, a parte alcune proprietà di poco valore, essi finora non hanno restituito nessuna significativa estensione di terra e Amnesty International dubita seriamente che lo faranno mai. Perché dovrebbero? Molta della terra che hanno rubato è stata ceduta a terzi – i cosiddetti testaferros * - spesso parenti o amici, allo scopo di occultarne la proprietà. Ma piuttosto che assumere una inflessibile posizione verso tale inganno, il governo colombiano ha ripetutamente mostrato che manca di volontà politica nel far pesare al massimo la legge nei confronti di tali persone. Se ciò non bastasse, il governo ha introdotto normative che rendono più difficoltoso per gli sfollati il reclamare la loro terra poiché ha reso più facile, per quelli che hanno rubato la terra, legalizzarne la proprietà. Di tutte le vittime di questo lungo e brutale conflitto, gli sfollati sono quelli che hanno la più bassa probabilità di ottenere giustizia.
E’ nostra preoccupazione inoltre che la comunità internazionale abbia aiutato a promuovere queste politiche omettendo di spingere fortemente perché fosse fissato un corretta cornice legale e finanziando progetti che consentono la legalizzazione di terre rubate.
Molte vittime di questo conflitto e le loro famiglie, al pari di organizzazioni non governative sui diritti umani, hanno scelto di partecipare al processo di giustizia e pace. Amnesty International rispetta e sostiene la loro decisione di farlo così come quella di altre vittime di non partecipare. Noi sinceramente speriamo che una certa verità, e forse anche un poco di giustizia, verrà fuori da questo processo e che, come risultato, almeno alcune delle vittime di questo terribile conflitto riesca ad ottenere una qualche forma di riparazione. Ma altri, come Yolanda Izquierdo, che è stata uccisa a Monterai a Gennaio, ha già dovuto pagare il prezzo finale per la ricerca della verità. Salvo che siano intrapresi passi per assicurare la loro sicurezza, molte più vittime alla ricerca della verità e molti dei loro sostenitori, potrebbero finire col pagare con le loro vite. E ci si consenta inoltre di non dimenticare le vittime di abusi commessi dalla guerriglia o direttamente dalle forze di sicurezza per le quali il processo Giustizia e Pace è privo di significato.
Qui la vera tragedia è l’aver perduto l’opportunità di fermare, una volta per tutte, il funesto fenomeno del paramilitarismo, piuttosto che tentare di ripararne gli effetti marginali. Non smantellando la sua base strutturale e di potere, il governo garantito che la macchina paramilitare rimarrà virtualmente intatta.
Per quanto non sarà facile trovare una soluzione a questo conflitto, un piano per riuscirvi è esistito per quasi dieci anni. Le reiterate raccomandazioni proposte dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, molte delle quali costantemente ignorate dai governi colombiani che si sono succeduti, descrivono in dettaglio i passi che il governo e i gruppi di guerriglia del paese, i quali hanno pure disatteso tutte le raccomandazioni loro rivolte, dovrebbero intraprendere per risolvere la crisi dei diritti umani. Dato che, per la prima volta, il governo ha entusiasticamente accolto il rapporto più recente sulla Colombia dell’Alto Commissario, non confidiamo nel fatto che ciò lo incoraggi a compiere seri sforzi per adempiere, una volta pere tutte, alle raccomandazioni reiterate dalle Nazioni Unite e dal sistema inter-amercano dei diritti umani.
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La comunità internazionale, specialmente l’Unione Europea e gli Stati Uniti, hanno avuto, e continuano ad avere, un ruolo cruciale nel tentare di aiutare a risolvere le crisi dei diritti umani. Nella misura in cui gli Stati Uniti sono coinvolti, Amnesty Internatiional ha incessantemente sottolineato che semplicemente non esistono le condizioni necessarie per garantire che gli aiuti militari statunitensi non diano un contributo nella direzione delle violazioni dei diritti umani. In questo senso, è chiaro che il processo di certificazione dei diritti umani del Dipartimento di Stato – che, peraltro, copre solamente una piccola percentuale degli aiuti militari statunitensi alla Colombia – si è mostrato totalmente inadeguato. Noi speriamo che il nuovo Congresso USA prenderà una posizione contro la politica dell’amministrazione Bush, che eserciti vigorosamente i suoi poteri di inchiesta e che chieda una profonda revisione delle relazioni tra i due paesi.
Su varie questioni di diritti umani, l’atteggiamento dell’Unione Europea spesso è stato fermo e costruttivo ed è stato particolarmente ammirevole nel caso dei difensori dei diritti umani e dei sindacalisti. La sua posizione sul processo di smobilitazione ha, comunque, oscillato sino a poco tempo fa. La sua iniziale insistenza che non avrebbe sostenuto alcun processo di smobilitazione che non avesse ottemperato pienamente agli standard internazionali riguardanti verità, giustizia e riparazione e nel quale i paramilitari non rispettassero il proprio cessate -il-fuoco, è gradualmente appassita.
L’ammorbidirsi della sua posizione - al punto che ogni criticismo sulla politica del governo colombiano è raro, se non inesistente – è solo servito solamente a indebolire l’influenza politica dell’Unione Europea sul governo colombiano.
La prima Conferenza Internazionale sui Diritti Umani in Colombia di 12 anni fa – e la campagna internazionale che scaturì da essa – segnò l’inizio dell’impegno dell’Unione Europea sulla Colombia.
Questa, la seconda Conferenza Internazionale, è una opportunità per l’Unione Europea, così come per gli Stati Uniti e altri paesi, di riesaminare la loro attuale politica allo scopo di garantire che ogni cooperazione politica ed economica da loro fornita serva a rafforzare la legalità e aiuti a chiudere, piuttosto che a prolungare, le crisi dei diritti umani.
Grazie per la vostra attenzione.
Susan Lee
Direttore del Programma Regionale sulle Americhe
Aprile 2007
* prestanome (N.d.T.)
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ultimo aggiornamento 05 Dic. 2010