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Husserl

Edmund
HUSSERL

(1859-1938)

 

 

Husserl nasce a Prossnitz in Moravia. Si laurea a Vienna in matematica e astronomia con una tesi sul calcolo delle variazioni. A Vienna segue le lezioni di Franz Brentano, rimanendo influenzato dalla sua teoria del carattere intenzionale di ogni atto psichico. Comincia quindi a dedicarsi alla filosofia.

Successivamente ottiene importanti cattedre a Halle, poi a Gottinga e Friburgo, dove svilupperà il suo nuovo metodo filosofico, la fenomenologia, che influenzerà la sociologia, la psicologia e la psichiatria e dalla quale prenderà le mosse anche
Heidegger.

Nel 1933 è costretto a ritirarsi dall'insegnamento in seguito alle leggi raziali naziste (Husserl era di origini ebraiche, la sua cattedra sarà occupata proprio da Heidegger, che invece aderirà al nazismo, sebbene per un breve periodo e con controversa titubanza).

Alla sua morte lasciò una grande quantità di manoscritti, 45.000 pagine stenografate, note come l'Archivio Husserl di Lovanio. Da questi manoscritti saranno poi ricavati importanti volumi pubblicati postumi nel 1950, il più importante tra i quali è La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale.

Opere Principali: Filosofia dell'aritmetica (1891); Ricerche logiche (1901); La filosofia come scienza rigorosa (1910); Idee per una pura fenomenologia e una filosofia fenomenologica (1913); Meditazioni cartesiane (1931); La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1950).

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Sommario

1. Il metodo fenomenologico: il fenomeno come principio

2. L'epoché fenomenologica

3. Il residuo fenomenologico, l'intenzionalità della coscienza

4. La riduzione eidetica

5. Il 'mondo-della-vita'

6. La crisi delle scienze occidentali

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1. Il metodo fenomenologico

La filosofia di Husserl parte da un assunto fondamentale: per rendere realmente rigorosa la filosofia occorre iniziare uno studio rigoroso su quegli aspetti della realtà che sono realmente certi ed evidenti, ovvero che giungono all'uomo nella loro immediatezza: i fenomeni (dal greco phainomenon, "ciò che appare", da phainomai, "io appaio").

"Nessuna immaginabile teoria può coglierci in errore nel principio di tutti i principi: cioè che ogni visione originalmente offerente è una sorgente di conoscenza, che tutto ciò che si dà originalmente nell'intuizione (per così dire, in carne ed ossa) è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà." (da Idee per una pura fenomenologia e una filosofia fenomenologica).
In questo passo si espone la chiave del sistema filosofico di Husserl: per rendere rigorosa la scienza filosofica occorre portare l'attenzione sui fenomeni, i quali sono "le visioni originalmente offerenti", ovvero gli accadimenti che si mostrano e si offrono alla conoscenza (alla coscienza) intuitivamente e originariamente, senza alcun nascondimento. I fenomeni vanno poi considerati "nei limiti" entro cui si danno, ovvero la conoscenza deve partire da ciò che il fenomeno mostra alla coscienza (ciò le viene incontro) e non altro (ad esempio, ciò che ci viene incontro nella visione degli altri uomini è la loro presenza fisica, ma non il contenuto del loro pensiero, il quale se non ci viene comunicato, non può essere intuito in alcun modo).
L'esperienza vissuta che è l'ambito in cui i fenomeni si manifestano viene chiamata da Husserl erlebnis.

Il fenomeno della fenomenologia è quindi un concetto radicale: per la disciplina fondata da Husserl, nessuna cosa può essere considerata fenomeno se non si dà alla coscienza, cosicché ogni cosa che un uomo non percepisce degli altri uomini o delle altre cose non può essere oggetto di alcuna deduzione. Se prendiamo un albero, sarà fenomeno originariamente offerente solo la parte di albero che riusciamo a vedere, nessuna deduzione sull'esistenza delle sue radici sarà considerata metodologicamente valida per la fenomenologia.

La fenomenologia si configura così come scienza rigorosa dei fenomeni nella loro dinamicità, ovvero, scienza rigorosa del divenire (la disciplina che accoglie il mutamento e la precarietà degli stati esistenziali nel modo più originale e rigoroso possibile).


2. L'epoché fenomenologica

Se i fenomeni, seguendo il metodo fenomenologico, devono giungere alla coscienza nei limiti e nei modi entro qui si danno, allora è necessario non considerare dei fenomeni un'infinità di "pre-concetti" che si sono formati nel tempo attorno alle definizioni di ogni cosa.

Se di un albero consideriamo il fenomeno puro, come già accennato, noi ne considereremo solo il fusto e il fogliame, e solo entro la prospettiva che i nostri sensi (vista, udito, tatto) riusciranno a percepire, è necessario quindi che vengano esclusi dal computo tutte le nozioni attorno all'esistenza e alle funzioni delle radici sotterranee, tutte le nozioni scientifiche riguardanti la struttura delle cellule e le informazioni riguardanti il processo di sintesi clorofilliana.
Tale "epurazione" concettuale serve, per la fenomenologia, a mondare i fenomeni dalle nozioni acquisite per via teorica e che non vanno a formare l'originarietà dell'oggetto percepito. Questo processo di ritorno alla visione autentica e originaria delle cose è l'essenza stessa della fenomenologia: la scienza più rispettosa dell'autentico significato della realtà è quella che permette alle cose di giungere alla coscienza nel modo più autentico e originario possibile, escludendo quindi tutti i dati attorno alle cose che sono stati acquisiti per via teoretica e scientifica.

A questo punto Husserl parla di epoché fenomenologica. L'epoché classica dello scetticismo rispondeva alla necessità di sospendere il giudizio su ogni cosa vista l'irraggiungibilità sostanziale di ogni verità, diversamente, l'epoché fenomenologica risponde alla necessità di sospendere i "pre-giudizi" teorici e scientifici attorno alla verità empirica originaria costituita dal fenomeno, ovvero ciò che si mostra delle cose (delle cose non si mostra, ad esempio, la loro struttura atomica, che costituisce un "pre-giudizio" di origine scientifica).


3. Il residuo fenomenologico, l'intenzionalità della coscienza

A questo punto si possono notare analogie tra la fenomenologia di Husserl e il pensiero di Cartesio, relativamente all'idea di cogito. Una volta mondata la coscienza dall'atteggiamento teorico e scientifico che costituiscono gli atteggiamenti naturali per cui la coscienza comprende la realtà (la mente si accinge del tutto naturalmente ad astrarre e a "fare" teorie sulle cose), ciò che rimane di veramente certo e incontrovertibile della realtà è il fenomeno, ovvero l'innegabile manifestazione del mondo entro la coscienza dell'uomo. Tale sedimento originario e non eludibile delle manifestazioni delle cose è chiamato da Husserl residuo fenomenologico, ovvero ciò che non si può negare e che resta a fondamento certo della scienza fenomenologica.

Husserl introduce poi il concetto di intenzionalità della coscienza. Il contenuto della coscienza, il pensato, si identifica intenzionalmente alle cose pensate, ciò significa che i concetti che pensiamo sono il frutto di un rapporto intenzionale che sussiste tra la coscienza e ciò di cui la coscienza è cosciente. Ad esempio, quando immaginiamo un sasso, la coscienza non diventa il sasso, ma identifica intenzionalmente l'idea di sasso al "fenomeno sasso" che giunge manifestandosi alla coscienza.
La coscienza intenzionale è chiamata da Husserl anche coscienza trascendentale: "Ogni senso, ogni essere immaginabile, che si dica immanente o trascendente, cade entro la cerchia della soggettività [la coscienza] trascendentale". La coscienza che trascende ogni cosa, ovvero la coscienza pura non inerente o legata a una qualsiasi materialità, contiene intenzionalmente ogni manifestazione della realtà e delle cose, ovvero ogni manifestazione delle cose del mondo entra intenzionalmente, a motivo della natura stessa della coscienza, entro il cerchio della coscienza stessa (ciò di cui non si è coscienti, infatti, non esiste).


4. La riduzione eidetica

Oltre all'epoché fenomenologica, l'altro metodo indicato da Husserl per arrivare "all'igiene psichica" necessaria per percepire il fenomeno nella sua immediatezza e autenticità è la riduzione eidetica.

Eidetico significa relativo all'idea. In Husserl riduzione eidetica significa ridurre l'idea di un fenomeno alla sua essenza fenomenica prima e originale, priva di accessori. Riduzione eidetica significa quindi togliere dal fenomeno preso in considerazione tutti gli elementi accessori per ridurlo alla sua ultima essenza percettiva. Non è ovviamente lo stesso procedimento analizzato da Aristotele e relativo all'essenza delle cose (essenza come sostanza ontologica), la riduzione eidetica all'essenziale di Husserl fa riferimento invece all'essenza della percezione del fenomeno.

Per arrivare all'oggetto eidetico Husserl propone il metodo della variazione: presi tutti gli aspetti relativi alla percezione di un certo fenomeno, questi aspetti si sottopongono a variazione. Ciò che variando cambierà il significato del fenomeno verrà scartato, ciò che non muta il significato del fenomeno costituirà invece l'essenza percettiva del fenomeno stesso.

Ciò che rimane di una riduzione eidetica è quindi il suo residuo fenomenologico: la fenomenologia si configura così come una scienza delle essenze, ma essenze nel significato di contenuti universali della percezione che accoglie la manifestazione dei fenomeni.


5. Il 'mondo-della-vita'

Nella filosofia di Husserl si avverte, dunque, l'intenzione di ammonire l'uomo sulla possibilità che egli dia alle cose significati che si allontanano troppo dall'essenza originaria dei fenomeni che giungono alla coscienza. Lo scienziato, ad esempio, corre il rischio, nella sua abitudine a formarsi teorie attorno ai fenomeni che accadono nella fisica, di costituirsi dei "pre-concetti" sugli accadimenti, "pre-concetti" che allontanano l'uomo dalla verità originaria dei fenomeni per come si manifestano.

Il mondo è per la coscienza un flusso di percezioni (erlebnis, esperienza vissuta), e questa ricchezza percettiva troppo spesso si trova semplificata nell'atteggiamento positivista che vuole cercare in ogni fenomeno una causa, costringendo gli accadimenti del mondo entro una logica determinista. Husserl chiama allora questa ricchezza percettiva che viene in qualche modo negata dall'atteggiamento positivista "mondo-della-vita". Il mondo-della-vita è la realtà che si presenta nella sua ricchezza e nella sua complessità.

Le scienze positiviste interpretano il mondo in senso oggettivo, lo irrigidiscono entro schemi teorici semplificati. Il mondo-della-vita, con la sua ricchezza di percezioni fenomeniche pure, ingloba necessariamente anche questo atteggiamento oggettivo, in quanto ogni scienziato è pur sempre parte del mondo.
Le scienze positive commettono l'errore di considerare il mondo dato, finito e preesistente, considerandolo in modo più che mai oggettivo, escludendo dal gioco la coscienza creatrice dei soggetti (delle singole coscienze) che lo vivono nella sua effettiva complessità.


6. La crisi delle scienze occidentali

La caratteristica delle scienze positive è quella dell'astrazione rispetto al soggetto: esse trattano la realtà in modo obiettivo e astratto, eliminando qualsiasi aspetto soggettivo. Anche le scienze umanistiche (psicologia, storia, sociologia), relative quindi alla soggettività umana, tentano di strutturarsi sui metodi delle scienze oggettive semplificando i comportamenti umani, in senso scientifico. Ma il limite delle scienze oggettive, secondo Husserl, è quello di mostrare la realtà senza attribuirgli un significato, di concentrarsi sul come e non sul perché.

L'esempio è quello della storia strutturatasi a disciplina: seguendo il metodo positivista la storia viene svuotata di significato e assume l'aspetto di un eterno susseguirsi di popoli che scalzano altri popoli, di guerre e di lotte cicliche: "...le norme che volta per volta hanno fornito una direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi sempre e di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli...".

La crisi delle scienze occidentali, la perdita di significato che erode la conoscenza vera dei fenomeni, nasce da questa mancanza di senso dell'atteggiamento positivista: lo scienziato che crede di oggettivizzare la realtà è pur sempre parte di una realtà soggettiva (il mondo- della-vita), il distacco tra la scienza e la realtà della vita provoca la mancanza di senso.

La crisi della scienza, in quanto incapace di dare significato alla vita, viene vissuta come un fallimento dell'atteggiamento scientifico, giustificando così la caduta nell'irrazionale di larga parte del mondo (contemporanea ad Husserl era l'ascesa del nazismo, che di lì a poco avrebbe innescato la II° guerra mondiale).
In realtà l'atteggiamento scientifico è perfettamente legittimo e valido entro i limiti dell'oggetto, l'errore è estendere lo stesso atteggiamento a tutti i campi del sapere in modo sistematico: così facendo, come si è visto, non si può che sminuire e ridurre l'apporto della soggettività umana, intesa come capacità della coscienza di avvicinarsi agli "oggetti" attraverso la loro manifestazione fenomenica nella coscienza stessa.

Secondo Husserl, il maggior pericolo dell'Europa è la stanchezza: l'occidente crede che l'atteggiamento scientifico, ovvero il suo prodotto più originario, "il suo fiore all'occhiello", non sia più in grado di dare un senso alla vita. Solo un grande sforzo di volontà che superi il naturalismo, ovvero la tendenza ad oggettivare tutto, persino lo spirito, può far superare la crisi. "...dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell'umanità: perché soltanto lo spirito è immortale".

 

 

 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 19-10-2004

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