Un sito dedicato alla cultura Western tra mito e realtà
Home Page - Album - News - Il Cavallo - Informazioni - Gli Amici - Le Dediche - Forum - Chat
 
FAR WEST :
Le biografie
LA STORIA DEL WEST- Le biografie dei protagonisti
Indietro
- Chivington
- Nuvola Rossa
- Sheridan
- Sherman
- Cavallo Pazzo
- Custer
- Toro Seduto
- Buffalo Bill
- Geronimo
- Kit Carson
- Capo Giuseppe
- Looking Glass
- Fletcher
- Wovoka
- Big Foot
- WB Hickok
- Soapy Smith
- Capo Seattle

Capo Seattle

Il Discorso - Il discorso falso? - E noi?

La storia e le vicende di Capo Seattle, forte e capace capo delle genti Suquamish, sono diventate particolarmente attuali in seguito alla divulgazione di un “discorso” che si dice sia stato pronunciato dallo stesso Capo Seattle in occasione dell’abbandono delle proprie terre natali per volontà dei bianchi.

Capo Seattle ebbe tantissimi meriti e tra questi senza dubbio dobbiamo riconoscere la capacità di comprendere che per gli indiani non vi fosse altra strada che l’integrazione con la cultura dei bianchi. In questo senso operò come capo e ovunque gli fosse richiesto tenne discorsi assai convincenti per limare la bellicosità di molti indiani.

Evitò la guerra con i bianchi anche quando quelli gli imposero di abbandonare le terre nelle quali avevano sempre vissuto per andare a chiudersi entro gli angusti confini di una riserva.

Sembra che proprio in quella circostanza abbia tenuto un’impressionante discorso al suo popolo e ai bianchi, un discorso ricco di riferimenti ecologisti e di richiami alla giustizia e al rispetto per la natura.

Sembra, perché recentemente si sono levate sempre più forti le voci di chi contesta – documenti alla mano – questa ricostruzione che, secondo loro, finisce per ridicolizzare i veri meriti di un capo molto intelligente.

Ne parliamo in queste pagine.


IL DISCORSO

Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana.
Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il sole, come potete chiederci di acquistarli? Ogni zolla di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni ago lucente di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ed ogni ronzio di insetti è sacro nel ricordo e nell’esperienza del mio popolo.
La linfa che scorre nel cavo degli alberi reca con sé il ricordo del pellerossa. I morti dell’uomo bianco dimenticano il proprio paese natale quando errabondano tra gli spazi siderali.
I nostri morti non dimenticano mai questa terra magnifica, perché essa è la madre del pellerossa. Siamo parte della terra, e la terra fa parte di noi.
I fiori profumati sono nostri fratelli; il cervo, il cavallo, la grande aquila sono nostri fratelli; le creste rocciose, l’aroma dei prati, il calore dei pony e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia.

Per questo, quando il Grande Capo Bianco di Washington ci manda a dire che vuole acquistare la nostra terra, ci chiede una parte di noi.
Il Grande Capo ci manda a dire che ci riserverà uno spazio ove muoverci affinché si possa vivere confortevolmente fra di noi. Egli sarà nostro padre e noi saremo i suoi figli. Prenderemo, dunque, in considerazione la vostra offerta, ma non sarà facile accettarla. Questa terra per noi è sacra.

Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solamente acqua, per noi è qualcosa di immensamente più significativo: è il sangue dei nostri padri. Qualora acconsentissimo di vendervi le nostre terre, dovrete ricordarvi che esse sono sacre, dovrete insegnare ai vostri figli che si tratta di suolo sacro e che ogni riflesso nell’acqua chiara dei laghi parla di eventi e di ricordi della vita del mio popolo. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre.

I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi cedessimo le nostre terre, dovrete ricordarvi, ed insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete provare per i fiumi lo stesso affetto che provereste nei confronti di un fratello.

Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte della terra è uguale all’altra, perché è come uno straniero che irrompe furtivo nel cuore della notte e carpisce alla terra quel che più gli conviene. La terra non è sua amica anzi è un suo nemico e quando l’ha conquistata va oltre.
Abbandona la tomba dei suoi avi e ciò non lo turba. Toglie la terra ai suoi figli, e ciò non lo turba.
La tomba dei suoi avi, il patrimonio dei suoi figli cadono nell’oblio.

Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come cose che possono essere comprate, sfruttate, vendute come si fa con le pecore o con le pietre preziose.
La sua ingordigia divorerà tutta la terra ed a lui non resterà che il deserto.

Io non so. I nostri costumi sono diversi dai vostri.
La vista delle vostre città fa male al pellerossa.
Ma forse ciò dipende dal fatto che il pellerossa è un selvaggio e non può capire!

Non c’è un posto tranquillo nelle città dell’uomo bianco. Non esiste in esse un luogo ove sia dato percepire lo schiudersi delle gemme a primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto.
Ma forse ciò avviene perché io sono un selvaggio e non posso comprendere. Solo un assordante frastuono sembra giungere alle orecchie e ferirne i timpani.
E che gusto c’è a vivere se l’uomo non può ascoltare il grido solitario del caprimulgo o il chiacchierio delle rane attorno ad uno stagno? Io sono un pellerossa e non comprendo. L’indiano preferisce il suono dolce del vento che si slancia come una freccia sulla superficie di uno stagno, e l’odore del vento stesso reso terso dalla pioggia meridiana o profumata del pino.

L’aria è preziosa per il pellerossa, giacché tutte le cose condividono lo stesso soffio vitale: gli animali, gli alberi, gli uomini tutti condividono lo stesso soffio.
L’uomo bianco non sembra far caso all’aria che respira e come un individuo in preda ad una lenta agonia è insensibile ai cattivi odori. Ma qualora vendessimo le nostre terre dovrete ricordarvi che l’aria per noi è preziosa, che l’aria condivide il suo soffio con tutto ciò che essa fa vivere.
Il vento che diede il primo alito al nostro avo è lo stesso che raccolse il suo ultimo respiro.
E qualora vi cedessimo le nostre terre voi dovete custodirle in modo particolare, e considerarle come un luogo dove anche l’uomo bianco può andare a gustarsi il vento che reca le fragranze del prato.

Prenderemo in esame la vostra offerta di acquistare le nostre terre. Ma qualora decidessimo di accettare tale proposta io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà rispettare gli animali che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli.

Io sono un selvaggio e non conosco altro modo di vivere. Ho visto un migliaio di carcasse di bisonti imputridire sulla prateria abbandonati dall’uomo bianco dopo che erano stati travolti da un treno in corsa. Io sono un selvaggio e non comprendo come il “cavallo di ferro” fumante, possa essere più importante dei bisonti che noi uccidiamo solo per sopravvivere.

Cosa sarebbe l’uomo senza gli animali? Se tutti gli animali sparissero, l’uomo soccomberebbe in uno stato di profonda solitudine.
Poiché ciò che accade agli animali, prima o poi accade all’uomo. Tutte le cose sono legate fra loro.

Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che calpestano è fatto delle ceneri dei nostri padri.
Affinché i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente.
Insegnate ai vostri figli ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la terra è la madre di tutti noi.
Tutto ciò che di buono accade alla terra, accade anche ai figli della terra. Se gli uomini sputassero sulla terra sputerebbero su se stessi.

Noi sappiamo almeno questo: non è la terra che appartiene all’uomo ma è l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate come i membri di una famiglia sono legati da un medesimo sangue. Tutte le cose sono legate.
Tutto ciò che accade alla terra accade anche ai figli. Non è l’uomo che ha tessuto la trama della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a sé stesso.

Lo stesso uomo bianco, col quale il suo Dio si accompagna e dialoga familiarmente, non può sottrarsi al destino comune. Dopo tutto, forse, siamo fratelli. Vedremo. C’è una cosa che noi sappiamo e che forse l’uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è il suo stesso Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre; ma non lo potete. Egli è il Dio degli uomini, e la sua misericordia è uguale per tutti: tanto per l’uomo bianco quanto per il pellerossa. Questa terra per Lui è preziosa e il recar danno alla terra è come disprezzare il suo Creatore. Anche i bianchi spariranno, forse prima di tutte le altre tribù. Contaminate i giacigli dei vostri focolari e una notte vi ritroverete soffocati dai vostri stessi rifiuti.

… Per un disegno particolare del fato siete giunti a questa terra e ne siete divenuti i dominatori, così come avete soggiogato i pellerossa.

Questo destino è per noi un mistero, perché non riusciamo più a comprendere quando i bisonti vengono tutti massacrati, i cavalli selvaggi domati, gli anfratti più segreti delle foreste invasi dagli uomini, quando la vista delle colline in piena fioritura è imbruttita dai fili che parlano.

Dov’è finito il bosco? Scomparso. Dov’è finita l’aquila? Scomparsa. E’ la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza.


IL DISCORSO FALSO?

Lo abbiamo trovato scritto e lo troviamo ancora in migliaia di T-shirt indossate da giovanette, omoni e qualche imprenditore in vena lirica.
Un santino ecologico ma anche un bellissimo falso.
E’ il mitico discorso di Capo Seattle, che si rivela solo una leggenda urbana, scritto in tempi diversi da un politico locale e uno sceneggiatore cinematografico, con qualche aggiunta qua e là. Parola di Sandra Busatta ragazza del Lido che sapeva giocare agli indiani meglio dei suoi coetanei, professoressa a Padova, con la sorella Flavia, attente e critiche studiose dei costumi indiani del nostro paese.
Questa volta Sandra ci racconta la storia di questo falso, di un testo – il discorso ai bianchi di Capo Seattle – che appare nel 1969 grazie al lavoro di William Arrowsmith, poeta e scrittore che lo pubblica ritraducendo e modernizzando il testo che, nel 1887, appare ad opera di un volenteroso e romantico medico Henry A.Smith, impegnato nella politica locale.
Arrowsmith lesse la sua versione ad un raduno ecologista e Ted Perry, suo collega all’università del Texas, gli chiede di poterlo utilizzare nella sceneggiatura di un documentario commissionatogli dalla Chiesa battista. Perry ammetterà: ” Ho utilizzato il 10% del testo originale e poi ho inventato tutto, letterariamente “.
Nel 1972 invece il filmato – per iniziativa del produttore che cristianizza ancora di più il testo – diventa la “ lettera” di Capo Seattle al presidente degli USA Pierce. Perry, dopo essere passato per un falsario - fatica vent’anni protestando per cercare, spiegare l’inganno dicendo che era lui il vero autore – alla fine si ritira, nel 1992, nel Vermont e rifiuta di ritornare sull’argomento. E’ lui che ha scritto la versione che ha conquistato milioni di persone al mondo (e che il popolo di Seattle considera una specie di manifesto-bibbia) e che ha fatto dire al monsignor Bruce Kent, il cappellano nazionale di Pax Christi, società unita per la propagazione del Vangelo in Gran Bretagna: ” Penso veramente che sia il quinto Vangelo”.

Alcuni stralci dell’intervista…….

(…) E il suo discorso?

Ogni anno gli archivi nazionali, la Smithsonian Institution, la biblioteca del Congresso e l’agenzia d’informazione degli USA ricevono numerose richieste per avere il testo originale del discorso (…) “sfortunatamente – scrive l’archivista Jerry L. Clark nel 1985 – nessuno è stato in grado di trovare né la lettera né un testo affidabile del discorso”.
Il testo appare spesso nelle antologie di letteratura e oratoria indiana, ma questo capolavoro d’eloquenza non ha alcun fondamento storico.

Inventato?

Rudolf Kaiser, uno dei primi a scoprire la verità (1989) esprime bene il senso di frustrazione che lo colse quando tentò di conoscere l’origine di questo “manifesto di sentimento e pensiero ecologico”: dopo aver inseguito il testo attraverso le varie organizzazioni ambientaliste che lo avevano citato a cascata, come nel gioco dell’oca veniva sempre rimandato al punto di partenza. (…)

Qualche testo esiste

I verbali del consiglio per il Trattato di Point Elliot del 1858, secondo molti l’occasione in cui Seattle pronunciò la sua orazione, contengono due dichiarazioni rivolte al governatore Stevens (…)

a cura di Adriano Favaro - tratto da Il Gazzettino


E NOI?

Versioni. La verità plausibile è che nel 1854 il Governatore Stevens tentò di comprare Puget Sound
dai Suquamish e in questa occasione Capo Seattle - che, badate bene!, non parlava la lingua inglese –
tenne un discorso che pare sia stato tradotto da un certo Dr. Henry A. Smith che ne pubblicò una sua “versione” nel 1887.

E'vero, c’é stato Capo Seattle. Fu anche un grande guerriero, capo tribù e finissimo diplomatico “in pectore”, questo è fuor di dubbio. Però, lasciatecelo dire con serenità: è davvero difficile che il “discorso” di Capo Seattle, così come è arrivato fino a noi, sia autentico. Credo che i contenuti siano stati condivisi da Capo Seattle, come pure dalla gran parte dei popoli indiani che si sono trovati nella morsa della cultura armata dei bianchi. Sono sensazioni e pensieri che possono essere ritrovati in molti altri discorsi di capi e guerrieri indiani.

Sentite questo passaggio: “Inquinate pure i posti in cui dormite e una notte o l’altra morirete soffocati dalla vostra stessa mondezza”. Suvvia, cose di questo genere erano lontanissime dal sentimento del tempo soprattutto perché non vi era una vera emergenza-rifiuti.

O quest’altra: “Ho visto migliaia di carcasse di bisonti lasciate a marcire nella prateria dopo il passaggio di un treno…” Che fantasia! Capo Seattle non lasciò mai Puget Sound per cui mai e poi mai, da vivo o da morto, potrebbe aver visto un treno o i bisonti.

La verità plausibile è che nel 1854 il Governatore Stevens tentò di comprare Puget Sound dai Suquamish e in questa occasione Capo Seattle - che, badate bene!, non parlava la lingua inglese – tenne un discorso che pare sia stato tradotto da un certo Dr. Henry A. Smith che ne pubblicò una sua “versione” nel 1887. Eccola di seguito:

"There was a time when our people covered the whole land as the waves of a wind-ruffled sea covers its shell-paved floor, but that time has long since passed away... I will not mourn over our untimely decay, nor reproach my paleface brothers for hastening it, for we too may have been somewhat to blame...
Our dead never forget the beautiful world that gave them being. They still love its winding rivers, its great mountains and its sequestered vales, and they ever yearn in tenderest affection over the lonely-hearted living, and often return to visit and comfort them... Every part of this country is sacred to my people. Every hillside, every valley, every plain and grove has been hallowed by some fond memory."

La lasciamo in lingua inglese di modo che chiunque ne abbia voglia possa tradursela e rendersi conto di quanto ci sia di artificioso in tutta la faccenda.

Discorso.
Capo Seattle deve la sua fama imperitura ad un discorso toccante che è stato pubblicato
in gran parte delle
lingue del mondo.
Alcuni studiosi, però, hanno dei dubbi sulla sua autenticità.


Capo Seattle

Inizio
 
Copyright © LoredanaWebmaster: Loredana
lokomac@libero.it