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Il XX secolo: gli altri strumenti Termineremo questo giro d’orizzonte degli strumenti utilizzati oggi in Irlanda con lo studio di alcuni strumenti in genere meno associati in modo diretto alla musica tradizionale irlandese.
Il
pianoforte (ed il clavicembalo)
partire dall’inizio del XX secolo si è fatto comunemente uso del piano nella
musica tradizionale irlandese, per lo più con funzioni di accompagnamento
ritmico. Se da una parte è vero che il piano fu particolarmente usato dalle Céilì
Bands sin dal 1920, sembra che in origine fossero i suonatori di fiddle
a cercare di avere un accompagnamento pianistico nelle prime registrazioni
effettuate negli Stati Uniti, sebbene ciò in molti casi fosse considerato di
secondaria importanza. Di ciò si troveranno tracce sui 78 giri degli anni ’20
di Michael Coleman, James Morrison e Paddy Killoran. Lo stile di accompagnamento
era in genere poco originale, e basato principalmente su una sorta di “pumping
style”. I critici, a distanza di alcuni decenni, sono oggi molto virulenti
nei confronti del piano, in sintonia con Seàn O’Riada che riteneva, agli
inizi degli anni ’60, che l’uso del piano fosse: “…uno
sfregio, una piaga sul volto della musica irlandese, che rivela l’ignoranza di
coloro che l’hanno permesso e che l’hanno incoraggiato. E’ facile capirne
il perché:è evidente che in questo Paese soffriamo di un complesso
d’inferiorità a livello nazionale. Per sbarazzarcene abbiamo elaborato un
certo numero di processi mentali che tendono a far credere agli altri che noi
siamo migliori di quel che siamo in realtà – ma non facciamo altro che
ingannare noi stessi. Il pianoforte è uno di questi “trucchi”. E’
divenuto un simbolo di rispettabilità. La casa ove ne è presente uno diventa
“rispettabile”, anche se non c’è nessuno che lo suoni.” La violenza del resto del paragrafo è allo stesso livello del passaggio sopra citato. E’ quindi evidente che
l’interesse primitivo nei confronti del piano non è di tipo prettamente
musicale, ma bensì di tipo sociale: strumento tipicamente borghese, il piano
conferisce di per sé una certa rispettabilità alla musica e sopperisce a quel
famoso complesso d’inferiorità di cui, a detta di tutti i sociologhi,
soffrono gli irlandesi. Ad immagine dell’arpa il piano, strumento da salotto
pesante e difficilmente trasportabile, ha acquisito quel carattere aristocratico
che era venuto a mancare alla musica tradizionale irlandese in seguito alla
definitiva scomparsa degli arpisti di corte: iniziando a farne uso, i musicisti
degli inizi del XX secolo cercavano, sia pur inconsciamente, di rimpiazzare
l’arpa e ritrovare l’antico splendore, all’epoca offuscato, di una musica
plurisecolare, nelle sue origini in buona parte di natura aristocratica. Da qualche anno ha fatto la sua
comparsa un nuovo stile esecutivo, che ha accentuato caratteristiche quali
leggerezza e semplicità di accompagnamento: Charlie Lennon è al riguardo uno
dei primi esempi, sebbene egli sia in origine un eccellente fiddler, (e
ciò non è estraneo ad un rinnovamento stilistico che si mostra, in fondo,
rispettoso dello stile di esecuzione dello strumentista). Inoltre alcuni
musicisti particolarmente validi utilizzano il piano anche come strumento
solista: il più celebre fra questi è uno dei successori di Seàn O’Riada
all’Università di Cork, Mìcheàl O’ Sùilleabhàin, oggi responsabile del
Dipartimento di musica dell’Università di Limerick. Seàn O’Riada non si limitò a
deplorare l’uso del pianoforte: egli inoltre propose e preconizzò l’uso del
clavicembalo all’interno del suo gruppo, Ceoltòirì Chualann,
sostenendo che la sua sonorità metallica richiamava quella dell’arpa bardica.
A dire il vero questa innovazione non ha incontrato un grande successo, ma
O’Riada detestava tanto l’arpa con corde in budello da preferire l’uso del
clavicembalo (che sapeva suonare) in assenza dell’arpa con corde metalliche.
Questa sua decisione fu una delle più controverse, anche perché altrove egli
aveva sostenuto che non si doveva cercare di imitare il suono dell’arpa con
corde in metallo mediante l’uso del clavicembalo: “Egli utilizzava il clavicembalo in gran parte alla stregua di un pianoforte, con uso di accordi e frequente ricorso alle modulazioni (…) Il duplice aspetto dello strumento si addice perfettamente alla musica tradizionale, ma la sonorità è nuova, è un nuovo strumento tradizionale a sé stante, che non può essere realmente considerato una alternativa all’arpa.” Il ruolo di clavicembalista all’interno del suo gruppo sperimentale Ceoltòirì Chualann spettò proprio a Seàn O’Riada negli anni ’60, ed il disco “O’Riada’s Farewell” interamente suonato al clavicembalo e pubblicato poco dopo la sua morte, è la dimostrazione di uno stile musicale che avrebbe meritato di essere sviluppato. Bisognerà invece constatare che esso non è stato preso in considerazione, con l’eccezione di Triona Nì Dhomhnaill (ex Skara Brae, Bothy Band e Relativity), che però usa più esattamente un “cugino” del clavicembalo, la spinetta, oltre ad alcune tastiere elettroniche e sintetizzatori capaci di simulare questo tipo di suono “metallico”. Anche Mìcheàl O’ Sùilleabhàin ha fatto alcune ricerche in questa direzione, ma in fondo egli utilizza il clavicembalo in modo sporadico. a
chitarra folk (ovvero con corde in metallo) ha fatto il suo ingresso in forze
nel mondo della musica tradizionale a partire dagli anni ’60, indubbiamente
grazie all’influenza di musicisti come Bob Dylan, ma anche di Woody Guthrie,
Hughie Leadbelly ed altri musicisti itineranti statunitensi. Più grande della
chitarra classica, se ne distingue anche per le corde in acciaio ed un manico
meno largo. Vi sono molti tipi di chitarre folk, di cui ovviamente tralasceremo
i dettagli. Ci interesseremo piuttosto dei vari modi di utilizzo della chitarra
folk. A seguito del suo uso nella musica jazz, essa fu vista innanzitutto come
strumento ritmico: è risaputo che l’influenza (in tal senso, ma non solo…)
di Django Reinhardt e del suo Hot Club de France (1934-1939) e di Charlie
Christian all’interno dell’orchestra di Benny Goodman (1939-1940)
risultarono fondamentali, anche se la discografia in tema di chitarra ritmica è
piuttosto scarsa. Pochi sanno invece che il primo esempio conosciuto
dell’utilizzo della chitarra nella musica tradizionale irlandese figura nelle
registrazioni di Michael Coleman risalenti al novembre del 1934, ad opera di un
certo Michael “Whitey” Andrews. Questa scelta, effettuata dallo stesso
Coleman, non ebbe un seguito nella musica tradizionale irlandese, a vantaggio
invece, come si è già visto, del pianoforte. Seguendo l’esempio degli altri
strumenti, la chitarra ha di recente trovato un nuovo modo espressivo nella
musica irlandese in qualità di strumento solistico, grazie ad eccellenti
musicisti come Paul Brady e Arty McGlynn in Irlanda, Dan Ar Braz in Bretagna,
Duck Baker e David Evans negli Stati Uniti; essa rimane totalmente assente nelle
competizioni solistiche del Comhaltas Ceoltòirì Eireann, essenzialmente
a causa di una sorta di “divieto” che l’ha tenuta lontana dai circoli
“ufficiali” della musica tradizionale in Irlanda; essa invece sarà sempre
presente nelle serate tra amici e nelle altre sessions informali. Talvolta accordata come la chitarra
classica (mi-la-re-sol-si-mi), sempre più spesso si trova invece
accordata secondo un’accordatura “ereditata” dai chitarristi folk-rock
degli anni ’70: re-la-re-sol-la-re, anche detta DADGAD dai nomi
delle note in inglese. Il vantaggio di questa accordatura è essenzialmente
quello di fornire un bordone, il che si addice particolarmente alla musica
irlandese, così come del resto ad altre musiche tradizionali. Infine, se la chitarra classica (con corde in nylon) non ha trovato spazio nella musica tradizionale irlandese, è tuttavia da ricordare al riguardo l’australiano di origini irlandesi Steve Cooney, che ne fa un sensazionale uso ritmico nell’accompagnamento del fisarmonicista Phil Begley, nel loro villaggio di Dingle. l
banjo è uno strumento di origine africana, che fece la sua comparsa nel Nuovo
Mondo nel XVII secolo con il nome banza, che divenne in seguito banjar
(o banjer), e vi divenne popolare a partire dal 1840. Tale popolarità
non cessò di crescere, e divenne considerevole verso il 1890, data in cui è
risaputo che i musicisti irlandesi negli Stati Uniti erano abbastanza numerosi.
Successivamente questo banjo a cinque corde (vale a dire il banjo in sol dei
monti Appalachi) fu soppiantato dal tenor banjo a quattro corde, dal
manico più corto, che fece la sua comparsa in Irlanda dopo il 1920,
specialmente nelle Céilì Bands. E’ tutt’ora questo il banjo che
gode del favore dei banjoisti irlandesi. Nello spirito dei musicisti irlandesi
esiste oggi una distinzione formale molto netta tra questi due tipi di banjo: il
tenor banjo gode di maggior reputazione rispetto al banjo a cinque corde,
più utilizzato invece dai musicisti di bluegrass dopo il secondo
conflitto mondiale (sotto l’influsso di Pete Seeger) e considerato
generalmente “più americano”. Il banjo ebbe una crescita d’interesse in
Irlanda in seguito al successo negli Stati Uniti dei Clancy Brothers & Tommy
Makem nel 1961, data a partire dalla quale la vittoria di John F. Kennedy nelle
elezioni presidenziali americane aveva reso qualsiasi elemento di origine
irlandese degno di riguardo: tra gli altri, Ed Sullivan invitò nel suo celebre
show i Clancy Brothers, “nuovo fenomeno musicale irlandese”, e ciò a sua
volta ebbe - per inciso – anche la conseguenza di rilanciare nel mondo la moda
dei pullover “Aran”. L’uso del banjo era, fino ad allora, eminentemente di
tipo ritmico; si dovettero attendere ancora alcuni anni, e musicisti come Barney
MacKenna (dei Dubliners), per poter assistere allo sviluppo di uno stile
solistico e vedere il banjo associato in modo sistematico al brano “The
Mason’s Apron”, grazie al formidabile virtuosismo del barbuto MacKenna
sopra citato. Mick Moloney, oggi residente negli Stati Uniti, e più di recente
Seamus Egan e Gerry Connor, sono oggi i più importanti banjoisti della musica
tradizionale irlandese. Ancora un volta l’importanza degli Stati Uniti è evidente: le prime registrazioni che vedono il banjo associato alla musica irlandese, vedono questo strumento suonato da musicisti jazz. L’abitudine, iniziata negli anni ’60, di suonare all’interno dei pubs, ha inoltre avvantaggiato questo strumento dalla timbrica caratteristica, che riesce a farsi sentire anche all’interno del pub più rumoroso. Per concludere, i musicisti irlandesi hanno ben presto intuito che qualsiasi strumento, quali che siano le sue origini, può essere accordato in funzione del modo in cui debba essere suonato, a prescindere da qualsiasi teoria: così le quattro corde del banjo furono accordate come quelle del violino (sol-re-la-mi), dando così il via ad una procedura che si ripeterà in seguito anche con altri strumenti. l mandolino, piccolo strumento dotato di quattro coppie di corde, è una versione “corta” della mandola, strumento antico ma di recente tornato in auge (vedi dopo). Esso conobbe una forte popolarità in Italia, ove fece la sua comparsa alla fine del XVI secolo con il nome di “mandora”, e dove se ne distinguono due tipi: il mandolino a dorso piatto (detto “milanese”, il più vicino a quello usato in Irlanda) ed il mandolino a dorso arrotondato (“napoletano”). E’ difficile oggi datare l’arrivo del mandolino in Irlanda, ma è chiaro che la sua adozione da parte del Comhaltas Ceoltòirì Eireann per le sue competizioni annuali in occasione del Fleadh Cheoil ha facilitato il suo sviluppo. Il mandolino deve la sua popolarità anche ad un volume sonoro abbastanza potente, anche se inferiore a quello del banjo, ed alla sua accordatura, simile a quella del violino. Spesso presente nelle sessions, è facile constatare che, contrariamente agli altri strumenti “principali”, solo pochi musicisti famosi lo adottano quale strumento principale: nella produzione discografica recente compare solo in pochi casi; Mick Moloney (nativo di Limerick, oggi negli Stati Uniti) ne ha fatto tuttavia uno dei suoi strumenti prediletti, a fianco del banjo. Il
bouzouki (e il cittern, il mandocello...) ’ingresso del bouzouki (e dei suoi cugini: cittern, mandola e mandocello) sembra attualmente uno degli elementi più interessanti degli ultimi venti anni in tema di musica tradizionale irlandese, e testimonia inoltre senza equivoci della capacità di quast’ultima di integrare i “doni” ricevuti, ed in ultima analisi della sua capacità di rinnovamento. Innanzitutto è da precisare che il termine bouzouki indica in Irlanda uno strumento del tutto differente dal suo antenato greco, pervenutovi nel corso degli anni ’60. E’ probabile che l’uso frequente del termine, a designare una serie di strumenti molto diversi, derivi dal fatto che il bouzouki sia “arrivato” in Irlanda prima del cittern e delle altre mandole. Adusi al termine “bouzouki”, i musicisti hanno preso facilmente l’abitudine di chiamare in questo modo qualsiasi strumento a corde doppie che fosse usato per accompagnare la musica irlandese. Tutti i termini usati al riguardo nel presente studio sembrano infatti essere usati in modo più o meno intercambiabile dai musicisti, e manca qualsiasi accenno di precisione, eccezion fatta per i liutai. Il gruppo Sweeney’s Men, che fece
il suo debutto nel 1966 per separarsi definitivamente nel 1969, era composto da
Andy Irvine, Johnny Moynihan e Terry Woods (che aveva rimpiazzato il membro
originario Joe Dolan dopo il 1967); è in questa formazione che fece per la
prima volta la sua comparsa un bouzouki, suonato da Johnny Moynihan.
L’aneddotica al riguardo narra che questo strumento (fornito di tre coppie di
corde) era in realtà il regalo di un suo amico, Tony French, di ritorno dalle
vacanze in Grecia. Sembra anche che Johnny Moynihan acquistò nel 1966 un
modello progettato e costruito nel 1963 dal liutaio londinese John Bailey, che
presentava invece quattro coppie di corde e, per la prima volta, un dorso
piatto. Ma è soprattutto Andy Irvine che, agli occhi di un gran numero di
musicisti irlandesi, garantisce la continuità dell’uso del bouzouki
nella musica irlandese sin da quando rientrò in Irlanda dopo un lungo soggiorno
nella regione dei Balcani, verso la fine degli anni ’60, per fondare i
leggendari Planxty. Membro di questo stesso gruppo, Donal Lunny ben presto iniziò
ad interessarsi a questo strumento, e sviluppò l’idea di un bouzouki
elettrico all’interno del gruppo erede dei Planxty: i Moving Hearts. Vi era
poi uno strumento del tutto simile, denominato “Blarge”, ordinato
dallo stesso Donal Lunny ai liutai dublinesi Andrew Robinson e Anthony
O’Brien: fornito di cinque coppie di corde, si trattava però questa volta di
qualcosa più vicino alla chitarra elettrica solid body inventata da Les
Paul che non ad uno strumento puramente acustico. Per completezza va infine segnalato che Alec Finn usa sin dall’inizio nel gruppo De Dannan (1973) un bouzouki greco a tre coppie di corde, sebbene egli non manchi mai di ricordare (nelle interviste) che lui aveva richiesto un liuto, ma che invece un amico gli aveva portato un bouzouki… E’ facile intuire che un tale stato di cose abbia portato alla creazione di strumenti su misura da parte dei liutai, e che quindi non vi è mai stata una importazione considerevole dalla Grecia di bouzouki di produzione industriale. Tra gli altri motivi di sfiducia, che hanno accresciuto la domanda presso i liutai, sono da segnalare la fragilità dei bouzouki greci e la troppo frequente propensione dei loro manici a torcersi dopo qualche tempo. Ciò spiegherà anche le attuali difficoltà di classificazione e denominazione, dal momento che qualsiasi liutaio può scegliersi il nome che più gli aggrada per descrivere meglio il suo strumento. E’ anzi risaputo che la parola cittern fu rispolverato dal liutaio inglese Stefan Sobell che cercava, negli anni ’70, un termine che indicasse un tipo di bouzouki a dorso piatto da lui costruito. Questo elemento morfologico, lungi da essere solo un dettaglio, è una delle caratteristiche “chiave” per distinguere uno strumento della famiglia del liuto (a dorso arrotondato, come il bouzouki greco, l’arabo oud e il turco saz), dal cittern, a dorso piatto o solo leggermente arrotondato. E’ probabile che questa modifica fu resa necessaria dal modo di presentarsi sulla scena di gruppi come la Bothy Band che, contrariamente ai musicisti tradizionali (sia solisti che membri delle céilì bands) si esibivano in piedi, il che comportava ovviamente un modo diverso di imbracciare gli strumenti. Reso popolare da Andy Irvine e Donal Lunny, il bouzouki è diventato oggi lo strumento di accompagnamento per definizione, potendo esso essere suonato sia ad accordi, che con tecniche di contrappunto, che ancora in modo solistico, grazie specialmente all’amplificazione. Il bouzouki appare quindi oggi uno strumento completo, e che inoltre non ha avuto sin dall’inizio l’immagine sin troppo negativa (nella musica irlandese) della chitarra. Rapidamente i migliori musicisti hanno preso a considerarlo strumento polivalente, ispiratore di nuove sonorità, e che soprattutto non soffre dei peggiori difetti tipici della chitarra: abbastanza potente da poter essere utlizzato in modo solistico in una session, esso può anche ricoprire il ruolo di strumento di accompagnamento ritmico, senza che la sua presenza copra eccessivamente lo strumento solista. La sua adozione è stata facilitata da diversi elementi: da una parte il “cuginetto” mandolino si era già aperto una strada all’interno della musica irlandese. Accordato alla stessa maniera: sol-re-la-mi, oppure sol-re-la-re (sebbene nella musica tradizionale greca sia più spesso accordato in do-fa-la-re, e più di recente in re-sol-si-mi), il bouzouki era di facile adozione da parte di musicisti che sapevano suonare già il tenor banjo o il fiddle. Inoltre i musicisti dotati di mani grosse vi trovavano uno strumento più “a loro misura” rispetto al piccolo mandolino. Vi è anche da considerare che numerosi chitarristi degli anni ’60 scoprirono nel bouzouki uno strumento d’accompagnamento la cui sonorità risultava meno invadente di quella della chitarra, sia in un contesto di palcoscenico che di registrazione, monopolizzando esso in misura minore lo spazio sonoro. Inoltre essi scoprivano nel bouzouki uno strumento privo di una qualsiasi “tradizione” prestabilita, il che consentiva a chiunque di appropriarsi di una musica senza passare per l’apprendistato lungo e fastidioso di strumenti tredizionali quali il fiddle, le uilleann pipes o l’arpa. Alcuni, beninteso, considerano questa soluzione di comodo una delle cause dell’attuale decadimento della musica tradizionale irlandese, ma si potrebbe ugualmente rispondere che dopo tutto le soluzioni di comodo costituiscono uno dei principali motori del progresso, dall’auto al frigorifero al computer. Il generale entusiasmo degli anni ’70 in tema di musica tradizionale irlandese è riuscito a fare molto per l’accettazione del bouzouki da parte degli spiriti più pessimisti. L’adozione di questo strumento non ha infatti comportato uno stile di esecuzione “greco”, ed al contrario uno stile “irlandese” si è sviluppato molto rapidamente, al punto che in alcuni casi il termine “bouzouki irlandese” fa riferimento più alla tecnica di suono che allo strumento vero e proprio: al riguardo va anche aggiunto che oggi esistono cassette e libri aventi per titolo “The Irish Bouzouki”. Segnaliamo infine che il bouzouki non è transitato per il resto d’Europa prima di arrivare in Irlanda: questa introduzione è un classico esempio positivo degli scambi culturali diretti tra diversi Paesi e regioni del mondo. E’ anche facile constatare, a seguito di questi scambi musicali, una netta propensione dei musicisti irlandesi per la musica bulgara e macedone, al cui apice possiamo mettere l’album del 1992 “East Wind”, di Andy Irvine e Davy Spillane. L’introduzione del bouzouki in Irlanda, come pure il suo adattamento, sembrano una delle prove più evidenti della vitalità odierna di questa musica. Il suo arrivo coincide inoltre, come fanno notare molti musicisti, con il rinnovamento della musica tradizionane in Irlanda e la sua scalata al rango di prodotto commerciale degno di interesse su scala planetaria. Termineremo questo paragrafo con il termine inglese di mandocello, che sembra sia stato utilizzato per la prima volta dalla ditta Gibson, ad indicare i grandi mandolini da essa fabbricati negli anni ’20 per le orchestre di mandolini. La sua accordatura è Do-sol-re-la (un’ottava sotto quella della viola), ma può essere accordato anche in Sol-do-la-mi. A dire il vero il mandocello è uno strumento solo di rado presente nelle sessions, ma se ne incontra talvolta la menzione sulle copertine di qualche disco. nche il low whistle è uno strumento introdotto solo di recente nella musica tradizionale irlandese: si tratta di una specie di variante bassa del tin whistle. La sua storia è quella di un suonatore di uilleann pipes e di tin whistle, Finbar Furey (dei Furey Brothers), che agli inizi degli anni ’60 possedeva un flauto indiano in legno di cui apprezzava in modo particolare il suono caldo e profondo. A causa di un incidente esso rimase danneggiato, ed un liutaio inglese di nome Bernard Overton propose a Furey di costruirne uno in metallo che ne producesse la stessa sonorità; egli rimase soddisfatto del risultato, e lo strumento esiste ancora con lo stesso marchio, oltre che con il marchio Walton’s, famoso negozio di Dublino sin dagli inizi del XX secolo. Davy Spillane (ex-Moving Hearts) ne è stato il principale utilizzatore negli anni ’80, riuscendo a rendere popolare uno strumento dal tocco delicato, tanto che il suo suono è spesso presente nelle composizioni più lente e romantiche. Per caso, o per motivi difficilmente comprensibili, si direbbe che il low whistle sia suonato per lo più da suonatori di uilleann pipes di stile legato (vedi pagina sulle uilleann pipes) come Davy Spillane, Paddy Keenan e Finbar Furey: in effetti è difficile immaginare Liam O’Flynn (un “Gentleman Piper”) che suona il low whistle.
er quanto strano possa sembrare, anche l’armonica (in inglese mouth organ, blues harp o harmonica) si incontra talvolta nelle sessions. Ciò è infrequente, ma il motivo di questa presenza in Irlanda è molto semplice: quando (nel 1951) il Comhaltas Ceoltòirì Eireann si sforzò di rinnovare l’interesse nei confronti della musica tradizionale irlandese, una delle principali strategie consisteva nel renderla accessibile a tutti, essenzialmente privilegiando gli strumenti più semplici; a fianco del tin whistle, l’armonica ha così trovato un posto piccolo ma sicuro. Alcuni musicisti, come i fratelli Pip e Phil Murphy e Eddie Clarke, ne sono autentici specialisti, e talvolta questo strumento compare anche in registrazioni discografiche. ltro strumento percussivo, meno presente del bodhran, le bones (a meno che non se ne preferisca la esatta traduzione in italiano: le “ossa”) sono in origine due coste di pecora che, fatte urtare tra di loro, producono un battito ritmico difficilmente descrivibile, ma che comunque ricorda il suono delle nacchere. Esse sono oggi rimpiazzate da tavolette in legno o in plastica. Alcuni musicisti, più ricchi di fantasia, le hanno vantaggiosamente rimpiazzate con semplici cucchiai, riuscendo a produrre ritmi straordinari; tuttavia chi non ha mai dovuto subire un’intera serata dominata da questi rumorosi utensili metallici non può capire perché le bones facciano in genere scappare i musicisti… ’ anche da segnalare, dopo il 1980, l’arrivo di uno strumento tradizionale australiano reso popolare da Steve Cooney ed alcuni altri musicisti: il didgeridoo (ma l’ortografia può variare). Si tratta di un tubo di legno di circa due metri di lunghezza aperto alle due estremità, in cui si soffia in maniera continua per ottenere un bordone, e che può essere percosso con un bastone per ottenerne un effetto di tipo ritmico. Molti musicisti tradizionali che preferiscono l’innovazione alla purezza musicale l’hanno introdotto nei loro arrangiamenti, a rimpiazzare vantaggiosamente il sintetizzatore ed il suo bordone troppo artificiale. Per la cronaca, è da ricordare che in occasione di un concerto alla fine degli anni ’80, Steve Cooney sostituì senza il minimo problema il suo didgeridoo, dimenticato nella sua casa di Dingle, con un tubo di plastica acuistato da un idraulico del posto… Le foto di questa
pagina: courtesy of Art Edelstein. La chitarra è stata costruita da Craig
Anderson, Burlington, VT, USA (craigandersonguitars.bigheavyworld.com);
il mandolino è un Gibson A3, 1920 circa. Infine il bouzouki è stato costruito
da Joe Foley, 7 Loreto Row Rathfarnham, Dublin, Ireland opo aver passato in rassegna la quasi totalità degli strumenti suonati in Irlanda negli ultimi venti secoli, alcune considerazioni sul senso dell’evoluzione della musica irlandese appaiono necessarie. In primo luogo non vi è alcun dubbio che da una parte le influenze reciproche tra i vari Paesi sono sempre esistite, e che d’altro canto l’Irlanda ha sempre tratto dall’Europa tutto ciò che quest’ultima in ambito musicale potesse offrirle. Così l’arpa classica, così come noi oggi la conosciamo, deve moltissimo all’Irlanda, e soprattutto ai suoi musicisti del XVI secolo; per quel che riguarda le cornamuse, è evidente che le uilleann pipes ne costituiscono la variante più complessa al mondo a causa del sistema dei regulators, del tutto unico. E’ anche del tutto naturale considerare “irlandesi” strumenti quali il fiddle, il tin whistle ed il flauto traverso in legno. Ad essi aggiungiamo la fisarmonica (di provenienza europea), il banjo e la chitarra (entrambi di provenienza americana) e il piano (di influenza d’interesse sociale più che geografico). L’arrivo infine del bouzouki, durante gli anni ’70, mostra che la musica tradizionale irlandese è ancora in grado di adottare (ed adattare) strumenti provenienti da orizzonti diversi. Tutti questi segnali puntano nettamente verso una “tradizione nel segno dell’adattamento”, che potremmo essere tentati di definire come una “tradizione non stagnante”, o anche una “tradizione dinamica”. In definitiva questi elementi sono comunque spesso il frutto di elaborazioni non-irlandesi: più che gli strumenti quindi, è la musica e le melodie in cui essi vengono utilizzati che ci potranno illuminare sul vero significato della musica tradizionale irlandese. |