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L’arpa ome è già stato accennato (storia
– primo periodo) l’arpa è all’origine di una evidente contraddizione
riguardante la musica irlandese. Emblema nazionale del Paese almeno a partire
dal XIII secolo, essa rimane tuttavia uno strumento raro in Irlanda malgrado un
recente risveglio, frutto verosimilmente del lavoro di Jorj Cochevelou e
dell’opera di mediazione di suo figlio Alan, più conosciuto con il nome di
Alan Stivell, che ne ha iniziato lo studio alla fine degli anni ’50 con Denise
Mégevand. Le ragioni della relativamente scarsa presenza dell’arpa in Irlanda sono molteplici: strumento solistico per eccellenza, quando è utilizzata per l’accompagnamento, l’arpa scivola facilmente verso la mediocrità; inoltre, sebbene sia uno strumento difficile da trasportare, gli arpisti difficilmente acconsentiranno (a differenza dei pianisti) a suonare su un’arpa diversa dalla propria; aggiungiamo la grande difficoltà a mantenere lo strumento accordato e si potrà comprendere con quali e quanti problemi devono confrontarsi gli arpisti. Vi è tuttavia un’ultima ragione, più antica, che determina in maniera fondamentale la connotazione stessa dell’arpa: sin dall’antichità le sue caratteristiche di nobiltà ne hanno allontanato gli strati sociali più popolari, e questa caratteristica si è da allora stabilita in modo definitivo. L’arpa resta quindi ancora oggi uno strumento “non-popolare”, il che spiega chiaramente la sua infrequenza, per non dire quasi totale assenza, nei pubs. Come si è già detto, l’arpa antica cui fanno riferimento alcuni manoscritti era molto differente da quella che oggi è conosciuta come “arpa irlandese” o “arpa celtica”. Joan Rimmer ritiene così che gli strumenti a corda fecero la loro comparsa nell’Irlanda pre-cristiana alcuni secoli prima dell'arrivo dell’arpa nel resto dell’Europa del nord: “Alcune
lyre sembrano provenire dalle popolazioni barbare dell’Asia. Si può supporre,
pure in assenza di tracce precise al riguardo, che la dispersione di alcuni
gruppi avvenne dal Mar Nero verso l’Atlantico, e ad essi possiamo
avvicinare le popolazioni proto-celtiche, poi i Celti veri e propri, ed infine
gli immigranti celti in Irlanda, per cui la lingua, le strutture sociali e anche
le caratteristiche musicali, inizialmente uniche, perdureranno per molto tempo
dopo la scomparsa delle antiche lyre a beneficio delle arpe”. La questione iniziale che si pone ad un primo esame delle varie sorgenti storiografico/musicologiche riguarda la terminologia. La prima ricorrenza del termine “arpa” (da un precedente “harpa” che designava l’insieme degli strumenti a corda) si ha verso l’anno 600 in un poema del vescovo di Poitiers, Venance Fortunat, che elogiava il duca francese Lupus: Romanusque lyra, Plaudat tibi
barbarus harpa, Graecus
Achilliaca, Crotta Britanna
canat. I Romani ti
lodano con la lyra, i barbari con
l’arpa, i Greci con la
lyra achillea, i Bretoni con la crotta. I manoscritti medievali in latino utilizzavano per lo più
il fuorviante termine di “Cithara” per indicare sia le lyre che le
arpe, il che sarà causa di confusione tra i due termini nella lingua inglese,
in alcuni casi fino agli inizi del XVI secolo. In gaelico il termine cruit viene
utilizzato nei manoscritti più antichi per indicare uno strumento a corde, il
cui significato si è evoluto nel corso dei secoli fino ad indicare,
nell’Irlandese moderno, una piccola arpa bardica. Si ritiene che una radice
indo-europea *ker, avente per significato “ricurvo”, sia
all’origine del termine cruit, e che uno dei suoi derivati, *kereb,
sia all’origine del termine “arpa”. Le caratteristiche tipiche dell’arpa irlandese medievale sono cinque: 1. una costruzione robusta 2. una cassa di risonanza costituita da un solo pezzo, ricavato da un tronco di salice incavato 3. una colonna a forma di “T” molto solida 4. una base che permetteva di poggiarla a terra 5. da 30 a 36 corde in metallo (probabilmente in rame, o in lega di rame), rivolte verso la cassa di risonanza in basso, e fissate per l’accordatura in alto a piroli infissi sul lato sinistro di una base rinforzata da placche di metallo. Essa in genere era poggiata sulla spalla sinistra e veniva
suonata con unghia lunghe, le corde basse con la mano destra e quelle acute con
la sinistra. La presenza di una forma evoluta di arpa nell’Irlanda del IX secolo ci è confermata sia da alcuni esemplari ritrovati durante lavori di scavo, sia da un'iconografia relativamente ricca, ma tuttavia poco affidabile da un punto di vista tecnico. L’arpa compare innanzitutto nei manoscritti per lo più nelle mani di Davide, probabilmente perché gli intervalli delle note suonate sullo strumento rappresentano (proprio come Davide) l’armonia e l’ordine. Fra gli esempi più belli, l’arpa disegnata da un monaco del monastero di St. Gall in un manoscritto della fine del IX secolo che porta il suo nome (il salterio di Folchard) è di forma triangolare, e quindi senza colonna. Quest'ultima fece la sua comparsa solo dopo il IX secolo e al riguardo, come in molti altri casi,si può ragionevolmente affermare che i monaci non seguivano molto l’evoluzione degli strumenti, continuando a disegnare vecchie forme quando ne erano già comparse di nuove. Una splendida rappresentazione di Davide che suona l’arpa ispirato da un uccello figura anche su una tavola del reliquiario di S. Mogue (o Breac Maedhòc, a Drumlan, nella Contea di Cavan) risalente al IX secolo, sebbene la stessa tavola non sia stata apposta che nel XI secolo. Un certo numero di arpe si troveranno anche scolpite sulle croci di pietra di alcuni monasteri, ma la loro datazione rimane incerta, potendosi immaginare quale epoca di produzione di queste croci un periodo cha va dall’VIII all XII secolo. In tutte queste sculture le arpe appaiono suonate, ma nessuna di esse può essere considerata come un’arpa nell’accezione odierna del termine, non essendo il terzo lato fermato: gli esempi più importanti di questo tipo sono le croci di Killamery, di Carndonagh, di Durrow, la croce di Muiredeach a Monasterboice, la croce delle Scritture a Clonmacnoise e le croci di Kells. Alcuni esemplari risalenti al IX o al X secolo possono notarsi anche sulle croci di Ullard e di Castledermot, i cui vaghi contorni ci consentono tuttavia di distinguere una forma di arpa quadrangolare relativamente rara. Sempre in termini di curiosità, una scena scolpita sulla croce ovest di Kells, che rappresenta un arpista che partecipa al miracolo dei pani e dei pesci, consente a Joan Rimmer di parlare di ubiquità dell’arpa: “Si suppone in genere che si tratti
di Davide, sebbene se ne ammetta la scarsa somiglianza del viso. Sembrerebbe
invece molto più probabile che in origine non si trattasse di Davide, ma bensì
di un suonatore di lyra, senza il quale non poteva tenersi alcuna festa, come
riconosciuto da Alceo e da Achille, o anche da tutti i re irlandesi dei tempi
antichi.” Si può quindi notare, a fianco dell’immagine nobile e
magica dello strumento già menzionata, un carattere festivo ed un’importanza
primitiva nella vita quotidiana dei capi dei clan medievali. A partire dal XII secolo le citazioni riguardanti la musica in Irlanda diventano più precise, e i toni sono per lo più di elogio. La citazione più importante (e la più citata) è quella del monaco gallese Giraldus Cambrensis o Giraud de Cambrie che, estremamente critico nei riguardi di qualsiasi cosa avesse a che fare con l’Irlanda, scrive tuttavia: “Non trovo in queste genti un
entusiasmo paragonabile a quello che provano per
gli strumenti musicali, che essi suonano in maniera incomparabilmente
migliore di tutte le altre popolazioni di mia conoscenza. Il loro stile non è,
come nel caso degli strumenti britannici cui siamo abituati, misurato e solenne,
ma vivo e allegro; il suono non è meno dolce e piacevole. E’ ammirevole il
fatto che, malgrado un tocco così attento, il ritmo risulti conservato e che,
grazie ad una disciplina rigorosa, la melodia sia interamente preservata, sia
nell’abbellimento dei ritmi che nella straordinaria complessità delle
polifonie; con una straordinaria rapidità di esecuzione, si può parlare di
“eguaglianza diseguale” o di “armonia disarmonica”. Sia che le corde
producano una quarta o una quinta, ( il musicista) comincia sempre con un Si
bemolle e termina alla stessa maniera, in modo tale che il tutto si concluda in
un'atmosfera generalmente piacevole. Essi introducono e abbandonano i
motivi ritmici in maniera così sottile, suonano i toni acuti sulle corde più
piccole con il sottofondo dei suoni bassi eseguiti dalle corde più gravi in
modo così naturale, ricevono quasi un piacere personale e accarezzano (le
corde) con tale sensualità che si direbbe che l’essenza stessa della loro
arte consista nel nasconderla, considerendo forse essi che “Ciò che è
nascosto è bello – l’arte rivelata si svilisce.” Così, ciò che causa
un’estasi intima e ineffabile alle persone capaci di un apprezzamento sottile
e di un fine discernimento, non affascina ma anzi infastidisce colui che guarda
ma non vede, colui che ascolta ma non capisce: ad un auditorio poco disponibile
la delicatezza sembra noiosa, e non produce che sonorità confuse e disordinate. E’ per inciso da notare
che la Scozia ed il Galles, quest’ultimo per volontà di espansione, la prima
per affinità e contatti, dipendevano entrambi dall’Irlanda sia per quanto
riguardava l’imitazione che la rivalità musicale. L'Irlanda non apprezzava
che due strumenti di cui faveva uso, la cithara
ed il tympanum. In Scozia se ne
utilizzavano tre, la cithara, il tympanum
ed il chorus. Nel Galles si
utilizzava la cithara, le tibiae
ed il chorus. Anche questi
strumenti erano con corde di rame, e non di cuoio. E’ oggi ammesso da molti
che la Scozia eguagli l’Irlanda, e che anzi la preceda e la superi per quanto
riguarda il talento musicale. Molti sono quindi coloro che si rivolgono verso la
Scozia, sperando di trovarvi l’origine di quest’arte. La parola cithara qui usata è il termine latino
utilizzato per in dicare l’arpa; quanto al tympanum gli esperti non
sono concordi: alcuni propendono per uno strumento a corde, altri per uno
strumento a percussione, altri ancora per una combinazione corde/percussioni. Si troveranno al riguardo, tra le altre, anche la citazione del poeta inglese Edmund Spenser (1552-1599), quella di John Good (1566), quella di Thomas Smith o quella tratta dalle Clanrickard Memoirs (1722) sull’accompagnamento musicale delle recite dei poemi di corte (dette recaire). Citiamo ancora alcuni versi del poeta e storico Geoffrey Keating (1560-1635), così come anche un'opinione meno entusiasta sulla musica degli arpisti, quella espressa da Richard Stanyhurst nel De Rebus in Hibernia Gestis, pubblicato ad Anversa nel 1584. Degne di particolare attenzione sono le considerazioni di Vincenzo Galilei (1520-1591), padre del famoso scienziato Galileo ma anche liutista e compositore. In un saggio rimasto celebre, Dialogo della Musica Antica e della Musica Moderna (1581) egli propose una sintesi tra musica e poesia che preluse alla creazione della prima opera, nella Firenze del 1600. E’ in queste stesse pagine che si trova questa lunga dissertazione sull’introduzione dell’arpa in Italia: “Fra gli strumenti suonati oggi in
Italia si trova innanzitutto l’arpa, che in realtà non è che l’antica
Cithara dotata di molte corde. La forma è in realtà differente, ma solo in
virtù della diversa manifattura tipica di quest’epoca, e del diverso numero
di corde, oltre che della loro dimensione. Dalla nota più bassa a quella più
acuta si possono contare più di tre ottave. Questo strumento tra i più antichi
ci perviene (come ha fatto notare Dante) dall’Irlanda, dove la sua
fabbricazione è diffusa e di alto livello. Gli abitanti di quest’isola la
suonano spesso e da molto tempo, essa è inoltre lo stemma del reame, presente e
scolpita sugli edifici pubblici e sulle monete. Si potrebbe pensare che essa
provenga dal profeta re Davide. Le arpe utilizzate dagli irlandesi sono
leggermente più grandi delle altre. Esse sono con corde in rame, anche se
alcune corde, le più alte, sono in acciaio, come nel caso del clavicembalo. I
musicisti le suonano con unghie relativamente lunghe che essi tagliano con molta
cura, come le punte dello stiletto che percuotono le corde della spinetta. Se ne
possono contare (corde) 54, 56 o anche 60. Invece presso gli Ebrei la Cithara, o
Salterio del Profeta, possiede 10 corde. Da qualche mese, grazie ai buoni offici
di un gentiluomo irlandese particolarmente gentile, ho avuto modo di esaminare
con attenzione l’accordatura di una di queste arpe. A mio parere si tratta
dello stesso modello che fu introdotto in Italia alcuni anni or sono con un
numero doppio di corde, sebbene alcuni (contro ogni evidenza) affermino di
esserne loro gli inventori, e cerchino di convincere le persone mal informate
che essi solo sono in grado di suonarla e di accordarla.” Sembra oggi acquisito che le arpe, poco frequenti in Italia
e nel sud dell’Europa nel XII e nel XIII secolo, come testimoniato dalle
parole di Galilei, vi arrivarono grazie ai navigatori fenici dopo essere
transitati per il bacino del Mediterraneo e in seguito attraverso l’Europa del
Nord, e quindi l’Irlanda. Termineremo questo esame delle diverse sorgenti
bibliografiche ed iconografiche sull’arpa in Irlanda trattando delle
principali illustrazioni di cui abbiamo conoscenza. L’opera di John Derrick Images
of Ireland fu pubblicata nel 1581, ma la sua ideazione risale, come attesta
il titolo completo, al 1578. Tra le scarse rappresentazioni a carattere musicale
ivi presenti si può notare quella di un arpista che accompagna un recitante
durante un banchetto; questa immagine non è di grande importanza su un piano
tecnico, e riesce solo a dimostrare che Derrick conosceva poco lo strumento:
l’arpa in questione è infatti priva di cassa di risonanza, e le corde sono
fissate direttamente alla colonna! Le illustrazioni dell’educatore luterano
Michael Praetorius nel suo Syntagma Musicum (1619), sebbene imprecise ed
errate su alcuni punti, sono maggiormente dettagliate. Esse ad esempio ci
offrono uno schizzo di una “Arpa Irlandese” accompagnato da alcune righe di
descrizione dei modi utilizzati. Un
ultimo punto storico è ancora da chiarire: Joan Rimmer ritiene che il termine clàirseach,
che indica oggi le arpe celtiche più grandi, fu utilizzato in Scozia nel XV
secolo, cioè prima che nell'Irlanda degli inizi del XVI secolo. Breandàn
Breathnach invece sostiene da parte sua, senza citare la fonte di tale
affermazione, che il termine compare in Irlanda in un poema del XIV secolo. Le differenti forme di arpe in uso in Irlanda a partire dal XIII secolo sono oggi classificate in tre categorie cronologiche: 1. tre esempi sopravvivono del primo tipo, risalente al XIV, XV ed inizio del XVI secolo, tra cui la celebre arpa del Trinity College (detta di Brian Boru, e che risale infatti al XIV secolo). L’arpa “della Regina Maria” e l’arpa “Lamont” risalgono entrambe al XV secolo e sono originarie della Scozia, ma sono da annoverare organicamente fra le arpe irlandesi. E’ possibile che alcune arpe di questo tipo siano state in uso durante il XIII secolo, ma allo stato attuale delle conoscenze nessuna prova tangibile può confermare questa ipotesi. Le sue dimensioni (circa 70 cm di altezza) le sono valse l’appellativo di “Piccola Arpa Irlandese a Testa Bassa”. 2. Della seconda categoria si conservano quattro esemplari completi e due frammenti di arpe in uso dalla fine del XVI secolo alla fine del XVII secolo, sebbene nessuna di queste risalga all’inizio di questo periodo: sono le arpe di Otway, di O’Fogerty, di Fitzgerald-Kildare e di Hempson (detta “di Downhill”), oltre ai frammenti di Ballinderry e di Dalway. Questa è la “Grande Arpa Irlandese a Testa Bassa”. Si tratta semplicemente di modelli della prima categoria di dimensioni maggiori e caratterizzati da un maggior numero di corde, per cui le casse di risonanza si fanno più profonde e più strette verso le corde acute. 3. L’ultima categoria, la più recente, comprende le arpe in uso nel XVIII secolo, come quella di Turlough O’Carolan o di Arthur O’Neill: la loro colonna è più rettilinea, il numero di corde è ancora maggiore e la loro altezza supera il metro: sono le “Arpe Irlandesi a Testa Alta”. Quando i dieci ultimi arpisti si riunirono a Belfast, nel
1792, solo uno di loro (Denis Hempson) suonava ancora con le unghie, fedele alla
tecnica in auge da secoli presso i cruitire ed i loro discendenti, gli
arpisti itineranti. Denis Hempson morì nel 1807 all’età di 112 anni.
L’ultimo rappresentante di questo stile, Arthur O’Neill, è anche quello su
cui abbiamo un numero maggiore di informazioni grazie alle sue memorie, che egli
redasse verso il 1809 con l’aiuto di Thomas Hughes, ingaggiato per la
circostanza da Edward Bunting. O’Neill morì in un periodo compreso tra il
1816 ed il 1818. E' probabile che la grande considerazione in cui l’arpa è stata tenuta derivi anche dalla sua particolare sonorità, dovuta al fatto che le sue corde in metallo, come si è detto, venivano suonate mediante le unghie e/o plettri di corno. Nel corso del XVIII secolo l’arpa scomparve progressivamente per conoscere un lungo periodo di eclissi, stranamente parallelo al risveglio di un interesse di tipo patriottico per questa musica. Tre concorsi furono organizzati a Granard nel periodo 1780-1790, concorsi che condussero in seguito alla celebre riunione di Belfast del 1792. George Petrie nota in seguito che: “I tentativi miranti a
perpetuare l’esistenza in Irlanda dell’arpa, che cercavano di trasmettere le
tecniche degli arpisti a poveri bambini ciechi, fu sia un’azione di carità
che un atto patriottico, ma si rivelò un’illusione”. Prendendo ad ispirazione i più recenti modelli di
arpa da concerto a pedale, come quello costruito nel 1811 da Sébastien Erard,
John Egan e suo nipote Francis Hewson diedero un nuovo impulso allo strumento
agli inizi del XIX secolo in due forme differenti, per soddisfare la domanda sia
dei privati che dei club revivalisti. Il primo tipo, di costruzione più leggera
e più fine, non incontrò un grande successo; la sua sonorità, stando a Joan
Rimmer, risultava “particolarmente sgradevole, vicino a quello di un
vecchio pianoforte malandato, con una durata del suono esageratamente lunga,
quasi assordante.” Il secondo tipo, costruito a partire dal 1819, è
un’arpa “portatile” di 92 cm di altezza. Caratteristiche sono le corde in
budello ed un meccanismo che consente il cromatismo azionato a mano
separatamente su ciascuna nota, contrariamente all’arpa a pedale, in cui ciascuna
nota risulterà alterata su tutte le ottave. E’ proprio questo lo strumento
oggi conosciuto in tutto il mondo come “Arpa Celtica”. Tornando ai musicisti artefici del successo dell’arpa, non si mancherà di rimarcare un cambiamento molto particolare: fra i dieci arpisti presenti al grande raduno di Belfast del 1792, vi erano nove maschi ed una sola femmina, Rose Mooney, che conquistò il terzo posto. Ciò a ulteriore conferma sia del carattere maschile tipico dei mestieri ambulanti, sia della lontana ma persistente influenza della funzione religiosa nella tripartizione di base di cui si è già parlato (La storia-Primo periodo). Ecco un esemplare brano tratto dalle Clanrickard Memoirs, pubblicate nel 1722 ma che narrano una storia molto più antica: “La recita e la declamazione
del poema, in presenza della persona cui il poema era dedicato, furono condotte
con gran solennità in un’unione di musica vocale e strumentale. Lo stesso
poeta non prese la parola, ma dirigeva, sorvegliando che ogni cosa procedesse
come convenuto. I Bardi, cui innanzitutto egli aveva affidato la sua
composizione, l’avevano memorizzata perfettamente e la recitavano ora con
metodo, seguendo inoltre il ritmo di un’arpa; nessun altro strumento è
consentito in queste circostanze se non l’arpa, strumento maschile, dal suono
più dolce e più maestosa degli altri”. Lo strumento si è quindi “femminilizzato”
solo a partire dal XIX secolo, il che indica l’influenza di una visione
aristocratica e classica, in cui la musica era per lo più riservata allo svago
delle signore e delle giovanette di buona famiglia. Questa trasformazione
influenzerà anche in seguito l’arpa celtica, che diventa strumento
tipicamente femminile all’epoca del rinnovato interesse nei suoi confronti,
ovvero alla fine del XIX secolo; tale caratteristica si confermerà anche
nell’epoca del suo rinascimento, la metà del XX secolo. Tali considerazioni
sul "sesso" dell'arpa celtica probabilmente sorprenderanno gli habitué
dell’immagine stereotipata della bella arpista in abito lungo, che si può
incontrare molto facilmente in Irlanda in qualche banchetto pseudo-medievale per
turisti, come ad esempio a Bunratty. Il periodo contemporaneo naturalmente riflette
questo stato di cose, con la nota eccezione dei Chieftains, che hanno aggiunto
alla loro formazione un arpista classico di Belfast, Derek Bell, a partire dal
1972. Aggiungeremo anche Paul Dooley ed il giovane Eoghan O’Brien del gruppo Déanta,
entrambi originari dell’Irlanda del Nord. Le donne, con Màire Brennan, Gràinne
Yeats, Janet Harbison, Màire Nì Chathasaigh, Kathleen Loughnane o Emer Kenny,
restano tuttavia di gran lunga le più numerose. In Scozia Alison Kinnaird, Mary MacMaster e Patsy Seddon (che formano il duo Sileas) figurano tra le figure di spicco dell’arpa celtica, così come in Bretagna Alan Stivell, i fratelli Quefféléant, Marianig Larc’hantec, Job Fulup, Dominig Bouchaud, Kristen Noguès e Myrdhin; nelle Fiandre ricordiamo Katrien Delavier, Loreena McKennitt in Canada, Robin Williamson e Deborah Henson-Conant negli Stati Uniti. L’arpa celtica è stata utilizzata anche nel repertorio barocco, ed ha inoltre affascinato alcuni compositori di musica classica contemporanea. All’interno del repertorio tipicamente irlandese l’arpa è oggi utilizzata in tutte le musiche da ballo (jigs, reels, hornpipes), il che a sua volta costituisce uno stravolgimento dello spirito stesso della musica per arpa. Lasceremo quindi la parola a Mìcheàl O’ Sùilleabhàin, che riassume così le molteplici evoluzioni dell’arpa irlandese nel corso dei secoli: “L’evoluzione dell’arpa indica un processo
significativo: da un’occupazione itinerante a una sedentaria, da un ambiente
rurale ad uno urbanizzato, dagli ignoranti ai colti, dalle corde di metallo a
quelle in budello, dall’uso delle unghie all’uso dei polpastrelli,
dall’uso della mano sinistra per gli acuti a quello della mano destra, dalla
spalla destra alla spalla sinistra.” Una delle principali tendenze, avversata dai musicologi, è la sua utilizzazione quale strumento di accompagnamento, alla stregua della chitarra, e non più in qualità di strumento solistico, posizione in cui dovrebbe trovarsi in virtù del suo rango aristocratico. Avendo ormai ampiamente oltrepassato i confini strettamente irlandesi, l’arpa celtica deve in gran parte, come già detto, il suo successo mondiale al lavoro di ricostruzione effettuato da Jorj Cochevelou negli anni ’50, ma anche all’interesse mostrato nei suoi confronti da alcuni musicisti classici. Oggi l’arpa celtica è fabbricata in tutto il mondo: Smith & Morley a Londra, Leroux e Camac in Bretagna, Martin a Parigi e addirittura Jujiya a Tokio. In Irlanda invece non è che il simbolo di un’epoca ormai passata, considerata quasi l’Età dell’Oro, sebbene ogni anno si svolgano alcuni festivals ad essa consacrati, come quello di Nobber, nella Contea di Meath, in onore di Turlough O’Carolan.
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