Una giornata
Luigi Pirandello
"Una giornata" di Luigi Pirandello è la novella
che dà titolo ad titolo all’ultimo volume delle Novelle per un anno che
raccoglie le narrazioni brevi di carattere surreale scritte tra il 1932 e il
1936.
Il genere narrativo della novella è congeniale alla
weltanschauung pirandelliana e trova ampio spazio nella sua produzione
letteraria. In una narrazione breve che abbandona ogni pretesa descrittiva
naturalistica per dedicarsi allo scavo psicologico, si incastonano bene i
frammenti di una realtà frantumata e lo spazio limitato della narrazione sembra
essere misura adatta ad esprimere le sfaccettature, gli aspetti, le situazioni
proprie dell’eterno fluire della vita.
La novella presa in esame è costruita su un monologo nel
quale confluiscono sequenze, allo stesso tempo, narrative e riflessive.
All’inizio della storia il protagonista – narratore è
stato scaraventato fuori dal treno e , sbalordito e confuso, si trova nella
stazione deserta di una città che non conosce.
Lo stato di confusione ottenebra non solo quanto accaduto, ma
avviluppa ogni cosa, egli non sa chi sia, da dove sia partito, dove diretto.
Mentre erra per la città ignota, ai primi barlumi dell’alba, si accresce
ancor più la sua incertezza, incerto della stessa esistenza, della propria
materialità.
L’incontro con la folla non lo scuote dallo stato d’incoscienza,
il protagonista non riesce a comprendere, ad afferrare i motivi che guidano le
persone nel loro procedere senza incertezze.
Momento che sembra aprire uno spiraglio al riacquisto della
propria identità è il ritrovamento nel vestito di una busta contenente la foto
di una bella donna che sembra salutarlo, ma neanche una tale visione riesce a
ridestare la sua memoria.
Tutti gli avvenimenti successivi non sono in grado di
scuoterlo dal senso di estraneità alla vita che gli si svolge attorno. Entra in
una trattoria dove trattato come un ospite di riguardo consuma un pranzo che non
riesce ad apprezzare, in banca scambia un assegno di grosso taglio trovato nel
vestito ma la ricchezza ottenuta l’imbarazza, un autista lo attende per
condurlo in una "bellissima casa antica", evidentemente sua dimora, ma
anche qui si sente estraneo.
Ad aspettarlo nella camera da letto vi è la bella giovane
del ritratto con la quale passa la notte.
Tutto potrebbe sembrare un sogno, ricchezza, rispettabilità,
una casa lussuosa, una donna d’amare, se non fosse per l’inquietudine che
sottende ogni cosa.
Il risveglio mattutino, invece di far svanire il sogno e far
riacquistare al nostro eroe la coscienza della realtà, trasforma tutto in
incubo. Si ritrova immerso nella polverosa solitudine di una casa non sua e
specchiandosi si vede invecchiato e la vita passata nello spazio di una notte.
L’arrivo dei figli assieme ai nipoti accresce ancor più l’angoscia
per una vita che fugge via. Anch’essi sono vittime di un progressivo
invecchiamento che avviene proprio sotto gli occhi del protagonista che, sempre
più in preda della senescenza, li guarda con compassione.
Al susseguirsi delle varie sequenze narrative che
apparentemente dovrebbero portare al riacquisto di un’identità – forma nel
ritrovamento della propria casa, della donna amata, dei figli, si contrappone l’estraneità
a tutto quanto da parte del narratore che nel suo riflettere non riesce a
rientrare nei parametri fissi offertigli.
La struttura si dispone pertanto in due piani, quello degli
avvenimenti che sembrano svolgersi in modo irrazionale perché visti dal altro
piano, quello della riflessione.
La prospettiva da cui la materia della narrazione è
focalizzata è quella del protagonista che non riesce ad adeguarsi ad una forma,
ad un abito che non è più suo. La focalizzazione interna, dall’ottica del
narratore – protagonista, deforma la visuale della realtà, creando un’atmosfera
surreale figlia di questa incapacità di prendere coscienza del reale.
Lo stesso tempo assume una dimensione soggettiva. Se la
vicenda, come indicato anche dallo stesso titolo, si sviluppa nell’arco di una
giornata e le varie parte di esse ("notte", "alba",
"mezzogiorno", "sera") scandiscono gli avvenimenti, al
risveglio, nella seconda giornata il tempo accelera, perde ogni connotato
realistico mentre la vita si disfa sotto gli occhi del protagonista, nei figli
sconosciuti che invecchiano e nei ricordi mancanti di un’esistenza ormai
passata. E’ un tempo interiore, il tempo di chi vede la vita nel suo veloce
fluire e non riesce a fissarla in strutture rigide come fanno le altre persone
che "si muovono in mezzo senza punto badarci".
Il senso di estraneità ad una vita che non è sua, si
riverbera in uno spazio che è proiezione dell’inquietudine esistenziale: una
stazione deserta di passaggio, una città ignota illuminata da squallidi barlumi
di luce, dapprima deserta, poi popolata da uomini che sembrano automi, una
piazza livida, una casa bellissima, ma fredda, polverosa e deserta, un letto
gelato come una tomba.
Poche cose sappiamo del protagonista, dal momento che lui
stesso non sa nulla di sé. Conosciamo invece la forma che gli altri gli
attribuiscono: un uomo ricco e rispettato, salutato da tutti, "ospite di
riguardo", uno al quale non si possono negare favori, amato da una donna
bellissima e da figlie e nipoti premurosi. Ma in tutto ciò il nostro
protagonista non riesce ad identificarsi, non riesce ad aggrapparsi, a
recuperare, a ricordare, a fare suo, tutto gli si scioglie in mano come in un
sogno assurdo dal quale non riesce a svegliarsi. E’ incapace di possedere la
realtà o forse è possessore della verità.
Alla condizione conflittuale e lacerata del nostro eroe so
contrappone la solidità, la sicurezza degli altri personaggi,
"sicuri", "senza la minima incertezza", gentili e amorevoli,
felici della propria condizione anche quando la carne macera nella consunzione
del tempo.
Si delinea un rapporto di opposizione IO – ALTRI, che non
sfocia in frizioni violente, l’IO nella sua diversità non subisce alcuna
violenza, neanche quando è gettato fuori dal treno o è spinto a seguire la
folla, anche perché superficialmente l’Io si adegua alle aspettative degli
ALTRI non assumendo atti o espressioni rivelatori della propria coscienza e si
limita a guardarli "con tanta tanta compassione".
Pirandello utilizzando la tecnica del monologo interiore
riesce con maestria a tratteggiare l’inquietudine del protagonista, il suo
arrovellarsi, nel tentativo di recuperare un qualcosa ormai perduto.
I meccanismi linguistici innescati riescono bene ad esprimere
il fluire del pensiero
Il pensiero di un’anima confusa e spaesata si fonda su una
sintassi prevalentemente parattica, pezzata e confusa, piena di interrogative
dirette ed indirette, tendente, invece, a contorcersi quando entra nei meandri
dei ragionamenti.
L’uso del presente come tempo verbale ci mostra il pensiero
nel immediatezza del suo crearsi, creando una commistione tra azione e momento
riflessivo. Gli stessi dialoghi sono interiorizzati nel discorso indiretto,
mentre nella punteggiatura non è casuale il prevalere del punto interrogativo.
Il tema della novella è tipicamente pirandelliano, si rifà
alla concezione eraclitea della vita come eterno e mutevole divenire, fatta
propria dal pensiero di Pirandello.
Il protagonista è nella condizione di chi è uscito dalla
vita, anzi dalla forma che cerca di trattenere il fluire della vita, situazione
tipica della casistica pirandelliana.
A differenza degli altri personaggi dello scrittore siciliano
il nostro vive una condizione di maggiore sofferenza e conflittualità, da una
parte cerca di riacquistare una propria dimensione, dall’altra si fa avanti
lentamente la consapevolezza di una diversità rispetto agli altri.
Manca, forse, il momento epifanico dell’illuminazione,
quando attraverso un evento a volte anche banale come il fischio di un treno o
un oggetto visto sotto nuova luce, il personaggio prende coscienza della
realtà. In questa novella, invece, non conosciamo l’antefatto che ha
provocato l’evolversi degli eventi, troviamo soltanto il faticoso processo
investigativo di un’anima travolta da ciò che inspiegabilmente accade,
incapace di compiere quel atto irrazionale che rompa le convenzionalità
sociali, come il mettersi a ridere o mostrarsi stupito.
L’assenza dell’umorismo pirandelliano, sentimento del
contrario che con il sorriso fa partecipare al dramma umano, contribuisce a
rendere ancor più drammatica l’atmosfera, fatta di forti tinte surreali con
immagini grottesche e deformate, da incubo.