LA SERA FIESOLANA
Gabriele D’Annunzio
"La sera fiesolana" fu composta da
Gabriele D’Annunzio il 17 giugno 1899 durante il soggiorno estivo nella
residenza di Capponcina nella campagna fiorentina ed è, quindi,
cronologicamente la prima poesia della raccolta "Alcyone", il terzo
libro del progettato ciclo poetico delle Laudi, raccogliente le liriche che
vanno appunto dal 1899 al 1903.
"Alcyone" è concordemente da tutti
considerata la migliore opera all’interno dell’immenso corpus della
produzione dannunziana, forse l’unica ancora a pieno apprezzabile dal gusto
estetico contemporaneo.
"Alcyone" è una vacanza, sia
perché raccoglie poesie che si collocano tutte nell’arco temporale dell’estate,
sia perché, per stessa volontà poetica dell’autore, le liriche rappresentano
una tregua, un time out lungo tutta un’estate rispetto alla vitalità e
frenesia della vita e della produzione letteraria del superuomo dannunziano.
Il concetto di vacanza non presuppone il
ripudio dell’esperienza superomistica, che viene soltanto messa in parentesi e
che, in parte, traspare anche nell’eccezionalità dell’esperienza panica.
Non dimentichiamo che la fase di ripiegamento intimo nell’abbraccio della
Natura e dell’Estate cronologicamente coincide con la stessa fase
superomistica e la raccolta "Alcyone" fa parte di un progetto, le
Laudi, poggiante su tale ideologia.
La poesia si articola in tre momenti,
coincidenti con la lunghezza di ciascuna strofa, secondo la stessa suddivisione
proposta da D’Annunzio, che in una prima stesura aveva dato un titolo alle
singole parti: la natività della Luna, la pioggia estiva, l’immagine delle
colline.
Il refrain della lode alla Sera svolge la
funzione di raccordo tra le singole strofe che senza di esso tenderebbero ad
acquisire un’eccessiva autonomia.
Il motivo centrale delle prime due parti sta
nel paragone sinestetico tra la qualità, che le parole acquistano nel momento
magico della Sera, e un secondo termine che si dilata nello spettacolo della
Natura.
Nel primo caso le parole sono fresche come il
fruscio delle foglie del gelso, raccolte dal meticoloso contadino mentre la luce
lunare si diffonde per la campagna e la sommerge in un’atmosfera di pace.
Nel secondo caso le parole sono dolci come la
pioggia di giugno che cade sui campi.
Al centro dell’ultima strofa vi è la
volontà del poeta di svelare i segreti racchiusi dal fiume Arno e dall’ondosa
silhouette dei colli fiorentini, che sembrano labbra chiuse da un divieto e nel
silenzio il loro fascino consolatore si rinnova e acquista sempre più vigore
amoroso.
I versi di lode alla Sera, che si alternano
alle strofe, operano un processo di antropomorfosizzazione del momento temporale
che assume le sembianze di una donna amata e viene lodata, quindi, per il suo
viso di perla, per il suo sguardo, per i vestiti profumati e per la cintura che
la cinge.
La sera è, infatti, il momento magico che
permette all’autore e all’amata, presenza indefinita che lo accompagna, di
vivere l’esperienza di compenetrazione tra l’atto linguistico della parola e
le spettacolari manifestazioni della Natura.
Quattro sono pertanto i protagonisti della
poesia: la sera, la coppia, la parola e la natura nei suoi vari aspetti.
La Sera come si è detto è il medium che
permette il transfert, lo strumento spazio – temporale senza il quale non
sarebbe possibile alcuna opzione trasfigurativa e nessun ampliamento sensoriale
della parola.
La coppia poeta e amata sono gli spettatori
– protagonisti di quest’esperienza e pertanto nella poesia trova ampio
spazio la componente amorosa ed erotica, collante a tale unione.
Le parole, intese come espressione poetica in
quanto "volontà di dire", non solo sono punto di partenza, ma
elemento portante dell’esperienza stessa. In un rapporto di osmosi, di scambio
reciproco l’espressione linguistica acquisisce dall’immersione con la Natura
un ampliamento delle capacità connotative, ma a sua volta la Natura può
attraverso le parole mostrarsi nella sua interezza.
Le parole diventano dunque "fresche"
e "dolci", nell’ora della sera quando si ampliano i campi
sensoriali, acquistano le stesse prerogative divine della Luna che porta
refrigerio e vita e lo stesso valore catartico della pioggia – pianto.
La poesia, a sua volta, diviene capace di
cogliere l’arcano, "il mistero sacro dei monti" e "il sacro
delle colline", diviene strumento rilevatore del mistero celato nella
Natura, perché si è realizzata l’unione miracolosa tra uomo, poesia e
natura.
La Natura è, per concludere, il termine di
raffronto nel quale trova compimento sia la ricerca poetica di una nuova
espressione linguistica che travalica il semplice valore delle parole, sia
quella esistenziale di tregua dalle fatiche superomistiche nella fusione panica.
La struttura metrica, come detto, si sviluppa
parallela a quella tematica, nella coincidenza di strofe e nuclei tematici e
nella funzione di raccordo attribuita ai versi di lode.
Ciascuna delle tre strofe è composta da
quattordici versi di varia lunghezza, che vanno dall’endecasillabo al quinario
che conclude ogni strofa, tutti caratterizzati da una fitta trama di rime che
non segue però uno schema uguale per tutte. Molto utilizzate, nella ricerca
dannunziana di musicalità del verso, sono le rime baciate, sia all’interno
della strofa, sia come collegamento al primo verso del "ritornello"
della lode.
Tre sono i versi che svolgono la funzione di
raccordo tra le parti: un endecasillabo che si lega in rima baciata al quinario
di fine strofa, un verso ipermetro formato da un endecasillabo e da un quinario
che ha la stessa rima assonanzata A – E in ogni ripresa e infine un quinario.
Il grande tasso di elaborazione stilistica,
presente nella struttura metrica, si evidenzia ancor più se proseguiamo la
nostra analisi sulle suggestioni foniche che fanno da supporto alla musicalità
delle rime.
Una fitta trama di allitterazioni percorre
tutto il componimento. Quella certamente più significativa ed evidente è,
senza dubbio, quella d’inizio verso, con la ripetizione della lettera F che
acquista un valore quasi onomatopeico nel riprodurre la sensazione del fruscio
delle foglie del gelso.
Tutta intessuta in una corrispondenza di suoni
è l’immagine della pioggia, tanto da sembrare che le parole si dissolvano in
musica grazie alle simmetrie ritmiche offerte dal costrutto sintattico
"bruiva su… e su… e su… e su…" e all’utilizzo delle vocali I
ed E che si susseguono per tutta la strofa con i loro limpidi toni. In questa
parte la poesia pare quasi un laboratorio artistico propedeutico al successivo
capolavoro lirico di D’Annunzio: "La pioggia nel pineto".
La medesima cura stilistica si manifesta anche
nelle scelte linguistiche operate da Gabriele D’Annunzio. L’utilizzo di un
lessico ricercato è evidenziato dalla presenza di parole aristocratiche e forme
arcaiche, fuori dall’uso quotidiano: l’utilizzo, ad esempio, della forma
scomposta della preposizione articolata ( " ne la sera", " a l’opra
lenta", "su le viti"), forme rare al posto di quelle semplici (
"opra" per opera o "tepida" per tiepida") e parole
infine del tutto lontane dai campi semantici comuni come " cerule",
"desire", "cinto" ecc..
Si notano, anche, francesismo come il verbo
"bruiva" dal francese bruire (fare rumore) e la ripresa di stilemi
tipici della poesia stilnovistici come "viso di perla".
La stessa struttura sintattica non è
trascurata dall’opera di cesello del poeta abruzzese che l’adatta alle
proprie esigenze stilistiche e poetiche, come nel caso della descrizione della
pioggia, dove la disposizione della frase è messa a servizio della musicalità
del verso.
Altri sono, inoltre, gli esempi nei quali la
morfosintassi del testo è funzionale al messaggio poetico.
La gemmazione del termine di paragone in
crescendo di immagini, sintatticamente rette dalla congiunzione comparativa
"come", ha un valore connotativo perché mette in forte risalto la
comparazione poesia – natura, centro tematico delle prime due strofe.
Valenza connotativa è da attribuire anche al
pronome personale indiretto "ti" che caratterizza tutti i verbi
reggenti la proposizione principale di tutte e tre le strofe ( "ti sien"
– "ti dirà"), dal momento che l’esperienza di fusione panica non
è scindibile dalla componente erotica – amorosa del rapporto di coppia. Anche
perché il processo comunicativo dell’atto linguistico, elemento fondante del
processo di compenetrazione uomo – natura, sarebbe incompleto in mancanza di
un interlocutore a cui rivolgersi.
In una poesia dalla così alta cura stilistica
e dalla raffinata musicalità non può non mancare un ampio campione di figure
retoriche che ne impreziosiscono il linguaggio e ne ampliano il significato.
Soprattutto sono rilevanti le sinestesie,
figure che poggiano sul confronto tra sensazioni afferenti a sfere sensoriali
differenti. I confronti tra parola e natura hanno carattere sinestetico perché,
ad esempio, associano una realtà sonora come le "parole" ad una
sensazione tattile, "il fruscio delle foglie del gelso ne le man".
Nessi metaforici invece nell’immagine della pioggia come pianto di congedo
verso la primavera ormai passata, secondo un topos letterario facilmente
percepibile che si fonda sul parallelo goccia – lacrima.
Giochi cromatici si susseguano per tutto il
componimento: il nero della scala e l’argento del tronco acquistano intensità
con l’avanzare della sera, il colore del grano sospeso tra il biondo e il
verde, l’azzurro del cielo che accoglie il diffondersi della luce lunare e il
rosa delle dita nella metafora personificante dei germogli dei pini.
La personificazione è, infatti, l’espediente
retorico che ha maggiore rilevanza nell’economia del componimento.
D’Annunzio non si limita a descrivere il
personaggio, ma tende ad umanizzarlo, attribuendogli sensazioni e azioni umane:
la campagna prova così il sentimento della speranza e compie l’azione di
berla, i germogli dei pini sono dita che giocano con l’aria, le fonti parlano
e i colli sono sorridenti.
Ma l’antromorfosizzazione più importante è
quella, già descritta, della Sera, identificata come una dama di cui sono
lodate le caratteristiche fisiche e i vestimenti.
E’ infatti sull’asse dell’umanizzazione
degli aspetti naturali che si compie il processo di compenetrazione tra poeta e
natura, in maniera differente da quanto avverrà, invece, nella poesia "La
pioggia nel pineto" dove assisteremo alla metamorfosi del poeta in entità
vegetale.
L’analisi dei campi semantici e simbolici, a
sua volta, offre lo spunto per individuare ulteriori motivi presenti nella
lirica.
Tutta una serie di riferimenti rimanda alla
sfera del sacro: il contadino che, come un druido, si attarda sospeso in un’atmosfera
magica di meticolosa ritualità, la Luna, quasi come un’entità divina,
dispensatrice di pace, il "mistero sacro dei monti" raccontato dalle
fonti dell’Arno e i "fratelli ulivi" nella loro santità che
richiama il misticismo francescano, assai presente in tutta la poesia.
Il Cantico delle Creature di San Francesco
costituisce , senza dubbio, un modello culturale a cui D’Annunzio ha fatto
riferimento nella stesura del componimento, dal momento che i versi di lode alla
Sera sono ricalcati proprio sulla struttura del Cantico ("Laudata sii per……."),
anche nello stesso comune riferimento finale alla Morte.
Il sacro, svuotato però d’ogni valenza
strettamente mistica, è posto, per il puro piacere estetico, in contrasto con
il profano della componente erotica che pervade la Natura: " i reami d’amor"
ai quali il fiume invita, la figura delle labbra che s’intagliano sulle curve
dei colli, l’amore che cresce ogni giorno più forte.
D’Annunzio utilizza moduli e immagini della
poesia sacra per esprimere un’esperienza che si colloca invece nella sfera
individuale ed umana, in questo modo, sottolineandone l’eccezionalità, opera
uno slittamento di piani che la pone in una dimensione mitica.
La stessa parola poetica, nell’atto
comparativo, si fa divina ossia capace, perché divenuta strumento sacro, di
penetrare i reconditi segreti della Natura e farsene portavoce.
Riallacciando le fila del discorso, due sono i
processi trasfigurativi contrapposti e complementari che avvengono nella poesia.
Da una parte l’umanizzazione della Natura che rende possibile il
congiungimento con il poeta, dall’altra la sacralizzazione della raggiunta
unione, collocata su di un piano al di sopra delle umane possibilità.
L’individualismo dannunziano non si dissolve
nella fusione con la Natura, dal momento che l’eccezionalità e la sacralità
dell’esperienza vissuta la rendono esclusiva, riservata solo ad un uomo dal
forte sentire, padrone della parola poetica e amante di grande intensità.
L’ideale del superuomo, anche se vissuto in
modo più delicato e distaccato, percorre sottilmente anche questa poesia. Il
poeta dell’Alcyone è sempre lo stesso che ha composto gli altri libri delle
Laudi o il Poema Paradisiaco, soltanto mostra l’altra faccia del superuomo.
Credo che non sia possibile estrapolare dalla
poliedricità dell’universo dannunziano una parte e dargli autonomia artistica
per la semplice giustificazione di avere di fronte un D’Annunzio differente e
nuovo, recidendo in questo modo qualsiasi legame tra le parti, quando, invece,
tra di esse vi è una coesione come tra tasselli di un variopinto mosaico.
Nel momento in cui il nostro Gabriele mette in
luce il suo lato oscuro, scopre la propria intimità percossa ed afflitta, svela
la propria volontà di tregua, offre contemporaneamente la chiave di lettura per
comprendere il valore sia della sua frenetica vita, sia della sua eclettica
produzione artistica.
Tutto D’Annunzio si gioca, infatti, sul
dissidio, tipicamente decadente, tra, da una parte, la ricerca di un Atto
assoluto, nel quale affermarsi, di un modello di vita e di una forma dove
aggrapparsi e trovare il proprio baricentro esistenziale e, dall’altra, il
senso di sconfitta, di fallimento, di frustrazione che come un abisso risucchia
di dare risposta alla crisi esistenziale che attanaglia l’artista di fine ‘800.
In quest’ottica si comprende come l’eclettismo
dannunziano, fatto di gesti estremi e di sperimentalismi poetici ed ideologici,
non sia un superficiale seguire la moda decadente, ma corrisponda ad una
necessità di colmare il vuoto di una generazione d’intellettuali e non,
vittima del mutamento socioculturale del tempo.
Il velleitarismo di ogni opzione poetica o
storica, il fallimento di ogni fase ideologica (estetismo, superomismo,
vitalismo ecc.), sono tutte testimonianze del dramma umano ed artistico del
poeta, emblema di un’intera generazione che nell’esteriorità della forma
cerca una sostanza che non vi è più.