La pioggia nel pineto
Gabriele D'Annunzio
"La pioggia nel pineto" è la poesia
più rappresentativa della lirica di Gabriele D’Annunzio. Composta durante la
villeggiatura estiva, è inclusa nella raccolta poetica Alcyone, il terzo libro
del progettato ciclo delle Laudi, raccogliente liriche che vanno dal 1899 al
1903.
"Alcyone" è concordemente da tutti
ritenuta la migliore opera all’interno dell’immenso corpus delle produzioni
dannunziane, forse l’unica ancora a pieno apprezzabile dal gusto estetico
contemporaneo.
"Alcyone" è una vacanza, sia
perché raccoglie poesie che si collocano nell’arco temporale dell’estate,
sia perché, per stessa volontà poetica dell’autore, le liriche rappresentano
una tregua, un riposo, un time out lungo tutta un’estate rispetto alla
vitalità e alla frenesia della vita e della produzione letteraria del superuomo
dannunziano.
Il concetto di tregua non presuppone il
ripudio dell’esperienza superomistica che viene soltanto messa in parentesi e
che, in parte, traspare anche dall’eccezionalità dell’esperienza panica.
Non dimentichiamo che la fase di ripiegamento intimo nell’abbraccio della
Natura cronologicamente coincide con la fase superomostica, come facce di una
medesima medaglia, e la stessa raccolta "Alcyone" fa parte di un
progetto, le Laudi, poggiante su tale ideologia.
Al centro della lirica vi è un temporale
estivo che coglie D’Annunzio e l’amata Ermione nei pressi della pineta. Il
poeta invita la sua donna ad ascoltare la pioggia che cade su alberi e arbusti e
che gli bagna nel corpo e nell’anima. Il canto delle cicale si unisce alla
sinfonia che nasce dal cadere della pioggia con una tale varietà di suoni a
secondo della vegetazione che le piante sembrano strumenti di un orchestra,
mentre i due amanti si sentono sempre più immersi in questo mondo vegetale.
All’affievolirsi del coro delle cicale e all’intensificarsi
della pioggia subentra il canto solitario della rana. Intanto il processo d’immersione
dei sue umani giunge alla metamorfosi e divenuti ormai esseri vegetali vivono un’esperienza
di panica adesione alla Natura, vaganti nella pioggia che rinnovella l’illusorietà
della vita.
Come si evince due sono i nuclei su cui ruota
la poesia: la musicalità del cadere della pioggia e l’esperienza di panica
fusione nell’universalità della Natura.
La musica è elemento fondante della lirica,
tutta intessuta di sensazioni sonore ed acustiche. L’analisi stilistica
evidenzierà la sapiente cura posta da D’Annunzio nel ricreare le suggestioni
musicali che scaturiscono dal fenomeno atmosferico.
Il processo metamorfico è reso con un climax
ascendente che si sviluppa in tutta la lirica dalle parole non più umane d’inizio
verso, passando per i "volti silvani", per l’immersione nello "spirto
silvestre" e per le comparazione del volto molle come la foglia e delle
chiome profumate come le ginestre, fino a giungere all’apoteosi della
trasformazione finale. Il cuore diviene una pesca, le palpebre fonti d’acqua
sorgiva, i denti mandorle acerbe e quasi sembra che radici avvolgano e
avviluppino i due esseri.
La poesia strutturalmente si dispone in
quattro strofe, ognuna delle quali esordisce con un’esortazione e termina con
un vocativo "o Ermione" soggetto dell’invito iniziale, il carattere
circolare della struttura è intensificato dal ripetersi al termine della poesia
dei versi che chiudono la prima strofa.
Le scelte lessicali si allieneano al gusto
dannunziano per una parola raffinata ed elegante: gorme desuete
("ignude", "stromenti"), latinismi ("virente",
"arborea"), termini dotti e poetici ("fulgenti", "aulenti")
appartenenti a campi semantici propri di un linguaggio aristocratico e
ricercato.
Anche nella stessa nomenclatura della
vegetazione predilige piante non comuni (il mirto, le ginestre, i ginepri, le
tamerici ) appartenenti alla tradizione poetica, ad esempio il mirto sacro a
Venere è proprio il simbolo della poesia amorosa.
E’ soprattutto a livello fonico che Gabriele
D’annunzio dà la maggior prova della propria capacità di far scaturire
musica dai versi.
Tutta la poesia è sapientemente costruita da
una fitta rete di sensazioni sonore fatta di allitterazioni, anafore, assonanze,
onomatopee ed altre figure di suono che si susseguono per tutta la poesia.
Importante è smontare il meccanismo sonoro
per ammirare come D’Annunzio sappia creare una melodia tanta emozionante.
Per limiti di spazio limitiamoci ad analizzare
un esempio. Nella prima strofa per riprodurre il cadere della pioggia il poeta
utilizza la ripetizione del sintagma verbale "piove su" in posizione
anaforica, creando una struttura ritmica che riproduce la cadenza delle gocce.
A supporto della prolungata anafora si nota il
prevalere della vocale I che non solo chiude quasi tutte le rime ( -INI, -IRTI,
-OLTI, -ENTI, -ANI, -IERI) di fine verso, ma è presente per tutta la strofa
anche con legami di assonanza ("pini" –"irti") ed
insistite allitterazioni vacali (" i mirti /divini"), messe in
evidenza anche dall’uso scomposto della proposizione articola ("su
i").
Collaborano alla composizione del ritmo
sfratto e cadenzato le frequenti inarcature del verso, tendenti ad isolare
singole parole che compongono versi ternari.
Lo stesso sistema metrico ha un suo importante
ruolo musicale. Le quattro strofe che compongono la poesia, formate da versi
liberi di diversa lunghezza dal trisillabo al novenario, sebbene non seguano un
preciso schema di rime, sono fortemente unite da legami di suono: rime baciate e
alternate, parole rime ("spegne", "odo"), rime interne.
Anche la struttura morfosintattica è messa a
servizio della elaborazione musicale: la disposizione della frase i costrutti
sintattici paralleli e reiterati a dare scansione ritmica, l’utilizzo della
congiunzione E a inizio periodo a creare un continuum sonoro, il valore
connotativo ed onomatopeico dei verbi.
Tutta questa costruzione è impreziosita dall’elaborazione
stilistica e dall’uso di figure retoriche come la metafora "volti
silvani" che prefigura la metamorfosi finale, come la classica metafora
"pianto" – "pioggia" o l’uso di perifrasi ("la
figlia dell’aria" per la cicala e "la figlia del limo" per la
rana)
Vorrei porre l’attenzione a quelle figure
retoriche che all’interno della lirica offrono un surplus di significato,
superando il semplice uso esornativo, e che si dispongono su due piani
interpretativi ricalcanti i nuclei informativi espressi dal poeta: il canto
della pioggia e la naturalizzazione degli uomini.
La sinfonia della pioggia è metaforicamente
descritta come un concerto di cui sono interpreti tutti gli elementi della
natura. Le piante con i loro vari suono come "strumenti diversi sotto
innumerevoli dita" compongono le sezioni dell’orchestra, le cicale con il
loro "accordo" il coro, la rana esegue il canto solista.
Anche la metamorfosi, come detto, percorre il
componimento con un ritmo ascendente fatto di metafore ("volti
silvani"), sinestesie ("freschi pensieri"), allitterazioni
("alborea vita viventi") e paragoni ("molle come una
foglia"), fino a giungere alla trasfigurazione finale.
Tra i due piani è evidente una convergenza
dal momento che uno è funzionale dell’altro. Il poeta e la sua donna possono
fondersi nella Natura soltanto grazie al rapimento estatico provocato dalla
musica che nasce dalla pioggia che cade. I suoni naturali sono il medium per il
contatto uomo – natura, ma per giungere a tale condizione è necessario porsi
in ascolto, per questo il poeta, con gli invocativi d’inizio strofa
("taci", "ascolta"), invita l’amata a creare quello stato
ottimale fatto di silenzio e percezione.
La pioggia diviene strumento che opera il
collegamento sensorio tra l’individuo e l’universalità del mondo naturale,
essa acquista una funzione vivificante, lenitrice della individuale sofferenza,
portatrice di una nuova forza che rinnova l’illusorietà della vita e dell’amore
nell’immedesimazione con la natura.
D’Annunzio, nel suo ruolo d’introduttore
nella tradizione poetica italiana di temi e modi della poetica decadente, prende
un’immagine poetica assai cara alla poesia simbolista d’oltralpe, ma
donandole un ruolo completamente nuovo e differente.
La pioggia dannunziana non è più simbolo che
raffigura la condizione esistenziale del poeta, come in Baudelaire e Verlaine,
ma strumento conoscitivo che amplia le capacità percettive e offre esperienze
nuove.
Differente è anche il raffronto tra la
funzione assegnatale da D’Annunzio e quella solitamente affidatale dalla
tradizione letteraria.
La pioggia, nel suo essere fenomeno
atmosferico di caduta dall’alto (Cielo) verso il basso (Terra), ha assunto
spesso nel pensiero umano una connotazione religiosa di collegamento tra Dio e l’uomo,
o sotto forma di punizione o d’intervento divino.
In quest’ottica ad esempio si interpreta la
pioggia punitrice dei golosi dell’Inferno dantesco o la pioggia
provvidenzialmente catartica dei Promessi Sposi.
In D’Annunzio l’esperienza di fusione
panica non acquista valore religioso, non è un’esperienza mistica di
comunione con una realtà divina sovrumana, sebbene spesso il tono del canto di
faccia sacrale e liturgico.
Nella poesia il movimento spaziale dell’immedesimazione
con la Natura non è quello mistico verticale dal basso verso l’alto, ma si
sviluppa in un piano orizzontale con il superamento delle limitatezze
individuali per giungere ad una maggiore capacità sensitiva che coincide con l’universo
intero, in una prospettiva quindi ancora terrestre e superomistica.
Gli stessi rimandi all’azione mondatrice
della "argentea pioggia" non hanno la stessa valenza religiosa