Arthur
Constatato il fallimento del suo progetto berlinese (nessuno frequentava le sue lezioni), Schopenhauer si trasferisce a Francoforte, dover rimarrà per tutta la vita. Il successo lungamente inseguito arriva tardi, nel 1851, quando pubblicherà Paregra e Paralipomena, una raccolta di aforismi. Muore a Francoforte nel 1860. Opere principali: La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente (sua tesi di laurea) (1813); Sulla vista e sui colori (1816); Il mondo come volontà e rappresentazione (1818); Sulla volontà della natura (1836); Paregra e Paralipomena (1851). * Sommario 3. La
nolontà e gli altri modi di rimediare ai danni della volontà:
*
Schopenhauer
parte dalla filosofia di Kant quando divide il mondo in due parti: da
una parte il mondo fenomenico, ciò che apprendiamo e ci appare
dall'esperienza diretta delle cose, e dall'altra la cosa in sé,
che per Schopenhauer coincide con la volontà.
Questa non è semplicemente un impulso, una caratteristica parziale
del carattere umano, bensì una vera e propria entità a
sé, con una sua propria valenza ontologica: la volontà
è l'ente che da sempre sostiene il mondo e che sempre lo sosterrà. La volontà è presente in tutti gli esseri viventi, siano essi animali o piante, ma solo l’uomo è capace di rendersene conto, perché munito di una ragione capace di intuire la volontà, ovvero la cosa in sé. La
volontà è un impulso irrazionale e caotico, "cieco
e irresistibile impeto". Curiosamente la volontà genera
il mondo fenomenico, il quale è notoriamente ordinato e razionale.
Tutto si trova quindi sospeso sopra il magma irrazionale della volontà,
soprattutto questa rappresentazione del mondo che percepiamo, specialmente
nelle sue leggi fisiche e materiali, come un meccanismo razionale, ordinato,
determinato. La
realtà, dal canto suo, esiste, ma è come velata, nascosta
dietro un velo di interpretazioni illusorie (concetto già della
filosofia indiana dei Veda). La vera realtà è quella
della volontà, il mondo fenomenico, nella sua empiricità,
è una rappresentazione prodotta dalla volontà. Infine, per chiarire, la volontà di Schopenhauer è un istinto innato e universale alla sopravvivenza, desiderio di vita ad oltranza, anche di fronte alla presa di coscienza del destino mortale. Essa tiene in vita l'uomo e tutti gli esseri viventi indipendentemente dalle loro singole volontà; come scrive Schopenhauer "miliardi di esseri, vegetali, animali, umani, non vivono che per vivere e per continuare a vivere"... Dunque la volontà (assoluta e comune a tutti gli esseri viventi) è indipendente dalle singole volontà, per gli uomini non esiste libertà di arbitrio, essi credono di perseguire proprie finalità e prendere decisioni in piena autonomia, in realtà chi decide per loro è la volontà con il suo cieco impulso alla vita e alla sopravvivenza, all'istinto di conservazione e di perpetuazione della specie (non esiste quindi amore, solo sessualità, una sessualità vista con vergogna, perché attraverso l'atto sessuale si crea un altro essere soggetto alla volontà, e quindi alla sofferenza eterna).
Quale metodo applica Schopehauer per giustificare la sua tesi della rappresentazione? Se il mondo è la "mia" rappresentazione, allora tutto è solipsismo? Ovvero, tutto il mondo scaturisce solo da me e dalla mia volontà? In realtà Schopenhauer sostiene che la volontà si manifesta in tutti gli esseri viventi. Ma come può dimostrarlo? Quella di Schopehauer è un'ipotesi, una proposta. "Tuttavia è un'ipotesi che è confermata, secondo Schopenhauer, da una miriade di indizi" (E. Severino, La filosofia contemporanea). Il metodo di Schopenhauer non è deduttivo, ovvero non si avvale di una premessa e di una serie di affermazioni logiche conseguenti, ma è un metodo induttivo, ovvero parte dall'osservazione empirica di tutta una serie di fenomeni che servono da argomento alla formulazione della sua tesi. Schopenhauer era un sostenitore della semplificazione dei concetti e delle formulazioni, per questo tutta la sua filosofia parte dalla semplice osservazione empirica del mondo (che descrive fenomeno) e delle pulsioni interiori che si manifestano in tutti gli esseri viventi (e nella volontà Schopenhauer vedrà l'unica realtà effettiva).
Dunque il mondo per Schopenhauer è una rappresentazione della mente filtrata dalle qualità dei sensi. L'unico oggetto conosciuto nella sua realtà effettiva è il corpo di ciascun uomo, perché vissuto immediatamente "sulla propria pelle". E' nel profondo della mente, la quale è parte di questo corpo percepito nella sua totalità, che l'uomo sente e viene a contatto con la volontà. Ogni corpo percepisce e si identifica con la volontà di vivere, che è quell'impulso irrazionale ed emotivo che si trova in tutti gli uomini, per questo il corpo è lo strumento usato dalla volontà per oggettivarsi. Corpo e volontà vengono quindi a coincidere, in quanto dove vi è un corpo vi è sempre una volontà ("la volontà è la conoscenza a priori del corpo, il corpo conoscenza a priori della volontà”). E'
da questo rapporto inscindibile che, secondo Schopenhauer, nasce il
dolore esistenziale. La volontà infatti ha come caratteristica
necessaria l'infinità e l'assolutezza, mentre il corpo, essendo
soggetto alle leggi del mondo, non può che essere limitato e
mortale. "Ma domandategli [all'uomo] perchè voglia o in generale perchè voglia esistere; non saprà rispondere, anzi troverà assurda anche la sua stessa domanda. E con ciò viene a confessare di non essere altro che una volontà..." In sostanza la volontà guida l'uomo, l'uomo è alla mercè dei suoi desideri. I fini perseguiti da ogni essere vivente, le sue aspirazioni, non sono il prodotto delle singole volontà degli esseri stessi ma sono il prodotto della volontà assoluta, un'entità a sé, un gran magma caotico e in continua ebollizione che trova sfogo attraverso i singori esseri viventi proprio come le diverse bocche di un vulcano attingono alla medesima caldera. L’essenza
della vita è dunque la sofferenza, nonostante ciò Schopenhauer trova
altre due condizioni esistenziali derivanti dalla prima: il piacere
e la noia. La vita è quindi vuota pantomima, un eterno ripetersi di pulsioni che non possiamo controllare, un eterno aspirare a finalità illusorie e in continuo mutamento, finalità che non sono nostre e alle quali soggiaciamo perché impossibilitati a sfuggirne.
... Ma siamo davvero impossibilitati a sfuggirne? Schopenhauer
si domanda se esista un modo per sfuggire alla schiavitù della
volontà e liberarsi così del suo peso, se
infatti l'uomo si liberasse della volontà terrebbe a distanza,
se non annullerebbe del tutto, anche il dolore. L'arte. Con il mezzo artistico è possibile un catarsi dell’essenza umana dalla tirannia della volontà, questo è possibile tramite la contemplazione della bellezza celata nell’arte; Schopenhauer individua nella tragedia e nella musica (soprattutto in questa perché più immediata) le due forme artistiche per eccellenza. Il potere dell’arte è solo di conforto e quindi momentaneo. Tutti possono essere geni (cioè avere il genio di creare opere d’arte) e questo genio non si manifesta mai costantemente; La morale. Con la morale è possibile esercitare l’amore per l’altro (che per Schopenhauer è compassione). L'amore per l'altro è comprensione che la realtà dell'altro è la mia, in quanto la rappresentazione è cosa soggettiva io percepisco una rappresentazione dell'altro che non è esattamente l'esistenza stessa dell'altro ma è la mia rappresentazione della sua esistenza, in questo modo è possibile vincere l'egoismo volontario. Il suicidio. L'annullamento della volontà di vivere può essere raggiunta anche con il suicidio, ma Schopenhauer deplora il suicidio per due motivi: il primo motivo è che il suicidio, non è dettato da un annullamento della volontà bensì dall’insoddisfazione dell’individuo di una situazione particolare che sta vivendo; il secondo motivo è che l'annullamento di una singola volontà non intacca minimamente la volontà in sé, infatti la volontà continuerebbe a vivere, perchè assoluta e infinita. Tuttavia la via che per eccellenza porta all'annullamento della volontà è l'ascesi: Per Schopenhauer annullare la volontà significa entrare in uno stato di distacco ascetico che permette l'annullamento del desiderio di gioia e di vita. Annullando la volontà si entra in uno stato di quiete in cui ogni possibilità è indifferente, ogni sofferenza viene privata della sua base; spenta ogni volontà si spegne ogni dolore. Questo
stato di quiete viene definita da Schopenhauer nolontà
(o noluntas, contrapposta alla voluntas), ovvero
l'esperienza del nulla come fondamento ultimo del tutto, accettato con
assoluta serenità e indifferenza. Quest'ultimo è un concetto che deve molto alla filosofia orientale e al buddhismo: l'annullamento della volonta è il Nirvana, il "non bruciar più" nel fuoco della volontà, il distacco dal ciclo della vita (La Filosofia Contemporanea, Emanuele Severino). In sostanza, le pratiche ascetiche, una volta private dei loro presupposti religiosi e inquadrate in un rigido ateismo, possono essere utili alla causa dell'alleviamento del dolore esistenziale.
Il principio di ragione sufficiente è un problema storico della filosofia moderna, e proviene, come spesso accade per le cose della logica, da Aristotele. Aristotele aveva posto il problema della causa ontologica delle cose: trovando la causa per la quale una cosa "è cio che è" e non altrimenti, anche la sostanza della cosa sarebbe stata chiarita (La causa per Aristotele è da intendersi come ragion d'essere, quella caratteristica che rende una cosa certa e determinata e la priva di qualsiasi altro carattere accidentale). Successivamente,
Leibniz
distinse due tipi di ragion d'essere: Il primo tipo di ragione descrive un rapporto necessario, il suo contrario implica sempre una contraddizione, il secondo tipo di ragione descrive invece un rapporto potenziale, prendendo come causa dell'essere una qualità che non è la principale ma comunque bastevole ad indicare la cosa: in questo caso il contrario non implica una contraddizione. [contrario (riferito alla ragion d'essere)=opposto univocamente, incompatibile; contradditorio (riferito alla ragion sufficiente)=opposto ma non incompatibile, tutto ciò che è opposto ma non per questo ne costituisce il suo contrario assoluto] Per
Schopenhauer la ragione necessaria risiede semplicemente nel fatto che
una cosa esiste empiricamente, il fatto che una cosa esista, dunque,
è già bastevole come ragion d'essere
(anche dal punto di vista aristotelico).
Schopenhauer distingue quattro tipi di ragion sufficiente: 2. Ratio fiendi: la necessità fisica, secondo le leggi strettamente causali della natura; 3. Ratio essendi: la necessità matematica, secondo le leggi inconfutabili della matematica, del calcolo e della geometria; 4. Ratio agendi: la necessità morale, i motivi per i quali ciascun essere vivente, animale e non, agisce in un certo modo seguendo i dettami della propria natura. Questa legge è la meno necessaria delle quattro, essendo la più difficile da prevedere, in quanto comporta un attenta e approfondita conoscenza del carattere di ciascun individio, con tutte le sue variabili. Se
la vita è abbandono ad una cieca e schiavizzante volontà
di vivere ecco che per Schopenhauer
la
filosofia
hegeliana
non
racchiude in sé alcuna verità. L'uomo nasce in contrasto con gli altri uomini, guidati dalla volontà infinita, tutti gli uomini desiderano le stesse cose e per le stesse cose vengono frustrati. Le istituzioni nascono come necessità ordinatrice di tali istinti contrastanti e distruttivi. Non esiste alcuno spirito divino immanente che si manifesta nella storia dei popoli e delle civiltà, esiste solo la volontà e la sua legge, la realtà umana non è in sé di grande importanza, è solamente una rappresentazione, una proiezione della volontà. Schopenhauer inoltre non ammette una conoscenza totale proprio per il modo nel quale è strutturato il suo metodo di indagine: se la vita è rappresentazione soggettiva della realtà e l'unica entità che possiamo percepire nella sua totalità è la volontà (la quale lungi dall'essere razionale e totalmente irrazionale), allora la conoscenza assoluta e razionale della quale Hegel si fa portatore non ha alcuna validità. Infine
Schopenhauer polemizza sul modo oscuro di scrivere di Hegel, promuovendo
la chiarezza e l’espliticità dei concetti. Se tutto è volontà, Dio non esiste, anzi, non è nemmeno concepibile. Dio non è che una rappresentazione del bene assoluto, un desiderio umano di affermare un principio ordinatore superiore. La
volontà è ben lontana da rappresentare il concetto divino:
dove Dio (il Dio cristiano) è ordine, volontà
di benevolenza, desiderio di consolazione e finalità, la volontà
è assenza di ogni fine, di ogni desiderio di ordine e di bene,
essa è solamente un caos vitale
che vuole e difende la vita ciecamente e senza alcun progetto,
un istinto senza scopo.
"Tutto ciò si può esprimere nei termini di Schopenhauer: la ragione è al servizio dell'animalità, della volontà di vivere; ma attraverso la ragione si raggiunge la conoscenza del dolore e della via per sconfiggere il dolore, cioè la negazione della volontà di vivere". Giorgio Colli, La nascita della filosofia |