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Ultimo canto di Saffo

Giacomo Leopardi

"Ultimo canto di Saffo", lirica composta nel 1822, chiude il ciclo delle Canzoni, prima sezione dei Canti leopardiani, sebbene si distacchi da essi per un profondo phatos lirico che l’avvicina all’atmosfera poetica dei coevi idilli.

La poesia, nella posizione in cui è collocata all’interno di una raccolta che non segue ordine cronologico, sembra assumere la funzione di snodo che segna il chiudersi della stagione degli ideali storico – patriottici ed apre la strada verso una poetica più intima e sofferta.

Il soggetto che nella lirica intona il proprio canto di lamento e di protesta è Saffo, poetessa greca del VII secolo a.C., che si gettò da una rupe per l’amore non corrisposto di Faone a causa della sua bruttezza. Nella figura di Saffo, seconda voce lirica dopo non è però difficile riconoscere lo stesso Leopardi che sembra voler decantare nella figura della poetessa una materia tanto intima e personale.

La lirica è composta da quattro stanze, ognuna delle quali ha un carattere invocativo e presuppone un interlocutore.

Nella prima strofa Saffo si rivolge agli elementi della Natura che nella notte vanno spandendo apparente serenità, dicendo che, svanita l’illusione, il loro spettacolo non si addice al dolore del proprio animo stravolto e che ora va cercando lo sconvolgimento degli elementi nella tempesta e nei tuoni e gli dona giovamento solo l’andare in luoghi impervi, mentre si scatena la pioggia, i greggi scappano e il fiume in piena risuona sbattendo sull’argine fragile.

Ancor più accorato e intenso è il grido che, nella seconda strofa, lancia alla Natura risplendente nella bellezza dei suoi elementi, grido che esprime tutto il sentimento di esclusione che Saffo prova di fronte a tanto splendore, lei che sente come ospite sgradita nel mondo. Ad accrescere l’emarginazione chiude la stanza l’immagine del mare che si ritrae alla presenza di Saffo.

Inutile è, però, il cercare un contatto con la Natura. Non le resta che domandare a se stessa quali siano le sue colpe per tanta condanna, mentre il dolore, non più solo personale, coinvolge tutti coloro che, capaci di grandi imprese, non possono esplicitare la propria virtù perché privi di bellezza.

Nell’ultima strofa, infine, si rivolge a Faone, che inconsapevole vive felice, se, come dice il poeta, uomo mortale può mai vivere felice, e gli annuncia la sua volontà di suicidarsi, prima che sopraggiunga l’età adulta a spazzare gli ultimi inganni.

La struttura della lirica si dispone su due piani: quello del contatto – illusione e quello del dolore - verità, ciascuno dei quali inversamente proporzionale dell’altro.

All’affievolirsi della possibilità di un illusorio rapporto con la natura, si contrappone il crescere d’intensità e di vastità del dolore che da personale diviene universale.

Il nucleo tematico della canzone, pertanto è il prendere coscienza da parte di Saffo della condizione d’infelicità propria di tutto il genere umano, allorché svaniscono gli amorevoli inganni e la realtà si svela nella sua tragicità.

L’analisi dei meccanismi linguisti innescati da Leopardi evidenzia come da una parte la lirica si avvicini al tono retorico e solenne delle canzoni storiche, dall’altra quanto sia carica di sentimento ed espressione di un Io poetante.

Le scelte lessicali si allineano ad un alto registro formale consono alla canzone come genere letterario, ma anche al gusto tipicamente leopardiano per una lingua classica, fatta di termini aulici ("margo", "manto", "augelli"), di latinismi ("aprico", " arbor", "gaudio"), forme dotte e desuete.

Ciò non tanto per un vezzo artistico, ma per il valore evocativo per il senso d’indeterminatezza che scaturisce dalla patina che il tempo deposita sulle parole, trasformandole in poetica fonte di piacere.

La stessa struttura sintattica ricalca costrutti di ascendenza latina, nella posposizione del soggetto, nello scambio di posizione tra soggetto e oggetto, negli iperbati e nelle costruzioni ad endiadi.

Significativo, ad esempio, è l’iperbato che separa gli attributi "dilettose e care" dal sostantivo "sembianze" introducendo tra essi l’immagini delle Erinni e del Fato, quasi a mostrarne l’azione lacerante sulle illusioni.

In linea con il timbro solenne, ma nello stesso tempo intimo, si evidenzia un alto tasso stilistico, nel quale l’utilizzo retorico non è semplicemente esornativo, ma espressivo dello stato d’animo della protagonista.

Accanto ad un linguaggio figurato e poetico prende corpo una vis polemica, un andamento ragionante che si concreta in un periodare serrato con frasi sentenziose che sembrano nella loro asciuttezza ergersi a mostrare la tragicità dell’arido vero.

La costante personificazione delle varie forme della natura, nell’invocazione, negli atteggiamenti umani del saluto e del riso, è evocativa della ricerca di un contatto frustrato dalla sostanziale apatia nei confronti della sorte di Saffo e dell’umanità in genere.

Lo stesso susseguirsi di figure mitologiche è funzionale a mostrarci la divina indifferenza da parte di qualsiasi entità trascendentale rispetto alla condizione umana, disinnescando ogni velleità religiosa.

A livello metrico, infine, la poesia si svincola, ancora in parte, dagli schemi tipici della canzone. Le quattro stanze che compongono la lirica sono formate ciascuna da 18 versi, tutti endecasillabi tranne il penultimo. Ad esse manca un preciso schema di rime dal momento che soltanto gli ultimi due versi di ogni stanza sono uniti da rima baciata. A dare andamento ritmico e sonoro alla poesia concorrono legami assonantici e le cesure create dalle forti pause sintattiche presenti nel verso.

La canzone "Ultimo canto di Saffo" testimonia lo slittamento del pensiero di Leopardi verso nuove posizioni, quasi precorrendo in alcuni tratti lo smantellamento filosofico che verrà operato nelle Operette morali.

L’infelice destino di Saffo, personaggio dell’antichità, frantuma la concezione di un tempo antico, nel quale l’uomo poteva vivere felice in rapporto simbiotico con la Natura, opposto ad un tempo moderno, vittima, invece, del decadimento morale. A questa contrapposizione, nodo chiave delle canzoni, si sostituisce la dialettica tra illusione e verità, tipica degli idilli, passando da una dimensione temporale storica (antichità e modernità) ad una dimensione umana (giovinezza - età adulta).

La gioventù è il momento dell’illusione, quando le sembianze sono dilettose e care, ma da essa è ben presto esclusa Saffo, non a causa delle vicende personali che l’affliggono, ma perché la sua sensibilità l’ha resa consapevole del dramma dietro gli amorevoli inganni.

Il dolore che viene dal vero prende il posto dell’illusione, ma non è una sofferenza solo individuale, non è neanche soltanto di tutti coloro che vivono la sua stessa sorte, è una minaccia che incombe su tutti i giovani che prima o poi dovranno fare i conti con il tempo che sopravanza a spazzare ogni illusione.

La scelta della morte, nel quale abbraccio si chiude la poesia, rappresenta un tentativo di porre rimedio agli errori del destino, allo svanire di tante sperate glorie e di tanti inganni, all’impossibilità di accettare l’illogicità della realtà. Il togliersi la vita non va romanticamente inteso come suicidio d’amore, ma ha la valenza classica di gesto estremo di rifiuto e di protesta, nel quale l’anima trova la sua catarsi.

Nella sarcastica irrisione delle figure divine, indifferenti o intente solo a dare pena all’umana prole, possiamo vedere come la lirica sia sottesa da una visione del mondo prettamente materialistica, che esclude ogni prospettiva trascendentale, mentre nell’indifferenza alle suppliche di Saffo, nel disdegnoso scostarsi del mare, nella bellezza ostenta come dileggio alla bruttezza, la Natura pare assumere i tratti malvagi che saranno caratteristici delle Operette morali.