Promessi Sposi - Cap. XXXVII
Alessandro Manzoni
Il bello era a sentirlo raccontare
le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate,
per governarsi meglio in avvenire. - Ho imparato, - diceva, - a non mettermi ne'
tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi
parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in
mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la testa
calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensato
quel che possa nascere -. E cent'altre cose.
Lucia però, non che trovasse la
dottrina falsa in sè, ma non n'era soddisfatta; le pareva, così in confuso,
che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di
pensarci sopra ogni volta, - e io, - disse un giorno al suo moralista, - cosa
volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che
sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire, - aggiunse, soavemente
sorridendo, - che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di
promettermi a voi.
Renzo, alla prima, rimase
impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai
vengono bensì spesso, perchè ci si è dato cagione; ma che la condotta più
cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o
per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li
raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché
trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla
qui, come il sugo di tutta la storia.
Il romanzo si avvia alla conclusione, l’autore, dopo aver
indugiato nel descrivere le sorti dei suoi protagonisti negli anni successivi al
matrimonio finalmente celebrato, lascia a Renzo e Lucia il compito di riannodare
le fila del discorso e porci quello che Manzoni definisce "il sugo di tutta
la storia".
Renzo e Lucia ripensano agli straordinari accadimenti
succedutisi in quegli anni e traggono da essi lezione di vita.
Questa riflessione sintetizza le vicende vissute ed evidenzia
il differente carattere dei due personaggi.
Renzo è un personaggio in movimento, non si arresta mai,
sempre in cammino da un posto all’altro, va a Milano, fugge dalla città in
tumulto nel bergamasco, vi ritorna durante la peste a cercare Lucia, poi, appena
ritrovatala, riparte per il paesello e infine ritorna a Bergamo. Renzo, se mi si
concede il paragone, è un Forrest Gump seicentesco che sempre di corsa
attraversa ingenuo e incosciente gli avvenimenti della storia.
Lucia è, al contrario, un personaggio "statico",
nel senso che non è lei che "va in cerca dei guai", ma sono loro che
vengono a cercarla. Nulla ha fatto per attirarsi le attenzioni di quel
signorotto di Don Rodrigo, è stata condotta nel monastero di Monza, luogo
ritenuto sicuro, ed è poi stata rapita dall’Innominato. Lucia sembra in balia
degli eventi, ma in realtà è lei il fulcro della storia.
Renzo passa in mezzo a mille disavventure: entra nei tumulti,
arringa alla folla, viene arrestato, fugge, si nasconde tra i cadaveri, si
traveste da monatto ecc., ma tutto ciò è accessorio, ininfluente allo
svolgimento della storia, i grandi mutamenti nascono dalla presenza passiva ma
illuminante di Lucia che diventa strumento della provvidenza divina.
Il brano si dispone su una struttura dialettica formata da
tre periodi: prima l’intervento di Renzo (tesi), poi quello di Lucia
(antitesi), infine la conclusione comune (sintesi).
"Ho imparato" è la parola chiave che Renzo ripete,
creando un’involontaria anafora, quando racconta ciò che gli è successo.
Imparare significa, infatti, apprendere conoscenze per mezzo delle esperienze e
ciò che Renzo espone sono proprio degli insegnamenti pratici appresi dall’esperienza
vissuta nelle due volte in cui si era recato a Milano.
Tutte e due le volte in una particolare situazione storica:
nella Milano in rivolta per la carestia e in quella travagliata dalla peste. Ma
anche Renzo non è lo stesso le due volte.
La prima volta che Renzo entra a Milano si evidenzia tutta la
differenza tra la città e la campagna. Il nostro Renzo, dal carattere semplice
e impulsivo, non riesce a trattenersi dall’essere coinvolto dai tumulti
causati dalla carestia, dall’assalire il forno, dal predicare alla folla.
Renzo non è scaltro tanto da comprendere gli inganni del mondo cittadino, cade
vittima della guardia e si ubriaca.
La seconda volta è già un Renzo diverso, non più il
contadino ingenuo ma uomo che ha maggior conoscenza del mondo, già temprato da
tutto ciò gli era accaduto la volta prima, più furbo ma ugualmente incapace di
evitare impreviste disavventure. Scambiato per untore e rincorso dalla folla si
getta tra i cadaveri degli appestati e si traveste poi da monatto.
Diverso è l’intervento di Lucia ed ancora una volta si
evidenzia la differenza dei due protagonisti: Renzo parla, racconta e cerca di
trarre una morale, Lucia invece ascolta, medita in silenzio, soppesa le parole
ed infine interviene, un intervento timido, umile, semplice ma nello stesso
tempo deciso che da un lato rimprovera l’atteggiamento troppo incauto di Renzo
dall’altro riafferma tutto l’amore che prova per il suo sposo, unica causa
per le disavventure a lei accadute.
Nelle parole di Lucia risuona di quale natura sia l’amore
descritto da Manzoni per il quale che tiene stretti i due sposi. Un amore
pudico, misurato, rispettoso che non cede mai alla passione, tanto diverso dall’amore
romantico che è si fonda sulla passionalità, descritta spesso come una forza
invincibile che annienta ogni altra forza e attività della vita.
La conclusione a cui giungono i nostri due eroi dopo una
lunga riflessione comune, sintesi di due diverse esperienze di vita, rivela il
vero protagonista del romanzo. la divina provvidenza.
Tutto ciò che è accaduto di bene e di male, sia che sia
stato provocato, sia che sia stato subito, è visto sotto una prospettiva
provvidenziale. Tutto serve a compiere la volontà di Dio che "rende i guai
utili per una vita migliore". E’ la fede e la fiducia in Dio a rendere
sopportabile il dramma dell’esistenza umana e a porre i personaggi del romanzo
in una situazione diversa da quella tragica dei protagonisti della produzione
teatrale (Adelchi – Conte di Carmagnola) e lirica che solo nella morte trovano
la santa quiete dei loro affanni terreni.