Jean
Paul
Sartre,
esponente di spicco dell'esistenzialismo, nasce a Parigi e studia alla
Normale, dove conosce, tra gli altri, Husserl
e Heidegger,
rimanendo influenzato dal loro pensiero. Dopo avere appoggiato il movimento studentesco ed espresso il suo parere negativo sulla guerra del Vietnam, muore a Parigi nel 1980. Opere principali: La nausea (1938); Immagine e coscienza (1940); L'essere e il nulla (1943); I cammini della libertà (1945-49); L'esistenzialismo è un umanismo (1946); Critica della ragione dialettica (1960); Le parole (1963). * Sommario 1. Il primato della coscienza sulla realtà 2. La nausea: la gratuità dell'esistenza 3. Essere coscienti è nullificare 4. L'uomo progetta di essere Dio 5. L'esistenzialismo come libertà di scelta
I primi studi di Sartre risentono dell'influenza della fenomenologia di Husserl. In particolare Sartre accoglie la tesi del primato della coscienza sulla realtà, per cui gli oggetti e il mondo sono il frutto di un atto della coscienza, soggettivo e intenzionale. Ciò significa che per Sartre la realtà si presenta da subito come qualcosa di sfuggente a qualsiasi oggettività, e che essa rimane il frutto del modo in cui la coscienza la concepisce, nei limiti e nei modi rappresentati dal fenomeno (ciò che si manifesta alla coscienza). Ma Sartre, a differenza di Husserl, non ritiene importante solamente l'atto del concepire, ma ritiene fondamentali soprattutto le emozioni, gli stati emotivi della coscienza, i quali riconoscono la realtà e le danno un determinato significato più che mai soggettivo. Sartre avverte allora che è l'uomo a dare un senso e un significato al mondo, e non viceversa. La coscienza non può astenersi da dare un senso al mondo, e questo senso gli è attribuito in primo luogo dalle emozioni che l'uomo prova intenzionalmente nei confronti della realtà, la quale ne rimane inevitabilmente condizionata.
Ne
La nausea questo punto di vista viene approfondito: l'uomo
si trova come gettato nel mondo, indipendentemente dalla sua volontà,
e il mondo è la sua contingenza (forti le analogie con il
dasein di
Heidegger).
L'uomo si trova dunque nello stato di non poter rifiutare la sua esistenza,
il mondo come contingenza significa infatti che l'esistere nel mondo
e il relazionarsi con esso rappresentano una necessità che ciascun
uomo non può eludere. Oltre
a questo, la considerazione fenomenologica che sta al fondamento dell'esistenzialismo
sartriano, non può che ammettere che non
esiste alcun essere necessario (non esiste alcun Dio) in grado di garantire
e di attribuire un preciso e determinato significato al mondo, infatti
l'esistenza è già di per sé compiuta entro i suoi
limiti, l'esistenza è assolutamente gratuita, senza scopi e senza
fini che non siano quelli di rendere esistenti (e contingenti) gli uomini.
La
condizione di chi si sente esistere è già vissuta come
realtà necessaria, seppure assurda perché senza uno scopo
apparente (viviamo per vivere e per morire, gli enti ci vengono incontro
come fenomeni e possiamo dedurli solo se vengono in contatto con la
nostra coscienza).
Ne L'essere e il nulla, Sartre opera una importante distinzione tra la realtà oggettiva e la coscienza che la percepisce, questa viene a configurarsi, come vedremo, come non-essere, in quanto inconsistenza rispetto all'oggettività del mondo. L'essere, l'esistere, comporta sempre la percezione di qualcosa, percezione dell'essere-in-sé, ovvero della realtà oggettiva al di fuori di noi, della materia, ma anche di tutto ciò che noi non siamo (quindi anche gli altri uomini). l'essere-in-sé è contingente, 'è' semplicemente, senza scopi. Diverso dall'in-sé è l'essere-per-sé, ovvero la nostra coscienza. La nostra coscienza è la percezione dell'in-sé, del mondo contingente che esiste indipendentemente dalla coscienza. Se gli oggetti del mondo sono in quanto contingenti (esistenti per il fatto che esistono, senza alcuno scopo) la mia coscienza, contrapposta al mondo, non può che essere nulla, ovvero non-oggetto e non-esistente. Sartre definisce la coscienza del mondo come sua nullificazione, per via negativa: se il mondo degli oggetti non è la coscienza, la coscienza è il non-essere di questi oggetti. Qualcuno potrà dire che anche il pensato della coscienza è un ente, un essere, qualcosa che esiste, ma per Sartre la coscienza, il per-sé, è la nullificazione del mondo percepito, in quanto considerata in contrapposizione all'essenza contingente della realtà.
Sempre ne L'essere
e il nulla, Sartre da una definizione della coscienza non solo per
via negativa, ma anche come mancanza, eterno inseguire dell'essere
qualcosa. La
coscienza, il per-sé, è un continuo desiderare
ciò che manca, un desiderio di completamento, un desiderio di
rispecchiarci nella realtà oggettiva dell'in-sé
e di viverne la stessa pienezza contingente, la quale mai potrà
realizzarsi, relativamente alla coscienza.
L'uomo
si rende conto anche che, in relazione al proprio destino, ogni attività
umana si equivale, nel senso che è indifferente "ubriacarsi
in solitudine o condurre popoli. L'uomo è una passione inutile"
in quanto la realtà lo conduce comunque allo scacco, ovvero alla
sconfitta inevitabile. Inoltre questo tentativo eterno di porsi al centro dell'esistente e farsi causa del mondo viene irrimediabilmente ridimensionato dalla presenza degli altri uomini, che perseguono lo stesso obiettivo, e per questo i rapporti umani non possono che essere irrimediabilmente conflittuali (forti analogie con Schopenhauer).
Ne L'esistenzialismo come umanismo Sartre corregge in parte il suo pessimismo e promuove l'atteggiamento esistenzialista a speranza. Per l'esistenzialismo l'esistenza viene prima dell'essenza (ovvero precede l'eventualità di un principio primo rappresentato da Dio), e questo è un modo per mettere al centro della vita l'uomo e la sua libertà di scegliere da sé quale significato darsi (in sostanza la realtà non può costringerci in un ruolo perché non ha coscienza di sé, è l'uomo, come già detto, che decide quale significato darle). L'uomo ha dunque la possibilità decisiva di dare significato e valore all'esistenza in assoluta libertà rispetto a qualsiasi principio che si vuole precostituito e in questo risiede l'ottimismo di chi può decidere da sé il proprio futuro e fare da sé le proprie scelte (analogie con Epicuro). Con la Critica della ragione dialettica Sartre accetta la realtà che la vita dell'uomo possa essere influenzata anche da condizioni ambientali, e in questo si avvicina alla tesi marxiana per cui è la realtà che determina la coscienza: Sartre accetta il fatto che le condizioni materiali, sociali e storiche che si trovano a vivere gli uomini possano condizionarne in effetti la libertà, pur restando il fatto che anche la coscienza interviene con i suoi giudizi soggettivi sulla realtà. Tuttavia Sartre non accetterà mai la rigida dialettica assolutizzante che vuole l'uomo alla mercé di meccanismi storici a lui superiori che lo rendono un soggetto completamente passivo, non accetterà quindi ciò che di necessario, scientifico ed hegeliano vi era nella dottrina marxista, questo, infatti, avrebbe limitato quel senso di precarietà in cui l'uomo si trova comunque a vivere gettato senza alcuno scopo nel mondo. Sartre
sosterrà fino alla morte la libertà di scelta e la possibilità
di creare valori da parte dell''uomo, non accetterà mai la tesi
comunista ed hegeliana che possa esistere una legge immanente alla storia
per cui l'uomo si annulla similmente a una goccia nel mare. L'esistenzialismo,
nella seconda parte della vita di Sartre, sarà un baluardo contro
qualsiasi limitazione del valore dell'uomo e sulla sua possibilità
di essere soggetto capace di porre significati (una difesa dell'unicità
del singolo analoga a quella che si trova nel pensiero di Kierkegaard),
per cui da dottrina inizialmente pessimistica, l'esistenzialismo divenne
possibilità di liberare l'uomo da qualsiasi principio che ne
negasse la dinamicità esistenziale.
|
Scheda
di Synt - ultimo aggiornamento 12-10-2004
|