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Il Messaggio degli Angeli.

NOTE AL RACCONTO

“Il messaggio degli Angeli”, racconto con il quale Monia Di Biagio ha partecipato al Trofeo R.I.LL “Il miglior racconto fantastico”; questo racconto è anche stato selezionato per far parte di un E-Book, di cui Monia Di Biagio è co-autrice, dal titolo “Storie per una notte”, pubblicato in occasione del Santo Natale 2002 e visionabile sul sito www.pennepazze.net

SINOSSI

Uno strano sogno forse “premonitore”, condurrà la protagonista, che poi è la stessa autrice del racconto, narrato appunto in prima persona, in un luogo Sacro e particolarissimo. Difatti Ella un giorno, in viaggio, in macchina, con suo marito, improvvisamente comincerà a rivivere quel sogno, su tutta la sua pelle, iniziando a dettare al marito dettagli ed indizi molto particolareggiati sulla strada che, per la prima volta, in vita loro, si trovavano a percorrere, fino a giungere….Beh, per scoprirlo non ci resta che cominciare a leggere questo intrigante racconto!

"Il messaggio degli Angeli"
 
20-02-2002

(Già la data del suddetto avvenimento, ricordo e ci tengo a precisarlo reale, è tutto un programma!)

La mia giornata è appena cominciata, e di questo ringrazio Dio, per avermi dato la possibilità di viverne un’altra ancora. Guardo dalla finestra, ed il tempo non è dei migliori: rari ed alquanto graditi sprazzi di sole vanno e vengono, e si posano per pochi istanti su queste mie pagine come un sorriso di partecipazione e condivisione. Sono sola in casa. Oggi è uno di quei giorni, in cui, aprendo gli occhi, stiracchiandomi un po’, allungando una mano sull’altro guanciale, per sentire se mio marito fosse ancora lì vicino a me, accorgendomi, invece, che è già uscito di casa, decido di dedicare l’intera giornata, non a me stessa, non alla casa, non alle faccende domestiche, ma interamente alla cura dello Spirito e in questo preciso momento all’attività che amo di più: scrivere! Appena alzata, la prima cosa che ho fatto, mentre ancora un po’ assonnata e sbadigliante mi dirigevo in cucina per farmi un caffè, forse spiritualmente plasmata dalla credenza in Colui che sin da bambini ci hanno insegnato a pregare ed ascoltare, è stata salutare il mio Angelo Custode, e con un sorriso sornione gli ho detto: -Lo so, lo so che ci sei!-, quasi come se lui, un attimo prima che io mentalmente gli riferissi queste parole, mi avesse solleticato l’orecchio, chiedendo: -Lo sai che non sei sola?- E’ in questa nuova giornata da poco cominciata, che un felice ricordo, mi è tornato vivido alla mente, un pensiero che mi infonde gioia e che ancora oggi, a distanza di tempo dall’accaduto, mi stupisce profondamente e mi fa sorridere di cuore, perché ancora adesso non mi capacito di come tutto sia potuto accadere.

Tutto ebbe inizio una mattina, di qualche mese fa, quando mi risvegliai in preda ad una sensazione di disagio, come se l’armonia distorta che aveva tenuta occupata la mia mente durante il sonno, e credo per quasi tutta la notte, proseguisse ora, da sveglia e indaffarata, a tiranneggiare i miei pensieri, mentre come ogni giorno portavo avanti le mie faccende domestiche e famigliari. Questa pesante sensazione era strettamente legata ad un sogno, i cui fotogrammi, anche ora che ero desta e vigile, perché completamente affaccendata, continuavano a scorrermi davanti agli occhi, come un ciclo inarrestabile, quasi come se qualcuno mi stesse suggerendo di vederle e rivederle, per impararle a memoria e non dimenticarle più. Così fu. Raramente io mi ricordo i sogni al risveglio, almeno che non abbiano per me un profondo significato.

Ma proprio quel sogno di cui non sapevo spiegarmi il senso, tanto era strano e inverosimile, apparentemente banale e senza alcun messaggio recondito logico, per molti giorni, mesi, mi restò dentro, ed anche se non lo “vedevo” e ripercorrevo più con il pensiero, ormai lui era lì, ben impresso nella mia memoria e non solo… Considerando il segno profondo che avrebbe lasciato, di lì a poco, nella mia Anima! Infatti, qualche tempo dopo, l’orologio che scandisce gli attimi di un’intera esistenza, avrebbe evidenziato, con un tic-tac più rumoroso e diverso dal solito, un preciso istante in cui, quel sogno, improvvisamente (senza cioè che io me lo aspettassi perché assorta in altri pensieri), con tutta la sua forza e il suo peso sarebbe tornato a galla aiutandoci, a me e mio marito, nel momento del bisogno. Tant’è che ancora oggi, ormai a distanza di circa 10 mesi, è stampato nei miei ricordi come un qualsiasi fatto realmente vissuto, forse perché, fu proprio in quella inaspettata circostanza che si materializzò, trasformandosi dallo stato “onirico” allo stato di “realmente accaduto”; e a questo punto paragonato a quanto grande sia stato il suo significato spirituale, credo che non lascerà più i miei pensieri per tutta la durata della mia vita, fosse essa di un giorno ancora o di 100 anni! Sintetizzando di molto, il sogno in questione era questo : ci trovavamo su una strada statale, in un tratto in cui non era possibile proseguire il viaggio. Così ci fermammo, e scendemmo tutti dall’auto. Tutti? Sì. Infatti, neanche avessimo avuto un autobus, mi accorsi che io e mio marito in quel viaggio non eravamo soli, ma a viaggiare con noi, c’erano una decina di persone, tra famigliari e amici. Ora, tutti fuori dalla nostra “super-auto”, e rumorosi sulla piazzola di sosta ci chiedevamo come poter proseguire il viaggio, la cui meta era arrivare appunto al nostro paese natale, dove avremmo partecipato al Matrimonio di una mia cugina, cerimonia attesissima, che nella realtà si è svolta circa tre mesi dopo, lo strano divagare notturno della mia mente. Facendo in modo che la compagnia di viaggio non si lasciasse prendere dall’ansia, mi voltai verso mio marito per chiedergli come pensava di fare, ma…lui indossava la divisa militare e io capii subito che sarebbe dovuto tornare al lavoro e non avrebbe potuto continuare il viaggio con noi. Per un istante, presa dallo sconforto, gli dissi polemicamente: -Ho capito tocca a me….Suggeriscimi almeno la strada che devo imboccare, per poi riprendere l’autostrada!- Senza parlare, lui mi indicò l’uscita della superstrada che avrei dovuto prendere per raggirare l’ostacolo, e poi tornare sull’autostrada che ci avrebbe condotti fino a casa. Poi, mi diede qualche consiglio tecnico sulla macchina, ricordo che parlò di freni con una frase del tipo -Fai attenzione ai freni, che ci fanno più poco!- Suggeritomi ciò, ci abbracciammo forte, dandoci appuntamento per il giorno del Matrimonio, lui salì in macchina con dei commilitoni e se ne andò; io feci risalire sulla nostra autovettura la rumorosa combriccola e ripartimmo. Da quel momento in poi, il sogno fu un susseguirsi di strade ed incroci, di punti di riferimento stradali da tenere bene a mente, fino al momento in cui potei tirare un sospiro di sollievo, quando, finalmente, giunsi a riprendere la famigerata autostrada; ma di questo parlerò più dettagliatamente in seguito. Fatto sta, che molti giorni dopo arrivò per noi il momento reale della partenza, ricordo che era Venerdì, e Sabato avremmo partecipato alla Cerimonia Nuziale. Caricammo la macchina con poche cose, visto che i giorni di soggiorno erano ridotti al minimo indispensabile, poi anche noi salimmo a bordo, ma nel momento in cui mio marito accese il motore a me venne immediato e spontaneo dire ad alta voce questa frase frammentata: -Di Venere e di Marte non si viene e non si parte…- Mio marito mi guardò incuriosito ed anche io mi stupii sufficientemente, per aver proferito ciò senza quasi accorgermene, come se all’orecchio qualcuno me lo avesse suggerito e io come una cantilena lo avessi subitamente ripetuto. Fu in quel preciso istante che, in una misera frazione di secondo, le immagini del sogno afferrarono prepotentemente i miei pensieri e soprattutto la frase -Fai attenzione ai freni!- cominciò a rimbombarmi nelle orecchie sin dai primi metri di strada percorsi; con il risultato che per buona parte del viaggio annoiai mio marito ripetendo fino alla paranoia -Vai piano, non superare….è meglio andare piano, che frenare!- Lui poverino non ci capiva più niente, la macchina l’aveva fatta controllare a puntino, come è solito fare prima di affrontare qualsiasi viaggio lungo, quindi per lui non sussistevano problemi. Fino al momento in cui il pedale del freno diventò più duro e questo proprio nel punto in cui segnali stradali ci obbligavano ad accostare perché la strada era bloccata, non si poteva proseguire sulla superstrada, per la chiusura totale della galleria di fronte a noi. Ci fermammo sulla piazzola di sosta per decidere il da farsi.
 
Dejà vù! Il sogno cominciava a materializzarsi.

Seduti in auto, mio marito mi guardò e senza pensarci disse: -Eppure l’ ho fatta controllare ieri e andava tutto bene…- poi con la pelle d’oca e lo sguardo di chi sta pensando “ma come faceva a saperlo?” si voltò verso di me ed io in quel momento tutta soddisfatta seppi rispondere al suo sguardo indagatore, solo con un presuntuoso sorrisetto da “Maga-Magò”. Poi, alla sua repentina domanda: -Ed ora cosa facciamo?- io pronta risposi:-Vai te la dico io la strada!- e lui: -Tu??? Ma se non siamo mai passati di qui…come fai a sapere che strada dobbiamo fare?- ed io: -La so, la so…tu eri al lavoro!- Credo che in quell’ora di viaggio, più di una volta gli sia passata per la mente l’ipotesi che io fossi completamente impazzita e comunque riuscì a completare il discorso solo con il suo classico -Maaaaah?!- l’espressione di incertezza, cioè, che usa quando non si fida per niente di me, ma vuole proprio stare a vedere, e che deliziosamente gli fa corrugare gli zigomi, e gli apre e chiude una parentesi ai lati della bocca. Lui riaccese il motore, io invece dispiegai mentalmente la mappa di quel percorso che avevo ripetuto involontariamente, anzi quasi forzatamente tante e tante volte ed iniziai: -Adesso prendi questa uscita, e ci troveremo dentro ad un centro abitato…- Seppi da mio marito che quello era Livorno, città che noi durante i nostri numerosi viaggi avevamo sempre volontariamente saltato, per non trovarci dentro al traffico cittadino e perché tale deviazione avrebbe rubato minuti importanti al nostro viaggio, che è già lungo di per sé. Comunque ora nostro malgrado eravamo lì e ne dovevamo uscire, fino a riprendere l’autostrada, così continuai: -Adesso sulla tua sinistra c’è un lungo muraglione, dovrebbe essere un convento di suore…devi percorrerlo tutto, poi girare a sinistra e fermarti all’incrocio, magari un po’ in anticipo ricordati i freni!- E qui scoppiai a ridere divertita perché tutto combaciava e io mi sentivo completamente pervasa da una strana saggezza, ed ero lì seduta allegra, come se avessi bevuto un bicchiere di troppo, che però non mi aveva ancora ubriacato completamente, perché ero perfettamente cosciente di quello che dicevo. Eravamo all’incrocio. -E adesso?- mi chiese lui, -Adesso…- ripresi io -Gira a sinistra, percorreremo circa duecento metri di strada poi incontreremo una rotatoria, faremo mezzo giro e proseguiremo diritti.- Giunti alla rotatoria, mio marito non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie, e se non mi sapesse completamente fedele avrebbe potuto spiegarsi la cosa, pensando che io avessi fatto quella strada con qualcun altro! Ma ora anche lui sorrideva tra l’incredulo e il divertito. Mi piaceva molto il ruolo di navigatore e a dire il vero, durante i nostri viaggi di piacere, con cartine autostradali alla mano, l’ho fatto più volte, ma ora, era semplicemente qualcosa di diverso. Ripresi: -Stai attento, adesso, perché ci siamo quasi, percorreremo questa strada tutta diritta, che è un bel po’ lunga, dalla mia parte ci sono molti capannoni di ditte, quando incontreremo quello della Fiat, esattamente lì davanti, dovremo imboccare una strada sulla tua sinistra, da lì si riprende l’autostrada! Peugeot, calzature, mobilificio, pompa di benzina, eccola…ecco la Fiat metti la freccia a sinistra, ecco laggiù la strada!- Incredibile! La mia mente un videoregistratore e la realtà il film registrato poco tempo prima! Ma….All’inizio della stradina campestre, imboccata subito dopo la svolta a sinistra, nessun segnale verde indicava che più avanti c’era l’autostrada. -Ops….- disse mio marito -Questa volta la figlia segreta di Silvan, non ci ha preso!- -Eppure era qui, ne sono convinta, non posso sbagliare, vai ancora un po’ avanti!- Ma l’unico cartello stradale che incontrammo, dopo pochi metri, fu quello che segnalava “strada chiusa” e accanto a questo uno informativo, reso quasi illeggibile dal tempo, che indicava ad 1 Km il Santuario di Montenero. Mio marito girò, percorse a ritroso il viottolo sterrato, tornò sulla strada principale e solo cinquanta metri dopo trovammo la deviazione, a sinistra, che ci avrebbe riportato sull’autostrada. Ma come era possibile, che avevo sbagliato per così pochi metri? “No, il sogno era proprio in quel modo, la strada era proprio quella ne sono certa”; e mentre questi pensieri assalivano la mia mente inaspettata giunse la risposta, che io ripetei subito ad alta voce: -Dovevamo andare lì, proprio lì, non importa se non arrivavamo all’autostrada, se il sogno diceva che dovevamo andare lì, dovevamo proseguire!- -Un sogno?- fece lui. Sì. Dovevamo andare al Santuario, ma ormai era troppo tardi, eravamo già in coda al casello autostradale, così ci ripromettemmo che saremmo andati a visitarlo una Domenica. Tutto il resto del viaggio mio marito volle vederci chiaro in questa storia e io gli raccontai per filo e per segno, la causa scatenante di quel raro e quanto mai strano susseguirsi di avvenimenti.
 
La Domenica successiva mi svegliai felice e di buon ora, era il giorno della gita, il sole splendeva alto e caldo, quando ero quasi pronta svegliai mio marito e gli dissi: -Andiamo?- -Dove?- disse lui mentre sbadigliava, -Al Santuario di Montenero!- esclamai io. Eravamo di nuovo su quella stradina, non vedevo l’ora di scoprire cosa ci aspettava lassù, in cima a quel monte a picco sul mare. La sorpresa fu graditissima: una bella cittadina d’altri tempi, con negozietti di souvenirs, linde strade fatte di ciottoli; una accogliente ed ombreggiata piazza alberata con l’immancabile belvedere su un lato e sull’altro, una maestosa scalinata di marmo bianco. In evidente contrasto con la fresca penombra che ci si lasciava alle spalle, per il prepotente riverbero del sole sul candido biancore, non potevamo scrutare oltre l’ultimo gradino, tanto da far sembrare, per un gioco di luce e prospettiva che la gradinata carezzasse il cielo e lì, avvolta dal turchese, trovasse la sua fine. Il mio cuore era rapito da una strana frenesia, cosa ci avrebbe accolto lassù? Salii i gradini lentamente, tenendo stretta la mano di mio marito, quasi non volessi far finire quell’istante e quella bella sensazione, la stessa che si prova quando si riceve una sorpresa inaspettata, ma graditissima. L’ultimo gradino! Il cielo era ancora sopra di noi e noi non immersi in esso, ma a darci il benvenuto un enorme piazzale, sui cui tre lati si dispiegavano eleganti le arcate del Santuario, che ci accompagnarono, in un gentile e caloroso abbraccio, fino all’entrata della Chiesa. Era in corso una funzione, così per non disturbare le persone raccolte in preghiera, tanto i nostri passi rimbombavano, pian piano uscimmo per dirigerci nel Chiostro, ma una delle monetine che tenevo tra le mani, per depositarle nel cassetta delle offerte mi scivolò tra le dita, e mentre la raccoglievo mi accorsi di una grande porta sulla nostra sinistra sulla quale c’era scritto museo. Appena varcata quella soglia, una mista sensazione di tristezza e commozione mi colse. L’ambiente poco illuminato, doveva essere immenso. Un susseguirsi di stanze e lunghi corridoi, le pareti piene zeppe di quadri, disegni, foto, lettere, abiti vecchi o strappati, un miscuglio di cose antiche e moderne, tutte rigorosamente disposte. Cosa erano tutti quegli oggetti? Ci avvicinammo alla prima delle innumerevoli pareti tappezzate e con un tuffo al cuore scoprimmo che erano tutti Ex Voto, per Grazia Ricevuta! Una vecchia maglia di lana con il buco di un proiettile proprio vicino al cuore, un elmetto militare anch’esso perforato proprio sulla parte frontale, muri interamente drappeggiati da lettere di ringraziamento, una stanza piena di caschi e foto di moto distrutte, un’altra piena di abiti da sposa, ognuno dei quali aveva appuntato un cartellino che riportava frasi del tipo “dono il mio abito più bello e prezioso per Grazia Ricevuta”, un lungo corridoio, ai cui lati, fin sulle arcate delle porte erano appesi dipinti di avvenimenti dolorosi: alluvioni, incendi, ai quali le persone erano fortunosamente scampate, anche in tempi molto remoti. In silenzio proseguivamo mano nella mano, nell’osservare tutto ciò, mentre una domanda in noi nasceva spontanea: -Perché, un sogno ci aveva guidato fino a quel posto, di grande gioia ma anche di immenso dolore?- La risposta più plausibile, non certo quella più razionale, ma quella dettata dal cuore e soprattutto dagli ultimi incredibili avvenimenti, che avevano scosso la nostra tranquilla vita di coppia, era che forse in un modo o nell’altro anche noi eravamo stati graziati, ma quando e come era possibile che non ce ne eravamo accorti? Questi interrogativi ancora oggi non hanno una risposta, ma quello che accadde subito dopo, certamente servì a rafforzare questa nostra tesi. Nell’ultima stanza c’era un grande tavolo con sopra un voluminoso libro in cuoio, era il diario degli ospiti e io mi avvicinai per scrivere una frase e i nostri nomi, perché sentivo che anche noi avremmo dovuto lasciare il segno del nostro passaggio, e in qualche modo il nostro personale ringraziamento, anche perché più mi guardavo nelle tasche meno trovavo qualcosa di appropriato da lasciare lì, in fin dei conti noi non avevamo le prove tangibili della nostra Grazia Ricevuta. Così scrissi semplicemente, avevo solo tre righe a disposizione: “uno strano sogno, ci ha condotto qui, e se tutto questo ha un senso, ecco il nostro più profondo e sentito Grazie, per quello che è già accaduto o forse deve ancora accadere. Monia & David.” Ammutoliti eravamo di nuovo sull’enorme piazzale, così decidemmo di scattare qualche foto, desiderosi di immortalare quell’esperienza, ma anche, dopo un lungo peregrinare mentale, di tornare alla realtà. Però sulla piazza non c’era “anima viva” che potesse aiutarci, e non trovavamo nemmeno un punto rialzato dove poggiare la macchinetta e farci una foto con l’autoscatto, così decidemmo che io mi sarei messa in posa al centro della piazza e mio marito avrebbe scattato. Improvvisamente dietro di lui due figure. Un uomo e una donna di mezza età. Il signore, con repentino gesto afferrò la macchinetta, la signora, forse sua moglie, rideva divertita dello spavento che avevano appena fatto prendere a mio marito. Ma da dove erano uscite fuori quelle due persone, se fino a pochi istanti prima sul piazzale c’eravamo solo noi? Non dalla gradinata che io avevo proprio di fronte a me al momento dello scatto; non da dietro le arcate sulla destra di mio marito, erano infatti fermi alla sua sinistra, e se fossero passati dietro le sue spalle io li avrei di certo notati; non accanto a me e quindi da destra perché anche se impegnata in una posa plastica e a guardare avanti fin dentro l’obbiettivo, avrei di certo dovuto notare perlomeno il ticchettio dei loro passi sul selciato, visto che come me la signora non portava delle scarpe di gomma e proprio come me, avrebbe dovuto avere un andamento rumoroso, tipico dei tacchi sul marmo, in un anfiteatro a cielo aperto! Persi la mia posa e mi avvicinai loro. L’uomo sorridente aveva la nostra macchinetta in mano, la donna dallo sguardo sereno si appoggiava al suo braccio; aspettarono che anch’io mi avvicinassi, poi il signore disse, con un tono di voce che sembrava quasi un paterno monito: -Dovete stare insieme, sempre!- e la signora accompagnò quelle parole annuendo con la testa e allungando dolcemente un braccio verso il centro del piazzale mimando in tal modo la frase “accomodatevi insieme, la foto la scattiamo noi!” Le loro facce liete e i loro occhi sorridenti erano così accattivanti e infondevano serenità, che noi non ci pensammo due volte, fiduciosi e forse in altre situazioni ingenui, ma non in quella, voltammo loro le spalle e ridacchiando per l’inaspettata apparizione tornammo quasi al centro della piazza, poi ci voltammo e abbracciati sfoderammo il nostro -Cisssss!- migliore. Pochi passi per tornare dalla gentile coppia, il ringraziamento di rito, e le nostre mani strette in un cordiale saluto. Discesero nuovamente le scale, ma come…erano lì solo per farci una foto a noi e non per entrare nel Santuario? E come mai oltre il grazie e l’arrivederci, l’unica frase completa era stata quella pronunciata dal signore “Dovete stare insieme….” calcando la voce sul “sempre”? Mentre eravamo presi a porci queste domande l’un l’altro, io dissi a mio marito: -Aspetta….- e di corsa scesi la scalinata, erano passati pochi istanti, mezzo minuto in tutto, pochi i posti dove cercarli: la piazza, dove lo sguardo poteva giungere in ogni direzione; un piccolo Bazar, arrivai fin sulla porta, ma niente; ultima possibilità il bar, niente; l’unico vicolo cittadino, quello che costeggia il belvedere, con un solo ristorante, niente; non soddisfatta e puntigliosa per carattere con passo affrettato, arrivai fino alle scale che portano al parcheggio, niente; allora da sopra il muretto feci una panoramica del posteggio auto sottostante, niente, nessuna macchina si muoveva, nessuna stava arrivando o partendo. Niente, dei due signori neanche l’ombra, volatilizzati! Con respiro affannato tornai da mio marito, sul piazzale della chiesa, lo trovai seduto sotto gli archi che mi aspettava, come gli avevo chiesto pochi istanti prima. -Dove sei stata?- -A cercarli!- -Li hai trovati?- -No, scomparsi nel nulla!- -Questa giornata poteva concludersi solo così!- -Ah, ah, ah, andiamo a pranzo, c’è un ristorantino niente male!- Ridendo di gusto, stretti l’un l’altra, con quel paterno consiglio nel cuore, che non dimenticheremo mai più, pranzammo guardando il mare. La gioia che ci infonde questo ricordo è talmente forte, per il prezioso dono ricevuto, che fa viaggiare la mia mente lontano, e mi fa sperare che un giorno, anziani, torneremo in quel ristorante a picco sul mare, e rideremo ancora per gli inverosimili avvenimenti che ci hanno colto impreparati, ma con lo spirito disponibile, in gioventù.
 
Ah, a proposito…se andrete al Santuario di Montenero, cercate pure la mia frase su quel librone, perché questa non è una storia di fantasia !

Monia Di Biagio

Leggi alcuni racconti tratti da “Destini”:

-I sogni in un Baule
 
-Il messaggio degli Angeli
 
-La Vecchina
 
-Volo 757

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Kika

-Il Destino in un libro

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