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Vito SicomoE'
il fondatore di Vita. Nato nel 1548, fu uno dei più insigni uomini del suo tempo.
Compì gli studi a Salamanca, in Spagna, ove ottenne la laurea in giurisprudenza con somma lode. Fu giureconsulto eminente e probabilmente lasciò degli scritti che però non si possiedono. Fu onesto, saggio e colto,
stimato dai re di Spagna e dai vicerè di Palermo che gli
affidarono le più delicate mansioni nell’ammini- strazione della giustizia, nel
Consiglio della Corona, nel Parlamento e nel tribunale della Inquisizione. Per 23 anni occupò la carica
di Avvocato fiscale della Regia Gran Corte.
Il padre era amministratore del conte di Modica, nonché barone di Calatafimi. Altri suoi parenti, pure di Calatafimi, ebbero titoli e privilegi e ricoprirono importanti cariche, il che fa pensare che la sua famiglia dovesse essere di discreto rango sociale ed economico. Si sa, ad esempio, che il fratello Michelangelo nel 1592 fu nominato pro Conservatore della terra di Calatafimi.
Il Conte di Modica, venuto a
conoscenza dell’ingegno straordinario del figlio del suo amministratore, lo
fece studiare a sue spese e lo mandò a perfezionare gli studi in Spagna –
come già detto - nella celebre università di Salamanca.
Si narra che il conte di
Modica, per ricompensare Vito Sicomo dei servizi prestatigli nella difesa delle
sue terre, gli abbia dato in dono il feudo di Cartipoli, sul quale però ogni anno doveva corrispondere al conte
una somma di denaro o dei beni in natura (frumento, orzo, etc.). Nel 1604 Vito Sicomo acquista
i diritti di piena proprietà del feudo Cartipoli, del Vurgo o Gurgo (dove c’era un laghetto), di San Cosimo, di Giudea, per un totale di 116 salme, pagando 800 onze.
Successivamente, nel 1613, acquistò le terre di Chirchiaro e le chiuse di Calemici
al prezzo di 600 onze e alcune parti di Pietra
Rinusa.
Essere proprietario di un
feudo significava allora avere una serie di diritti: poter pescare nel lago del
Gurgo, pascolare liberamente i propri armenti, cacciare, avere la giurisdizione
civile e criminale, tenere un carcere, punire i malviventi anche con la pena di
morte, avere l’immunità nel proprio territorio, poter imporre delle tasse,
istituire dogane, etc.
Ormai a Vito Sicomo, che era
divenuto un vero signore, mancava solo il titolo nobiliare ufficiale e questo
gli venne concesso il 15 settembre 1605, in una cerimonia, come si usava, nel
corso della quale egli prestò giuramento di fedeltà al Re di Spagna.
Per popolare il suo nuovo
territorio, Vito Sicomo fece sapere in giro che avrebbe dato le sue terre in
enfiteusi ai contadini che si fossero trasferiti stabilmente nella terra di Vita
con le loro famiglie. Avere la terra in enfiteusi significava garantirsi il
possesso della terra per almeno venti anni, goderne tutto il ricavato e dover
pagare ogni anno al proprietario un canone: in pratica, era come divenire dei
piccoli proprietari. A quei tempi, invece, di solito i contadini lavoravano la
terra per il padrone, quasi come degli schiavi. L’offerta di Vito Sicomo,
pertanto, fu molto allettante e così arrivarono volentieri e numerosi tanti
nuovi contadini dai paesi vicini: Salemi, Calatafimi, Gibellina, Mazara, etc.
Il nucleo del nuovo centro
era costituito dal Palazzo Baronale, da una chiesetta e da numerose casette che
sorgevano attorno.
La prima bambina nata nel
nuovo paese il 16/12/1612 fu chiamata Vita, mentre al primo nato fu dato il nome
di Vito.
Il Barone Vito Sicomo si
interessò presso il vescovo perché nella sua terra si creasse una nuova
parrocchia, alla cui cura furono incaricati due sacerdoti. Nel 1613 le nascite
furono venti: un discreto numero. Costruito e avviato il suo
paese, Vito Sicomo, però, raramente se ne stette a Vita. Poiché ricopriva
importanti cariche politiche, la sua residenza fu quasi perennemente a Palermo e
di tanto in tanto dovette recarsi alla corte del re di Spagna. A vigilare lo sviluppo del
nuovo centro da lui creato, egli pose
il fratello Michelangelo che da
Calatafimi si stabilì perciò a Vita. Altre autorità del paese, com’era
comune a quei tempi, erano:
Vito Sicomo morì all'età di 78 anni, il 7 Luglio 1626, a Palermo. Fu seppellito in una
cappella della Chiesa di Santa Zita, che era stata fatta costruire da lui.
Dalla moglie Bartolomea Vito Sicomo non ebbe però figli maschi. Per la verità, l’unico figlio maschio morì ancora piccolo. Allora, con un testamento del 1624, dispose che alla sua morte avrebbe ereditato il titolo baronale e i diritti che ne derivavano il nipote Francesco, figlio del fratello Michelangelo. E così avvenne quando, il 7 Luglio 1626, egli morì.
...curiosando...
La Baronia di Vita Dopo la morte di Vito Sicomo, per circa due secoli, Vita fu retta da altri baroni, fino al 1812, anno in cui furono aboliti i diritti feudali. Poiché l’unico figlio maschio di Vito Sicomo era morto in tenera età, per volontà dello stesso Sicomo la successione della Baronia passava ai discendenti del fratello Michelangelo e, in seguito, ai discendenti del cugino Vito Sicomo di Teseo. Si succedettero in ordine i seguenti baroni: Francesco Sicomo, figlio di Michelangelo - fratello di Vito Sicomo - dal 1626 al 1638; Nicolò Sicomo, dal 1638 al 1675; Giuseppe Sicomo, dal 1677 al 1678, e dal 1691 al 1709 (alla fine del 1678 la Regia Gran Corte tolse il governo a Giuseppe Sicomo per affidarlo, nel 1683, al figlio Gaspare Sicomo di soli nove anni, che però morì nel 1691); Giacomo Sicomo, dal 1710 al 1735: sotto il suo governo ha inizio la costruzione della chiesa Madre, progettata dall’architetto Giovanni Biagio Amico. Vincenzo Sicomo, dal 1736 al 1784: il suo fu il governo più lungo. Fu portata a termine la costruzione della Chiesa madre e venne ampliato il palazzo baronale. Nicolò Sicomo, dal 1784 al 1812: è l’ultimo dei baroni. Nel 1812, infatti, con una costituzione ispirata all’ordinamento inglese, vengono aboliti i diritti feudali. Il figlio Vincenzo eredita il titolo di barone, ma non i privilegi.
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