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Marx

Karl
MARX

(1818-1883)

 



Marx nasce a Treviri, da famiglia di origine ebraica, malgrado ciò non fu educato alla fede in quanto il padre, in seguito alle leggi razziali, preferì non aderire alla religione per poter esercitare la professione di avvocato.

Marx studiò a Bonn e poi a Berlino. Nel 1841 si laureò in filosofia. Dedicatosi alla carriera giornalistica, fu redattore della "Gazzetta Renana" ma in seguito alla censura e in conseguenza delle sue idee rivoluzionarie si vide costretto a trasferirsi a Parigi. Qui conobbe Engels, Proudhon, e Bakunin, ovvero anarchici e precursori di quel più vasto e organico movimento politico che fu il socialismo (e quindi il comunismo).

Nel 1848, assieme ad Engels (che diventerà il suo più stretto collaboratore), pubblica a Bruxelles il Manifesto del partito comunista. Espulso anche da Bruxelles si trasferì definitivamente a Londra, dove per mantenere la famiglia si vide costretto ad accettare gli aiuti economici del compagno Engels.

Nel 1864 fondò la Prima Internazionale dei lavoratori, a conferma del suo attivo impegno politico in favore degli operai e delle classi meno abbienti. Nel 1867 vide la stampa il primo libro del Capitale, la sua più celebre e monumentale opera, pubblicata interamente in tre volumi (1885 il secondo, 1894 il terzo).

Morì a Londra nel 1883.

Opere principali: Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro (sua tesi di laurea, 1841); Tesi su Feuerbach (1845); La sacra famiglia (1845); L'ideologia tedesca (1846); Miseria della filosofia (1847); Manifesto del partito comunista (1848); Critica dell'economia politica (1859); Il Capitale (1867-1894).

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Sommario

1. La realtà determina la coscienza

2. Struttura economica e sovrastruttura ideologica

3. Lotta di classe e critica della prassi

4. Contraddizione interna ai sistemi economici

5. L'alienazione alla base del sistema capitalista

6. Il plusvalore: le cause economiche dello sviluppo storico

7. Il superamento del capitalismo: il comunismo

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1. La realtà determina la coscienza

Il sistema filosofico di Marx fonda le sue basi su un assunto di partenza: non è la coscienza degli uomini a determinare la loro condizione sociale, ma è la loro condizione sociale a determinarne la coscienza; ovvero, la condizione sociale influisce in modo determinante sul tipo di giudizi che si formano nella mente, lo stesso contenuto della mente, le idee, i desideri, le aspettative, sono condizionate in modo preminente dall'ambiente sociale in cui l'uomo si trova a vivere. Il mondo empirico e contingente dei rapporti sociali ma, soprattutto e come vedremo meglio in seguito, dei rapporti economici, vengono a determinare e ad essere la prima e vera causa del modo in cui l'uomo pensa la realtà.

Questo punto di vista è già una critica importante al sistema filosofico di Hegel, per il quale la coscienza determina ed è essa stessa la realtà; in effetti, la posizione di Marx inverte i termini della questione e concede la preminenza alla realtà rispetto alla coscienza. Anche la posizione di Feuerbach viene criticata: se è vero che riconducendo tutto all'uomo Feuerbach aveva posto il problema della natura umana di ogni entità eterna presente alla coscienza (prima fra tutte quella di Dio), Marx avverte che in Feuerbach, come in tutti i pensatori precedenti, l'errore vuole essere superato solamente nella coscienza, per cui basta cambiare il modo di pensare per eliminare l'errore, mentre Marx mette in risalto che l'errore può venire superato solo con un cambiamento sostanziale della stessa realtà in cui gli uomini si trovano a vivere, così che, una volta cambiata la realtà, questa determini in modo nuovo anche la coscienza (il tema della critica della prassi sarà approfondito nel capitolo 3).

Queste affermazioni traggono origine dalla volontà di Marx di attenersi principalmente ai dati empiricamente osservabili in modo tale da fondare un sistema filosofico che abbia in sé i caratteri scientifici propri della fisica. Il materialismo di Marx si sviluppa quindi entro l'affermazione che è nella realtà empirica che scaturisce la verità della coscienza, poiché la coscienza è determinata dai dati empirici.


2. Struttura economica e sovrastruttura ideologica

Nella realtà gli uomini si trovano in rapporti determinati di produzione dei loro mezzi di sussistenza. Questo significa che nelle varie epoche della storia gli uomini sono costretti a vivere, indipendentemente dalla loro volontà, in un determinato assetto economico attraverso il quale producono i mezzi necessari alla loro sopravvivenza. L'aspetto economico dell'uomo è connaturato ad esso, la produzione dei mezzi che servono a vivere diventa un atto sociale attraverso il quale ogni uomo entra in contatto con gli altri: l'economia è alla base dell'attività umana, ogni attività parte da presupposti economici.

Questo significa che nell'esistenza e nella storia dell'uomo si possono riscontrare una struttura e una sovrastruttura: la struttura è la base economica, la condizione dei rapporti di produzione in cui si viene a trovare l'uomo in una determinata fase del suo percorso storico, la sovrastruttura è ogni aspetto della realtà che non è quello economico, ovvero, la cultura, la società, lo Stato, la religione, l'arte e tutti gli altri aspetti non-economici e ideologici della vita dell'uomo. Ciò significa che la religione, la cultura, l'arte, e la società di un determinato popolo in un determinato periodo della sua storia sono lo specchio di una certa struttura economica, ovvero lo specchio di un determinato modo di vivere i rapporti di produzione esistenti.

Si viene quindi a determinare quella dipendenza della coscienza (l'ideologia e la cultura) dalla realtà (i rapporti economici reali e materiali che si instaurano tra gli uomini) che è la tesi principale del pensiero di Marx. L'uomo pensa determinate cose, ha una certa visione della società, della cultura, dell'arte e della religione proprio in forza di questa dipendenza dai dati reali ed economici. L'uomo pensa in un certo modo perché in un certo modo vive la sua condizione reale, e non un'altra. La coscienza dell'uomo è quindi condizionata, più o meno consapevolmente, da quella stessa attività che egli stesso è costretto a porre in essere per garantire la sua sussistenza e la sua sopravvivenza.


3. Lotta di classe e critica della prassi

Per comprendere realmente ciò che un uomo è in un determinato periodo della sua storia non si può poggiare quindi sulle opinioni che l'uomo ha di se stesso (che rappresentano la sovrastruttura ideologica) ma occorre capire in che momento dello sviluppo delle forze produttive si trova a vivere. In questo modo, per avere una conoscenza corretta dell'uomo, non si parte dall'opinabile contenuto della sua coscienza, inevitabilmente soggettivo, ma dall'oggettività dei dati di fatto, empirici e constatabili, che si esprimono nell'attività economica che lo stesso uomo, necessariamente, pone in essere.

Il destino dell'uomo nella storia è quello di vivere una contraddizione che nasce nella struttura economica. I rapporti di produzione in cui si è trovato l'uomo durante l'intero sviluppo della sua storia si manifestano palesemente nei rapporti di proprietà, ovvero nel modo in cui si possiedono i mezzi che servono a produrre le cose necessarie alla sua sussistenza. Nella struttura economica vengono a crearsi due classi di uomini: una che detiene i mezzi di produzione e una che rappresenta la forza lavoro, la classe che produce i beni utilizzando mezzi di produzione che non sono di loro proprietà.

Durante il corso della storia, nel periodo schiavistico dell'antichità, le classi egemoni, i cittadini e i patrizi rappresentavano la classe dominante, la classe che deteneva i mezzi di produzione, mentre gli schiavi, e in diversa misura i plebei, erano la forza lavoro. Nel periodo medioevale, allo stesso modo, i signori della nobiltà feudale detenevano la proprietà di quei mezzi che i servi della gleba utilizzavano per produrre i beni di cui non erano naturali possessori. Anche nel periodo contemporaneo a Marx, il periodo dello sviluppo industriale, si assiste alla divisione in classi: da un lato i capitalisti, coloro che detengono il capitale e le industrie, ovvero i mezzi di produzione, e dall'altro i proletari, gli operai che lavorano nella fabbrica producendo i beni con mezzi di produzione in possesso di altri.

Si assiste, dunque, e questa secondo Marx è una legge storica universale, ad uno scontro perenne tra due classi, quella che detiene in proprietà i mezzi di produzione e quella che produce beni utilizzando quegli stessi mezzi che non saranno mai di loro proprietà. La prima classe sarà destinata inevitabilmente a dominare sulla seconda.

Per rimuovere questa ingiustizia, vera e propria contraddizione interna al sistema economico di ogni epoca, secondo Marx e come si è già accennato nel primo capitolo, non è possibile intervenire per via puramente mentale, ma occorre intervenire nella struttura stessa del sistema economico in modo da rimuovere concretamente e materialmente le cause di tale contraddizione. Tale rimozione avviene nella storia nei periodi di rivoluzione, ovvero in quelle epoche in cui gli uomini delle classi sfruttate sono in grado di comprendere la loro situazione e di cambiare i rapporti di forza all'interno della struttura economica. Questa è la critica della prassi, ovvero il rivolgersi a una lettura critica dei fenomeni reali dell'esistenza (la prassi, la pratica) e non agli sviluppi della critica teorica, la quale, come si è visto, viene determinata dalla realtà pratica.

Dunque Marx critica Feuerbach in questo senso: una volta scoperto che la famiglia terrena (l'organizzazione sociale degli uomini) è il segreto della Sacra Famiglia (ovvero della religione), la stessa famiglia terrena è la prima che deve essere criticata e rivoltata in modo tale da cambiare quelle stesse ideologie (cultura e religione) che sono espressione dello stato corrente dei rapporti di produzione.


4. Contraddizione interna ai sistemi economici

"A un certo punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con l'organizzazione sociale del lavoro, cioè con i rapporti di produzione esistenti e quindi con i rapporti di proprietà." (K. Marx). Ciò significa che le forze produttive materiali, ovvero la forza lavoro, la classe che produce ma non detiene i mezzi di produzione, non si trovano più in accordo con il sistema socio-economico esistente. Ad un certo punto del divenire storico, le classi dominate non si riconoscono più in quel sistema di lavoro che all'inizio aveva permesso la loro stessa esistenza. Il sistema di lavoro e di produzione espressione della classe dominante tende a conservare lo stato di cose, un cambiamento, infatti, comporterebbe uno sconvolgimento sociale tale che i dominanti non sarebbero più sicuri di trovarsi nella posizione di dominio.

Queste fasi di rivoluzione, in cui una classe preme sull'altra per il cambiamento, si riscontrano in tutti i periodi di passaggio da un modello di produzione all'altro: così fu nel passaggio dalla società schiavista a quella feudale, e da quella feudale a quella industriale-capitalista. Nel sistema capitalista i borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di produzione sono l'ultima forma che ha preso la classe dominante, la classe che intende impedire lo sviluppo della storia conservando la struttura socio-economica esistente. Il mutamento, nel sistema capitalistico, è rappresentato dai proletari, la forza lavoro delle fabbriche, che, essendo in posizione di svantaggio, premono per un cambiamento dello stato di cose esistente.

Sono i proletari che nel sistema di produzione moderno garantiscono la dialettica del processo storico e tendono a distruggere il sistema di produzione borghese. Per Marx il successivo sviluppo della società borghese porta a una forma socio-economica nuova e definitiva, in cui la rivolta della classe dominata porterà alla definitiva eliminazione delle classi e della stessa lotta di classe, annullando di fatto anche la proprietà privata (la proprietà privata dei mezzi di produzione è infatti connaturata alla classe dominante). Questo movimento reale e necessario della storia verso una società non più classista e quindi egualitaria porta a quel nuovo sistema di vita e di produzione dei beni che Marx chiama comunismo.


5. L'alienazione alla base del sistema capitalista

Gli uomini producono beni per soddisfare i propri bisogni. Tali beni hanno quindi un valore d'uso, ovvero hanno un significato in rapporto all'uso che se ne fa (l'uomo produce pane per mangiarlo, produce vestiti per indossarli, produce edifici per abitarli). Nel sistema capitalista il valore d'uso viene trasformato in valore di scambio, per cui il pane non è più prodotto solamente per soddisfare il bisogno del cibo, ma viene prodotto per essere scambiato, il pane viene prodotto per ricevere in cambio non la sazietà ma la moneta, allo stesso modo in cui un'industria edilizia produce case non per farvi abitare i propri costruttori ma per venderli ad altre persone.

In questo meccanismo si avverte una separazione tra l'oggetto prodotto e l'uso per cui è stato costruito. Chi lo produce non è più nemmeno proprietario dell'oggetto stesso, in quanto il lavoratore vende la propria capacità lavorativa al datore di lavoro (il lavoratore vende le sue capacità al capitalista, il quale risulta il vero proprietario dell'oggetto prodotto dai suoi dipendenti).
Non solo il produttore reale di un oggetto non è più il suo proprietario, ma non è nemmeno proprietario dei mezzi che servono a produrre l'oggetto. Questa separazione tra l'oggetto prodotto e la sua proprietà è l'alienazione, per cui l'oggetto acquista vita propria e autonoma rispetto al produttore: il prodotto non ha più la sua funzione originaria di soddisfare direttamente e in modo immediato il bisogno di chi lo produce.
Il lavoratore, poi, non è nemmeno in grado di ricevere l'esatto e diretto compenso derivante dalla sua produzione ma riceve invece in cambio un salario definito dal proprietario del suo lavoro.

L'alienazione è quindi la separazione tra proprietario e bene prodotto che genera disinteresse per la cosa prodotta e iniquità, poiché sarebbe equo che il produttore di un bene ne ricevesse in cambio il pieno valore di scambio invece di ricevere una parte minore di quel valore sottoforma di salario.


6. Il plusvalore: le cause economiche dello sviluppo storico

L'iniquità che si viene a creare nel sistema capitalista presenta una necessità economica, determinata quindi da aspetti pratici ed empirici.

Nel sistema capitalista l'obiettivo di chi detiene i mezzi di produzione (fabbrica, macchinari e operai) è quello di ridurre al minimo i costi in modo tale da avere un maggiore plusvalore. Cosa significa? In sostanza, il valore di un bene prodotto è determinato in varia misura da due tipi di costi: una parte è il costo dei macchinari (il capitale costante), l'altra parte il costo dei salari (il capitale variabile).

Per ottenere un guadagno reale, l'imprenditore deve aggiungere quanto più plusvalore possibile al bene prodotto sempre restando però nell'ambito di un prezzo determinato dal gioco della domanda e dell'offerta. Quando il prezzo determinato da questo gioco raggiunge un tetto limite oltre al quale rimane fuori dal mercato, l'unica soluzione per aumentare il plusvalore è abbassare i costi variabili (ovvero la forza lavoro, gli operai). L'imprenditore cercherà allora di abbassare i salari e sostituire gli operai con nuovi macchinari, dato che il progresso scientifico rende le macchine sempre più efficienti rispetto agli uomini, e questo impone all'industriale di investire in capitale costante.

Vista dalla parte dell'operaio la situazione è questa: egli vede ridurre sempre di più il suo mercato e il suo salario, è costretto quindi a lavorare per aumentare sempre di più un plusvalore di cui non sarà mai il beneficiario.

E' su questa contraddizione che si fonda la crisi del capitalismo: chi detiene i mezzi di produzione esaspera sempre di più la ricerca del plusvalore così da minimizzare i salari e massimizzare il profitto. Questa corsa al profitto ha come conseguenza un impoverimento del proletariato a fronte di un aumento incessante delle quantità di merci prodotte. Ma a fronte di una riduzione infinita dei salari viene a mancare fatalmente anche la domanda, e il mercato va in crisi di sovrapproduzione: si produce di più senza avere la possibilità di vendere. In sostanza, a fronte di una veloce crescita della forza produttiva, del ritmo di produzione, non corrisponde un'eguale velocità della diffusione del benessere, della redistribuzione del profitto.

Inoltre la continua competitività del mercato esaspererà la lotta tra le varie industrie, le quali tenderanno a monopolizzare i rispettivi mercati a scapito dei concorrenti: tutto ciò porterà, secondo Marx, ad una situazione sociale in cui vi saranno pochi capitalisti e un'enorme massa di proletari sfruttati potenzialmente distruttiva. Ecco perché la storia porterà il capitalismo ad annullarsi nel comunismo, la forma di società che rappresenta il culmine dello sviluppo storico umano.

E' da notare, ancora una volta, come il sistema filosofico di Marx trae origine dalla considerazione degli aspetti pratici dell'esistenza: è una legge economica, e non teorica, come era in Hegel nella dialettica dello Spirito Assoluto, a permettere alla storia di svilupparsi in un determinato modo.


7. Il superamento del capitalismo: il comunismo

Per capire ciò che Marx intende per comunismo, termine oggi più che caricatosi di molteplici significati in forza di una enorme sovraesposizione politica, occorre analizzare l'essenza di quel capitalismo che nel comunismo troverà la sua opposizione più radicale.

Come si è visto, l'essenza del capitalismo è l'alienazione: il capitalismo separa l'oggetto prodotto dal produttore, determinando così una separazione nello stesso tessuto sociale, nel quale gli uomini si dividono in detentori dei mezzi di produzione (classi dominanti) e forza lavoro (classi dominate). Questa divisione porta fatalmente a delle crisi, per i motivi esposti nei capitoli 5 e 6.

La soluzione al capitalismo, la nuova tappa dello sviluppo storico promossa dalle classi subordinate, è il comunismo. Esso si configura come estremità opposta al sistema di produzione capitalista: nella società comunista non esisteranno più classi e lotta di classe, non esisterà più separazione tra oggetto prodotto e produttore, i mezzi di produzione saranno di proprietà comune.

Da questo ne deriva che anche la sovrastruttura ideologica della società, da sempre espressione del sistema economico guidato dalle classi dominanti, verrà definitivamente smantellata, per cui non saranno più necessari ne lo Stato ne la religione, ne qualsiasi altra espressione del dominio di una classe sull'altra. "Il comunismo è cioè la sintesi suprema in cui viene rimossa ogni contraddizione sociale e, insieme, è la liberazione concreta dell'individuo umano." (E. Severino, La filosofia contemporanea).

Il comunismo, per Marx, è una legge necessaria, una tappa obbligata dello sviluppo storico che non trae origine da ideali astratti presenti arbitrariamente nella coscienza degli uomini, ma trae la sua legge dall'evidenza stessa dei dati pratico empirici dell'economia. Secondo Marx il comunismo è quindi la naturale e necessaria soluzione del capitalismo in un nuovo e definitivo sistema socio-economico finalmente egualitario, dopo secoli di lotte e disuguaglianze.

 


Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 10-09-2004

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