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Sartre

Jean Paul
SARTRE

(1905-1980)

 

 

Sartre, esponente di spicco dell'esistenzialismo, nasce a Parigi e studia alla Normale, dove conosce, tra gli altri, Husserl e Heidegger, rimanendo influenzato dal loro pensiero.
Nel 1929 conosce Simone de Beavour, cui si legherà per tutta la vita.
I primi lavori risentono dell'influenza della fenomenologia, nel 1938 pubblica il suo più famoso romanzo, La nausea.
Nel 1940, richiamato alle armi, venne fatto prigioniero dei tedeschi.
Nel 1943 pubblica L'essere e il nulla, primo lavoro propriamente filosofico. Nel dopoguerra si avvicina al pensiero marxista per poi abbandonarlo in seguito alla repressione in Ungheria. Nel 1964 riceve il premio Nobel per la letteratura, ma si rifiuta di ritirarlo.

Dopo avere appoggiato il movimento studentesco ed espresso il suo parere negativo sulla guerra del Vietnam, muore a Parigi nel 1980.

Opere principali: La nausea (1938); Immagine e coscienza (1940); L'essere e il nulla (1943); I cammini della libertà (1945-49); L'esistenzialismo è un umanismo (1946); Critica della ragione dialettica (1960); Le parole (1963).

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Sommario

1. Il primato della coscienza sulla realtà

2. La nausea: la gratuità dell'esistenza

3. Essere coscienti è nullificare

4. L'uomo progetta di essere Dio

5. L'esistenzialismo come libertà di scelta

6. La riflessioni sociale


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1. Il primato della coscienza sulla realtà

I primi studi di Sartre risentono dell'influenza della fenomenologia di Husserl. In particolare Sartre accoglie la tesi del primato della coscienza sulla realtà, per cui gli oggetti e il mondo sono il frutto di un atto della coscienza, soggettivo e intenzionale. Ciò significa che per Sartre la realtà si presenta da subito come qualcosa di sfuggente a qualsiasi oggettività, e che essa rimane il frutto del modo in cui la coscienza la concepisce, nei limiti e nei modi rappresentati dal fenomeno (ciò che si manifesta alla coscienza).

Ma Sartre, a differenza di Husserl, non ritiene importante solamente l'atto del concepire, ma ritiene fondamentali soprattutto le emozioni, gli stati emotivi della coscienza, i quali riconoscono la realtà e le danno un determinato significato più che mai soggettivo. Sartre avverte allora che è l'uomo a dare un senso e un significato al mondo, e non viceversa. La coscienza non può astenersi da dare un senso al mondo, e questo senso gli è attribuito in primo luogo dalle emozioni che l'uomo prova intenzionalmente nei confronti della realtà, la quale ne rimane inevitabilmente condizionata.


2. La nausea: la gratuità dell'esistenza

Ne La nausea questo punto di vista viene approfondito: l'uomo si trova come gettato nel mondo, indipendentemente dalla sua volontà, e il mondo è la sua contingenza (forti le analogie con il dasein di Heidegger). L'uomo si trova dunque nello stato di non poter rifiutare la sua esistenza, il mondo come contingenza significa infatti che l'esistere nel mondo e il relazionarsi con esso rappresentano una necessità che ciascun uomo non può eludere.
L'uomo, dunque, può anche pensare il nulla, ovvero può immaginare la non esistenza del mondo, ma il mondo non scompare, è sempre lì, nella sua evidenza, e anche il pensiero del nulla rientra nell'insieme delle cose esistenti.

Oltre a questo, la considerazione fenomenologica che sta al fondamento dell'esistenzialismo sartriano, non può che ammettere che non esiste alcun essere necessario (non esiste alcun Dio) in grado di garantire e di attribuire un preciso e determinato significato al mondo, infatti l'esistenza è già di per sé compiuta entro i suoi limiti, l'esistenza è assolutamente gratuita, senza scopi e senza fini che non siano quelli di rendere esistenti (e contingenti) gli uomini. La condizione di chi si sente esistere è già vissuta come realtà necessaria, seppure assurda perché senza uno scopo apparente (viviamo per vivere e per morire, gli enti ci vengono incontro come fenomeni e possiamo dedurli solo se vengono in contatto con la nostra coscienza).

La nausea che prova
Anton Roquentin, il protagonista del romanzo, proviene proprio dalla consapevolezza di essere immerso in questo condizione di sostanziale gratuità della vita, ovvero il sentire la vita come priva di un senso necessario che in altre epoche gli era stata attribuita da Dio.
La vita, secondo Roquentin, nel momento in cui ci appare come un unico e inevitabile flusso di esperienze senza un senso proprio, provoca la grande vertigine della nausea.
Sartre lamenta il fatto che la realtà non ci indichi alcun fine e alcun significato, e tuttavia, questo significato, può essere ricercato individualmente: questa possibilità aperta ad ogni soluzione è per analogia simile al meccanismo che determina l'angoscia in
Kierkegaard, seppure egli avesse trovato la soluzione nell'abbandono al puro atto di fede irrazionale.


3. Essere coscienti è nullificare

Ne L'essere e il nulla, Sartre opera una importante distinzione tra la realtà oggettiva e la coscienza che la percepisce, questa viene a configurarsi, come vedremo, come non-essere, in quanto inconsistenza rispetto all'oggettività del mondo.

L'essere, l'esistere, comporta sempre la percezione di qualcosa, percezione dell'essere-in-sé, ovvero della realtà oggettiva al di fuori di noi, della materia, ma anche di tutto ciò che noi non siamo (quindi anche gli altri uomini). l'essere-in-sé è contingente, ' semplicemente, senza scopi.

Diverso dall'in-sé è l'essere-per-sé, ovvero la nostra coscienza. La nostra coscienza è la percezione dell'in-sé, del mondo contingente che esiste indipendentemente dalla coscienza. Se gli oggetti del mondo sono in quanto contingenti (esistenti per il fatto che esistono, senza alcuno scopo) la mia coscienza, contrapposta al mondo, non può che essere nulla, ovvero non-oggetto e non-esistente.

Sartre definisce la coscienza del mondo come sua nullificazione, per via negativa: se il mondo degli oggetti non è la coscienza, la coscienza è il non-essere di questi oggetti. Qualcuno potrà dire che anche il pensato della coscienza è un ente, un essere, qualcosa che esiste, ma per Sartre la coscienza, il per-sé, è la nullificazione del mondo percepito, in quanto considerata in contrapposizione all'essenza contingente della realtà.

Sempre ne L'essere e il nulla, Sartre da una definizione della coscienza non solo per via negativa, ma anche come mancanza, eterno inseguire dell'essere qualcosa. La coscienza, il per-sé, è un continuo desiderare ciò che manca, un desiderio di completamento, un desiderio di rispecchiarci nella realtà oggettiva dell'in-sé e di viverne la stessa pienezza contingente, la quale mai potrà realizzarsi, relativamente alla coscienza.

Inoltre, per la coscienza, gli altri uomini sono ciò-che-io-non-sono, tutti gli oggetti della conoscenza (compresi gli altri uomini) partono quindi da una condizione iniziale di inconoscibilità, per cui gli altri viventi sono un nulla rispetto a me. La coscienza è un progetto di completamento di ciò che non è ancora, gli uomini desiderano continuamente ciò che ancora non hanno perché in realtà non potranno mai avere nulla completamente.


4. L'uomo progetta di essere Dio

L'uomo si rende conto anche che, in relazione al proprio destino, ogni attività umana si equivale, nel senso che è indifferente "ubriacarsi in solitudine o condurre popoli. L'uomo è una passione inutile" in quanto la realtà lo conduce comunque allo scacco, ovvero alla sconfitta inevitabile.
Sartre sostiene che l'uomo, per sfuggire all'equivalenza di ogni azione e all'inutilità delle proprie attività, progetta nientemeno di essere Dio, ovvero progetta di essere l'essere assoluto, il centro e la causa del mondo, ma è inevitabile che questo suo tentativo venga frustrato in un continuo desiderio di raggiungere l'irraggiungibile.

Inoltre questo tentativo eterno di porsi al centro dell'esistente e farsi causa del mondo viene irrimediabilmente ridimensionato dalla presenza degli altri uomini, che perseguono lo stesso obiettivo, e per questo i rapporti umani non possono che essere irrimediabilmente conflittuali (forti analogie con Schopenhauer).


5. L'esistenzialismo come libertà di scelta

Ne L'esistenzialismo come umanismo Sartre corregge in parte il suo pessimismo e promuove l'atteggiamento esistenzialista a speranza. Per l'esistenzialismo l'esistenza viene prima dell'essenza (ovvero precede l'eventualità di un principio primo rappresentato da Dio), e questo è un modo per mettere al centro della vita l'uomo e la sua libertà di scegliere da sé quale significato darsi (in sostanza la realtà non può costringerci in un ruolo perché non ha coscienza di sé, è l'uomo, come già detto, che decide quale significato darle). L'uomo ha dunque la possibilità decisiva di dare significato e valore all'esistenza in assoluta libertà rispetto a qualsiasi principio che si vuole precostituito e in questo risiede l'ottimismo di chi può decidere da sé il proprio futuro e fare da sé le proprie scelte (analogie con Epicuro).


6. La riflessione sociale

Con la Critica della ragione dialettica Sartre accetta la realtà che la vita dell'uomo possa essere influenzata anche da condizioni ambientali, e in questo si avvicina alla tesi marxiana per cui è la realtà che determina la coscienza: Sartre accetta il fatto che le condizioni materiali, sociali e storiche che si trovano a vivere gli uomini possano condizionarne in effetti la libertà, pur restando il fatto che anche la coscienza interviene con i suoi giudizi soggettivi sulla realtà. Tuttavia Sartre non accetterà mai la rigida dialettica assolutizzante che vuole l'uomo alla mercé di meccanismi storici a lui superiori che lo rendono un soggetto completamente passivo, non accetterà quindi ciò che di necessario, scientifico ed hegeliano vi era nella dottrina marxista, questo, infatti, avrebbe limitato quel senso di precarietà in cui l'uomo si trova comunque a vivere gettato senza alcuno scopo nel mondo.

Sartre sosterrà fino alla morte la libertà di scelta e la possibilità di creare valori da parte dell''uomo, non accetterà mai la tesi comunista ed hegeliana che possa esistere una legge immanente alla storia per cui l'uomo si annulla similmente a una goccia nel mare. L'esistenzialismo, nella seconda parte della vita di Sartre, sarà un baluardo contro qualsiasi limitazione del valore dell'uomo e sulla sua possibilità di essere soggetto capace di porre significati (una difesa dell'unicità del singolo analoga a quella che si trova nel pensiero di Kierkegaard), per cui da dottrina inizialmente pessimistica, l'esistenzialismo divenne possibilità di liberare l'uomo da qualsiasi principio che ne negasse la dinamicità esistenziale.

 

 

 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 12-10-2004

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