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NOTE AL RACCONTO “Il messaggio degli Angeli”, racconto con il quale Monia Di Biagio ha partecipato al Trofeo R.I.LL “Il miglior racconto fantastico”; questo racconto è anche stato selezionato per far parte di un E-Book, di cui Monia Di Biagio è co-autrice, dal titolo “Storie per una notte”, pubblicato in occasione del Santo Natale 2002 e visionabile sul sito www.pennepazze.net SINOSSI Uno strano sogno forse “premonitore”, condurrà la protagonista, che poi è la stessa autrice del racconto, narrato appunto in prima persona, in un luogo Sacro e particolarissimo. Difatti Ella un giorno, in viaggio, in macchina, con suo marito, improvvisamente comincerà a rivivere quel sogno, su tutta la sua pelle, iniziando a dettare al marito dettagli ed indizi molto particolareggiati sulla strada che, per la prima volta, in vita loro, si trovavano a percorrere, fino a giungere….Beh, per scoprirlo non ci resta che cominciare a leggere questo intrigante racconto!
"Il messaggio degli
Angeli" (Già la data del suddetto avvenimento, ricordo e ci tengo a precisarlo reale, è tutto un programma!) La mia giornata è appena cominciata, e di questo ringrazio Dio, per avermi dato la possibilità di viverne un’altra ancora. Guardo dalla finestra, ed il tempo non è dei migliori: rari ed alquanto graditi sprazzi di sole vanno e vengono, e si posano per pochi istanti su queste mie pagine come un sorriso di partecipazione e condivisione. Sono sola in casa. Oggi è uno di quei giorni, in cui, aprendo gli occhi, stiracchiandomi un po’, allungando una mano sull’altro guanciale, per sentire se mio marito fosse ancora lì vicino a me, accorgendomi, invece, che è già uscito di casa, decido di dedicare l’intera giornata, non a me stessa, non alla casa, non alle faccende domestiche, ma interamente alla cura dello Spirito e in questo preciso momento all’attività che amo di più: scrivere! Appena alzata, la prima cosa che ho fatto, mentre ancora un po’ assonnata e sbadigliante mi dirigevo in cucina per farmi un caffè, forse spiritualmente plasmata dalla credenza in Colui che sin da bambini ci hanno insegnato a pregare ed ascoltare, è stata salutare il mio Angelo Custode, e con un sorriso sornione gli ho detto: -Lo so, lo so che ci sei!-, quasi come se lui, un attimo prima che io mentalmente gli riferissi queste parole, mi avesse solleticato l’orecchio, chiedendo: -Lo sai che non sei sola?- E’ in questa nuova giornata da poco cominciata, che un felice ricordo, mi è tornato vivido alla mente, un pensiero che mi infonde gioia e che ancora oggi, a distanza di tempo dall’accaduto, mi stupisce profondamente e mi fa sorridere di cuore, perché ancora adesso non mi capacito di come tutto sia potuto accadere. Tutto ebbe inizio una mattina, di qualche mese fa, quando mi risvegliai in preda ad una sensazione di disagio, come se l’armonia distorta che aveva tenuta occupata la mia mente durante il sonno, e credo per quasi tutta la notte, proseguisse ora, da sveglia e indaffarata, a tiranneggiare i miei pensieri, mentre come ogni giorno portavo avanti le mie faccende domestiche e famigliari. Questa pesante sensazione era strettamente legata ad un sogno, i cui fotogrammi, anche ora che ero desta e vigile, perché completamente affaccendata, continuavano a scorrermi davanti agli occhi, come un ciclo inarrestabile, quasi come se qualcuno mi stesse suggerendo di vederle e rivederle, per impararle a memoria e non dimenticarle più. Così fu. Raramente io mi ricordo i sogni al risveglio, almeno che non abbiano per me un profondo significato. |
Ma proprio quel sogno di cui
non sapevo spiegarmi il senso, tanto era strano e inverosimile, apparentemente
banale e senza alcun messaggio recondito logico, per molti giorni, mesi, mi
restò dentro, ed anche se non lo “vedevo” e ripercorrevo più con il pensiero,
ormai lui era lì, ben impresso nella mia memoria e non solo… Considerando il segno profondo che avrebbe
lasciato, di lì a poco, nella mia Anima! Infatti, qualche tempo dopo, l’orologio che scandisce gli attimi di un’intera
esistenza, avrebbe evidenziato, con un tic-tac più rumoroso e diverso dal
solito, un preciso istante in cui, quel sogno, improvvisamente (senza cioè che
io me lo aspettassi perché assorta in altri pensieri), con tutta la sua forza e
il suo peso sarebbe tornato a galla aiutandoci, a me e mio marito, nel momento
del bisogno. Tant’è che ancora oggi, ormai a distanza di circa 10 mesi, è
stampato nei miei ricordi come un qualsiasi fatto realmente vissuto, forse
perché, fu proprio in quella inaspettata circostanza che si materializzò,
trasformandosi dallo stato “onirico” allo stato di “realmente accaduto”; e a questo
punto paragonato a quanto grande sia stato il suo significato spirituale, credo
che non lascerà più i miei pensieri per tutta la durata della mia vita, fosse
essa di un giorno ancora o di 100 anni! Sintetizzando di molto, il sogno in questione era questo :
ci trovavamo su una strada statale, in un tratto in cui non era possibile
proseguire il viaggio. Così ci fermammo, e scendemmo tutti dall’auto. Tutti? Sì. Infatti, neanche avessimo avuto un autobus, mi accorsi che io e mio marito in
quel viaggio non eravamo soli, ma a viaggiare con noi, c’erano una decina di
persone, tra famigliari e amici.
Ora, tutti fuori dalla nostra “super-auto”, e rumorosi sulla piazzola di sosta
ci chiedevamo come poter proseguire il viaggio, la cui meta era arrivare appunto
al nostro paese natale, dove avremmo partecipato al Matrimonio di una mia
cugina, cerimonia attesissima, che nella realtà si è svolta circa tre mesi dopo,
lo strano divagare notturno della mia mente.
Facendo in modo che la compagnia di viaggio non si lasciasse prendere
dall’ansia, mi voltai verso mio marito per chiedergli come pensava di fare,
ma…lui indossava la divisa militare e io capii subito che sarebbe dovuto tornare
al lavoro e non avrebbe potuto continuare il viaggio con noi. Per un istante,
presa dallo sconforto, gli dissi polemicamente: -Ho capito tocca a
me….Suggeriscimi almeno la strada che devo imboccare, per poi riprendere
l’autostrada!-
Senza parlare, lui mi indicò l’uscita della superstrada che avrei dovuto
prendere per raggirare l’ostacolo, e poi tornare sull’autostrada che ci avrebbe
condotti fino a casa.
Poi, mi diede qualche consiglio tecnico sulla macchina, ricordo che parlò di
freni con una frase del tipo -Fai attenzione ai freni, che ci fanno più poco!-
Suggeritomi ciò, ci abbracciammo forte, dandoci appuntamento per il giorno del
Matrimonio, lui salì in macchina con dei commilitoni e se ne andò; io feci
risalire sulla nostra autovettura la rumorosa combriccola e ripartimmo.
Da quel momento in poi, il sogno fu un susseguirsi di strade ed incroci, di
punti di riferimento stradali da tenere bene a mente, fino al momento in cui
potei tirare un sospiro di sollievo, quando, finalmente, giunsi a riprendere la
famigerata autostrada; ma di questo parlerò più dettagliatamente in seguito. Fatto sta, che molti giorni dopo arrivò per noi il momento reale della partenza,
ricordo che era Venerdì, e Sabato avremmo partecipato alla Cerimonia Nuziale.
Caricammo la macchina con poche cose, visto che i giorni di soggiorno erano
ridotti al minimo indispensabile, poi anche noi salimmo a bordo, ma nel momento
in cui mio marito accese il motore a me venne immediato e spontaneo dire ad alta
voce questa frase frammentata: -Di Venere e di Marte non si viene e non si
parte…-
Mio marito mi guardò incuriosito ed anche io mi stupii sufficientemente, per
aver proferito ciò senza quasi accorgermene, come se all’orecchio qualcuno me lo
avesse suggerito e io come una cantilena lo avessi subitamente ripetuto.
Fu in quel preciso istante che, in una misera frazione di secondo, le immagini
del sogno afferrarono prepotentemente i miei pensieri e soprattutto la frase
-Fai attenzione ai freni!- cominciò a rimbombarmi nelle orecchie sin dai primi
metri di strada percorsi; con il risultato che per buona parte del viaggio
annoiai mio marito ripetendo fino alla paranoia -Vai piano, non superare….è
meglio andare piano, che frenare!-
Lui poverino non ci capiva più niente, la macchina l’aveva fatta controllare a
puntino, come è solito fare prima di affrontare qualsiasi viaggio lungo, quindi
per lui non sussistevano problemi.
Fino al momento in cui il pedale del freno diventò più duro e questo proprio nel
punto in cui segnali stradali ci obbligavano ad accostare perché la strada era
bloccata, non si poteva proseguire sulla superstrada, per la chiusura totale
della galleria di fronte a noi. Ci fermammo sulla piazzola di sosta per decidere
il da farsi.
Dejà vù! Il sogno cominciava a materializzarsi.
Seduti in auto, mio marito mi guardò e senza pensarci disse: -Eppure l’ ho fatta
controllare ieri e andava tutto bene…- poi con la pelle d’oca e lo sguardo di
chi sta pensando “ma come faceva a saperlo?” si voltò verso di me ed io in quel
momento tutta soddisfatta seppi rispondere al suo sguardo indagatore, solo con
un presuntuoso sorrisetto da “Maga-Magò”.
Poi, alla sua repentina domanda: -Ed ora cosa facciamo?- io pronta risposi:-Vai
te la dico io la strada!- e lui: -Tu??? Ma se non siamo mai passati di qui…come
fai a sapere che strada dobbiamo fare?- ed io: -La so, la so…tu eri al lavoro!- Credo che in quell’ora di viaggio, più di una volta gli sia passata per la mente
l’ipotesi che io fossi completamente impazzita e comunque riuscì a completare il
discorso solo con il suo classico -Maaaaah?!- l’espressione di incertezza, cioè,
che usa quando non si fida per niente di me, ma vuole proprio stare a vedere, e
che deliziosamente gli fa corrugare gli zigomi, e gli apre e chiude una
parentesi ai lati della bocca. Lui riaccese il motore, io invece dispiegai
mentalmente la mappa di quel percorso che avevo ripetuto involontariamente, anzi
quasi forzatamente tante e tante volte ed iniziai: -Adesso prendi questa uscita,
e ci troveremo dentro ad un centro abitato…- Seppi da mio marito che quello era
Livorno, città che noi durante i nostri numerosi viaggi avevamo sempre
volontariamente saltato, per non trovarci dentro al traffico cittadino e perché
tale deviazione avrebbe rubato minuti importanti al nostro viaggio, che è già
lungo di per sé. Comunque ora nostro malgrado eravamo lì e ne dovevamo uscire,
fino a riprendere l’autostrada, così continuai: -Adesso sulla tua sinistra c’è
un lungo muraglione, dovrebbe essere un convento di suore…devi percorrerlo
tutto, poi girare a sinistra e fermarti all’incrocio, magari un po’ in anticipo
ricordati i freni!- E qui scoppiai a ridere divertita perché tutto combaciava e
io mi sentivo completamente pervasa da una strana saggezza, ed ero lì seduta
allegra, come se avessi bevuto un bicchiere di troppo, che però non mi aveva
ancora ubriacato completamente, perché ero perfettamente cosciente di quello che
dicevo.
Eravamo all’incrocio. -E adesso?- mi chiese lui, -Adesso…- ripresi io -Gira a
sinistra, percorreremo circa duecento metri di strada poi incontreremo una
rotatoria, faremo mezzo giro e proseguiremo diritti.-
Giunti alla rotatoria, mio marito non poteva credere ai suoi occhi e alle sue
orecchie, e se non mi sapesse completamente fedele avrebbe potuto spiegarsi la
cosa, pensando che io avessi fatto quella strada con qualcun altro! Ma ora anche
lui sorrideva tra l’incredulo e il divertito.
Mi piaceva molto il ruolo di navigatore e a dire il vero, durante i nostri
viaggi di piacere, con cartine autostradali alla mano, l’ho fatto più volte, ma
ora, era semplicemente qualcosa di diverso.
Ripresi: -Stai attento, adesso, perché ci siamo quasi, percorreremo questa
strada tutta diritta, che è un bel po’ lunga, dalla mia parte ci sono molti
capannoni di ditte, quando incontreremo quello della Fiat, esattamente lì
davanti, dovremo imboccare una strada sulla tua sinistra, da lì si riprende
l’autostrada! Peugeot, calzature, mobilificio, pompa di benzina, eccola…ecco la
Fiat metti la freccia a sinistra, ecco laggiù la strada!-
Incredibile! La mia mente un videoregistratore e la realtà il film registrato
poco tempo prima! Ma….All’inizio della stradina campestre, imboccata subito dopo
la svolta a sinistra, nessun segnale verde indicava che più avanti c’era
l’autostrada.
-Ops….- disse mio marito -Questa volta la figlia segreta di Silvan, non ci ha
preso!-
-Eppure era qui, ne sono convinta, non posso sbagliare, vai ancora un po’
avanti!-
Ma l’unico cartello stradale che incontrammo, dopo pochi metri, fu quello che
segnalava “strada chiusa” e accanto a questo uno informativo, reso quasi
illeggibile dal tempo, che indicava ad 1 Km il Santuario di Montenero.
Mio marito girò, percorse a ritroso il viottolo sterrato, tornò sulla strada
principale e solo cinquanta metri dopo trovammo la deviazione, a sinistra, che
ci avrebbe riportato sull’autostrada. Ma come era possibile, che avevo sbagliato
per così pochi metri?
“No, il sogno era proprio in quel modo, la strada era proprio quella ne sono
certa”; e mentre questi pensieri assalivano la mia mente inaspettata giunse la
risposta, che io ripetei subito ad alta voce: -Dovevamo andare lì, proprio lì,
non importa se non arrivavamo all’autostrada, se il sogno diceva che dovevamo
andare lì, dovevamo proseguire!-
-Un sogno?- fece lui.
Sì. Dovevamo andare al Santuario, ma ormai era troppo tardi, eravamo già in coda
al casello autostradale, così ci ripromettemmo che saremmo andati a visitarlo
una Domenica. Tutto il resto del viaggio mio marito volle vederci chiaro in
questa storia e io gli raccontai per filo e per segno, la causa scatenante di
quel raro e quanto mai strano susseguirsi di avvenimenti.
La Domenica successiva mi svegliai felice e di buon ora, era il giorno della
gita, il sole splendeva alto e caldo, quando ero quasi pronta svegliai mio
marito e gli dissi: -Andiamo?- -Dove?- disse lui mentre sbadigliava, -Al
Santuario di Montenero!- esclamai io.
Eravamo di nuovo su quella stradina, non vedevo l’ora di scoprire cosa ci
aspettava lassù, in cima a quel monte a picco sul mare.
La sorpresa fu graditissima: una bella cittadina d’altri tempi, con negozietti
di souvenirs, linde strade fatte di ciottoli; una accogliente ed ombreggiata
piazza alberata con l’immancabile belvedere su un lato e sull’altro, una
maestosa scalinata di marmo bianco.
In evidente contrasto con la fresca penombra che ci si lasciava alle spalle, per
il prepotente riverbero del sole sul candido biancore, non potevamo scrutare
oltre l’ultimo gradino, tanto da far sembrare, per un gioco di luce e
prospettiva che la gradinata carezzasse il cielo e lì, avvolta dal turchese,
trovasse la sua fine.
Il mio cuore era rapito da una strana frenesia, cosa ci avrebbe accolto lassù?
Salii i gradini lentamente, tenendo stretta la mano di mio marito, quasi non
volessi far finire quell’istante e quella bella sensazione, la stessa che si
prova quando si riceve una sorpresa inaspettata, ma graditissima.
L’ultimo gradino! Il cielo era ancora sopra di noi e noi non immersi in esso, ma
a darci il benvenuto un enorme piazzale, sui cui tre lati si dispiegavano
eleganti le arcate del Santuario, che ci accompagnarono, in un gentile e
caloroso abbraccio, fino all’entrata della Chiesa.
Era in corso una funzione, così per non disturbare le persone raccolte in
preghiera, tanto i nostri passi rimbombavano, pian piano uscimmo per dirigerci
nel Chiostro, ma una delle monetine che tenevo tra le mani, per depositarle nel
cassetta delle offerte mi scivolò tra le dita, e mentre la raccoglievo mi
accorsi di una grande porta sulla nostra sinistra sulla quale c’era scritto
museo.
Appena varcata quella soglia, una mista sensazione di tristezza e commozione mi
colse. L’ambiente poco illuminato, doveva essere immenso. Un susseguirsi di
stanze e lunghi corridoi, le pareti piene zeppe di quadri, disegni, foto,
lettere, abiti vecchi o strappati, un miscuglio di cose antiche e moderne, tutte
rigorosamente disposte. Cosa erano tutti quegli oggetti?
Ci avvicinammo alla prima delle innumerevoli pareti tappezzate e con un tuffo al
cuore scoprimmo che erano tutti Ex Voto, per Grazia Ricevuta!
Una vecchia maglia di lana con il buco di un proiettile proprio vicino al cuore,
un elmetto militare anch’esso perforato proprio sulla parte frontale, muri
interamente drappeggiati da lettere di ringraziamento, una stanza piena di
caschi e foto di moto distrutte, un’altra piena di abiti da sposa, ognuno dei
quali aveva appuntato un cartellino che riportava frasi del tipo “dono il mio
abito più bello e prezioso per Grazia Ricevuta”, un lungo corridoio, ai cui
lati, fin sulle arcate delle porte erano appesi dipinti di avvenimenti dolorosi:
alluvioni, incendi, ai quali le persone erano fortunosamente scampate, anche in
tempi molto remoti. In silenzio proseguivamo mano nella mano, nell’osservare
tutto ciò, mentre una domanda in noi nasceva spontanea: -Perché, un sogno ci
aveva guidato fino a quel posto, di grande gioia ma anche di immenso dolore?-
La risposta più plausibile, non certo quella più razionale, ma quella dettata
dal cuore e soprattutto dagli ultimi incredibili avvenimenti, che avevano scosso
la nostra tranquilla vita di coppia, era che forse in un modo o nell’altro anche
noi eravamo stati graziati, ma quando e come era possibile che non ce ne eravamo
accorti?
Questi interrogativi ancora oggi non hanno una risposta, ma quello che accadde
subito dopo, certamente servì a rafforzare questa nostra tesi.
Nell’ultima stanza c’era un grande tavolo con sopra un voluminoso libro in
cuoio, era il diario degli ospiti e io mi avvicinai per scrivere una frase e i
nostri nomi, perché sentivo che anche noi avremmo dovuto lasciare il segno del
nostro passaggio, e in qualche modo il nostro personale ringraziamento, anche
perché più mi guardavo nelle tasche meno trovavo qualcosa di appropriato da
lasciare lì, in fin dei conti noi non avevamo le prove tangibili della nostra
Grazia Ricevuta.
Così scrissi semplicemente, avevo solo tre righe a disposizione: “uno strano
sogno, ci ha condotto qui, e se tutto questo ha un senso, ecco il nostro più
profondo e sentito Grazie, per quello che è già accaduto o forse deve ancora
accadere. Monia & David.”
Ammutoliti eravamo di nuovo sull’enorme piazzale, così decidemmo di scattare
qualche foto, desiderosi di immortalare quell’esperienza, ma anche, dopo un
lungo peregrinare mentale, di tornare alla realtà. Però sulla piazza non c’era
“anima viva” che potesse aiutarci, e non trovavamo nemmeno un punto rialzato
dove poggiare la macchinetta e farci una foto con l’autoscatto, così decidemmo
che io mi sarei messa in posa al centro della piazza e mio marito avrebbe
scattato.
Improvvisamente dietro di lui due figure.
Un uomo e una donna di mezza età. Il signore, con repentino gesto afferrò la
macchinetta, la signora, forse sua moglie, rideva divertita dello spavento che
avevano appena fatto prendere a mio marito.
Ma da dove erano uscite fuori quelle due persone, se fino a pochi istanti prima
sul piazzale c’eravamo solo noi?
Non dalla gradinata che io avevo proprio di fronte a me al momento dello scatto;
non da dietro le arcate sulla destra di mio marito, erano infatti fermi alla sua
sinistra, e se fossero passati dietro le sue spalle io li avrei di certo notati;
non accanto a me e quindi da destra perché anche se impegnata in una posa
plastica e a guardare avanti fin dentro l’obbiettivo, avrei di certo dovuto
notare perlomeno il ticchettio dei loro passi sul selciato, visto che come me la
signora non portava delle scarpe di gomma e proprio come me, avrebbe dovuto
avere un andamento rumoroso, tipico dei tacchi sul marmo, in un anfiteatro a
cielo aperto!
Persi la mia posa e mi avvicinai loro. L’uomo sorridente aveva la nostra
macchinetta in mano, la donna dallo sguardo sereno si appoggiava al suo braccio;
aspettarono che anch’io mi avvicinassi, poi il signore disse, con un tono di
voce che sembrava quasi un paterno monito: -Dovete stare insieme, sempre!- e la
signora accompagnò quelle parole annuendo con la testa e allungando dolcemente
un braccio verso il centro del piazzale mimando in tal modo la frase
“accomodatevi insieme, la foto la scattiamo noi!”
Le loro facce liete e i loro occhi sorridenti erano così accattivanti e
infondevano serenità, che noi non ci pensammo due volte, fiduciosi e forse in
altre situazioni ingenui, ma non in quella, voltammo loro le spalle e
ridacchiando per l’inaspettata apparizione tornammo quasi al centro della
piazza, poi ci voltammo e abbracciati sfoderammo il nostro -Cisssss!- migliore.
Pochi passi per tornare dalla gentile coppia, il ringraziamento di rito, e le
nostre mani strette in un cordiale saluto. Discesero nuovamente le scale, ma
come…erano lì solo per farci una foto a noi e non per entrare nel Santuario? E
come mai oltre il grazie e l’arrivederci, l’unica frase completa era stata
quella pronunciata dal signore “Dovete stare insieme….” calcando la voce sul
“sempre”?
Mentre eravamo presi a porci queste domande l’un l’altro, io dissi a mio marito:
-Aspetta….- e di corsa scesi la scalinata, erano passati pochi istanti, mezzo
minuto in tutto, pochi i posti dove cercarli: la piazza, dove lo sguardo poteva
giungere in ogni direzione; un piccolo Bazar, arrivai fin sulla porta, ma
niente; ultima possibilità il bar, niente; l’unico vicolo cittadino, quello che
costeggia il belvedere, con un solo ristorante, niente; non soddisfatta e
puntigliosa per carattere con passo affrettato, arrivai fino alle scale che
portano al parcheggio, niente; allora da sopra il muretto feci una panoramica
del posteggio auto sottostante, niente, nessuna macchina si muoveva, nessuna
stava arrivando o partendo. Niente, dei due signori neanche l’ombra,
volatilizzati!
Con respiro affannato tornai da mio marito, sul piazzale della chiesa, lo trovai
seduto sotto gli archi che mi aspettava, come gli avevo chiesto pochi istanti
prima.
-Dove sei stata?-
-A cercarli!-
-Li hai trovati?-
-No, scomparsi nel nulla!-
-Questa giornata poteva concludersi solo così!-
-Ah, ah, ah, andiamo a pranzo, c’è un ristorantino niente male!-
Ridendo di gusto, stretti l’un l’altra, con quel paterno consiglio nel cuore,
che non dimenticheremo mai più, pranzammo guardando il mare.
La gioia che ci infonde questo ricordo è talmente forte, per il prezioso dono
ricevuto, che fa viaggiare la mia mente lontano, e mi fa sperare che un giorno,
anziani, torneremo in quel ristorante a picco sul mare, e rideremo ancora per
gli inverosimili avvenimenti che ci hanno colto impreparati, ma con lo spirito
disponibile, in gioventù.
Ah, a proposito…se andrete al Santuario di Montenero, cercate pure la mia frase
su quel librone, perché questa non è una storia di fantasia !
Monia Di Biagio
1° -I sogni in
un Baule |
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