Il sabato del villaggio
Giacomo Leopardi
"Il sabato del villaggio", lirica composta a
Recanati nel settembre del 1829, fa parte del cosiddetto ciclo dei canti pisano-
recanatesi, la nuova stagione lirica, apertasi nel soggiorno a Pisa, dopo una
lunga pausa poetica.
Questo risorgimento della vena poetica sembra nascere su un
nuovo e sofferto equilibrio interiore che, sebbene privo di ogni illusorio
conforto, poggiando sulla consapevolezza del crudele destino umano fa di tale
coscienza un saldo appiglio sul quale tentare un memoriale recupero della felice
età passata attraverso la poetica dell’indefinito e della ricordanza.
In una struttura apparentemente descrittiva di una scena di
vita paesana, s’inserisce al termine una parte riflessiva che offre una chiave
di lettura che rilegge tutta la poesia come metafora esistenziale.
La descrizione è incentrata su uno spaccato di vita
quotidiana di un sabato prefestivo, dove i vari personaggi, intenti alle loro
opere, nel loro agire sono espressivi anche dei sentimenti che provano.
La donzelletta, di ritorno dalla campagna con in mano i fiori
per l’acconciatura domenicale, esprime nel volersi agghindare la propria
gioiosa speranza per la festa che viene, mentre la vecchierella trova nella sera
l’occasione per ricordare i tempi passati, quando a lei era data tale
possibilità.
Il suono della campana, il vociare dei fanciulli, il
fischiettare dello zappatore sono tutti segnali di un’atmosfera festosa che
avvolge ogni cosa, anche aspetti meno lieti come la vecchiaia o la "parca
mensa" che attende il lavoratore.
La stessa fatica notturna del falegname che lavora, mentre
tutti dormono, è piena di un’allegria che nasce dalla speranza del riposo
domenicale.
Alla descrizione tanto piena di speranza, si contrappone la
riflessione del poeta che mostra come la domenica sarà invece piena di
"tristezza e noia" e ognuno ritornerà alle proprie preoccupazioni.
La lirica si chiude con un tenero invito alla pazienza
rivolto al garzoncello, affinché non affretti il tempo in cui la verità si
rivelerà nella sua deludente realtà.
La positività dell’attesa in confronto al verificarsi dell’evento
è il nucleo informativo che Leopardi propone sia direttamente nella
riflessione, sia indirettamente nelle immagini.
I meccanismi linguistici innescati per dare espressione a
tale messaggio evidenziano una sapiente cura formale e stilistica.
A livello fonico risalta l’amore tipicamente leopardiano
per una parola poetica evocatrice di indeterminatezza e musicalità, nell’uso,
ad esempio, di parole apocopate ("vien", "suon", "cor",
"mortal", "legnaiuol"), dove il suono consonantico si
prolunga non trovando termine nella vocale conclusiva.
Trame assonantiche ("Onde, siccome,
suole ") ed allitterazioni ("Che il COr si riCOnforta")
sono presenti all’interno della lirica a dare struttura musicale al
componimento.
Allungamento di suono è da rilevare, infine, nella presenza
di tante parole caratterizzate dal raddoppio di consonante ("aLLegreZZa",
"aFFreTTa", "aZZuRRo") e nell’uso del dittongo con la
vocale U ("piazzUOla", "legnAIUOl", "fancIUllo").
Anche a livello morfosintattico è riscontrabile la cura per
una lingua particolarmente intensa, in particolare nell’utilizzo variegato e
inconsueto delle preposizioni, presenti in forme scomposte ("su la"),
raddoppiate ("in sul") o in locuzioni preposizionali desuete ("intra
di").
La preposizione che ha la funzione di indicare la relazione
tra le parole all’interno del discorso, perde in questo modo il suo valore
determinativo.
Le scelte lessicali si allineano al gusto leopardiano per una
lingua classica, che, composta da voci dotte e desuete, doni alla parola un
surplus evocatore di lontani piaceri poetici. Nella stessa descrizione di
momenti popolari si riscontrano forme che rimandano a campi semantici lontani e
ricercati
Valore connotativo va, inoltre, attribuito all’utilizzo,
per designare i vari personaggi, di diminutivi ("donzelletta",
"vecchierella", "garzoncello") che sembrano instaurare un
rapporto di simpatia tra essi e Leopardi, quasi un atteggiamento paternalistico
alla luce della verità di cui egli è a conoscenza.
Stilisticamente non sono tanto le figure retoriche ad elevare
il tasso artistico del componimento, ma piuttosto il sapiente gioco di immagini
afferenti a diversi campi sensoriali.
Alle sensazioni visive di natura cromatica riferite al colore
delle rose e delle viole, all’azzurro del cielo, al "biancheggiare"
della luna, subentrano , con estrema maestria, quelle acustiche del suono della
campana, dei gridi dei fanciulli, del fischiettare dello zappatore.
L’analisi metrica mostra infine come la poesia si distacchi
dal modello della canzone, dandone una nuova interpretazione tipicamente
leopardiana, Le quattro stanze che la compongono, formate da endecasillabi e
settenari, non corrispondono per numero di versi, nè seguono uno schema di
rime. Le rime presenti sono disposte liberamente in maniera espressiva, usate
anche in rima baciata quando bisogna risaltare qualche passaggio, come nel caso
di "gioia" e "noia". A creare legami di suono concorrono
anche rime all’interno del verso stesso.
Non è possibile analizzare, come avrebbe voluto fare la
critica idealistica crociana, la parte descrittiva escludendo quella riflessiva.
Anzi è la prospettiva che ci offre il Leopardi pensatore che ci fa comprendere
il vero significato della poesia.
Tutta la poesia è incentrata sul parallelismo tra il tempo
cronologico della settimana e il tempo della vita umana.
L’attesa speranzosa del dì festivo prefigura l’età
della giovinezza carica d’illusioni e di speranze che svaniranno nell’età
adulta della domenica.
"Il sabato del villaggio" non è creato su
coordinate spazio – temporali, ma è metafora di una condizione esistenziale,
rendendo capziosa qualsiasi disquisizione sui tempi di fioritura.
Nonostante il dramma che incombe sulla pace del villaggio,
Giacomo Leopardi smorza i toni; quello che prima sarebbe stato un grido di
lacerante protesta diviene amorevole invito pieno d’ironia, come se il dolore
fosse stato metabolizzato nella piena conoscenza della realtà.
La coscienza dell’arido vero, sebbene sia dolorosa, rende
Leopardi libero da ogni inganno e capace di controllare una materia tanto
scottante.
Mi piace raffigurare Leopardi come un uomo che angosciato di
fronte all’abisso creato dallo smantellamento di ogni certezza trascendentale
e religiosa operata dalla cultura illuministica e materialistica, ha fatto di
questa angoscia il mezzo per spiccare il volo verso le più alte vette della
poesia.