Soren
Kierkegaard
visse la quasi totalità della sua esistenza a Copenhagen, dove
nacque e morì. Tra
gli eventi che più segnarono la vita del filosofo merita attenzione
la morte del padre, avvenuta attorno al 1835, il quale gli confesserà
una grave colpa, colpa che Kierkegaard si porterà addosso come
una maledizione per tutta la vita e lo costringerà alla rinuncia
della carriera di pastore protestante. Opere principali: Aut-Aut (1843); Diario di un seduttore (1843); Timore e tremore (1843); Il concetto di angoscia (1844); Stadi sul cammino della vita (1845); La malattia mortale (1849). * Sommario 2. Una diversa visione della fede 3. Aut-Aut: i tre stadi dell'esistenza * La
filosofia di Kierkegaard, alla pari di quella di Schopenhauer
ma per sentieri diversi, intende essere una critica al sistema filosofico
di Hegel. "[...] il singolo è destinato alla libertà e alla scelta; il singolo è cioè la situazione in cui l'uomo deve decidere se accettare o rifiutare la grande possibilità dell'esistenza [...]". (E. Severino, La filosofia contemporanea). Il singolo è quindi l'uomo posto di fronte all'assoluta libertà del proprio destino: la sua vita è unica e irripetibile, inevitabilmente personale, ciò che muove le azioni del singolo sono le decisione prese in assoluta libertà e secondo scelte esclusivamente personali: ogni uomo è di fronte alle scelte che la vita gli pone di fronte, solo all'uomo spetta decidere attorno alla sua esistenza. Kierkegaard stesso desiderò come epitaffio sulla sua tomba "Quel Singolo", a ricordare l'unicità imprescindibile della sua stessa vicenda umana. Il
singolo è colui "che non cedette alle Termopili...egli
doveva infatti impedire alle orde di attraversare quel passo: se fossero
penetrati, avrebbe perduto."
Di fronte all'assoluta libertà l'uomo si trova solo di fronte alle sue scelte, ma di fronte alla vertigine che crea il peso della libertà assoluta, secondo Kierkegaard, l'uomo ha la possibilità di trovare la pace nella fede in Dio. Tuttavia, la fede che Kierkegaard indica come possibile soluzione è molto distante dalla fede che si struttura in religione. La fede cattolica, come si è strutturata nei secoli, è lo specchio di quella filosofia occidentale consolatoria con la quale ha stretto alleanza: la fede, per il cristianesimo, è "consolazione, rassicurazione, pace dell'anima, garanzia, rimedio". La fede autentica, per Kierkegaard, è invece rischio, coraggio di fronte all'ignoto, lo stesso scandalo per cui Abramo, seguendo l'ordine divino di uccidere il figlio Isacco, sarebbe apparso agli occhi dei più un semplice assassino. La fede non è un "fardello" facile da portare: "qui [nel mondo interiore, nell'anima] solo chi lavora trova da mangiare; solo chi è stato in angoscia, trova pace; ...solo chi estrae il coltello ottiene Isacco." Da Timore e Tremore. Anche la fede è quindi una scelta: l'uomo che decide di credere si apre sia alla possibilità della salvezza che a quella della perdizione poiché non avrà mai la certezza assoluta della bontà della sua scelta, ma, appunto, deve avere fede in essa. Il rapporto che lega il singolo a Dio è esclusivamente personale, legato ai dubbi e ai tormenti interiori dell'individuo. Con ciò si rende evidente come nessun sistema possa imporre all'uomo la fede (come spesso accade per la religione strutturata in sistema consolatorio), ma la fede sia una decisione presa con coraggio e non senza tormento dal singolo uomo.
Kierkegaard riconduce le diverse possibilità dell'esistenza umana a tre stadi: lo stadio estetico, lo stadio etico e lo stadio religioso. Tra i tre stati non c'è possibilità di compromesso: polemizzando con la dialettica hegeliana, in cui i diversi stadi della realtà procedono secondo uno sviluppo che si può definire et-et (ovvero e-e, l'antitesi ha in sé il valore aggiunto della tesi passando attraverso la negazione, lo sviluppo procede per arricchimento e non per esclusione delle parti), la dialettica kierkegaardiana segue una logica aut-aut, (o-o) ovvero il soggetto può essere allo stesso tempo una sola cosa, e non altro, il passaggio da uno stato all'altro avviene mediante uno strappo, una conversione che cambia radicalmente il soggetto e lo rende completamente diverso (lo sviluppo non prevede conservazione, ma solo scelte escludenti). Et-et: Una parte si sviluppa conservando in sé gli elementi delle parti che l'hanno generata, la dialettica è quindi la classica triade hegeliana della tesi, antitesi e sintesi, in quest'ultima si sommano i valori dei due stati precedenti. Aut-aut: ogni soggetto può avere solo una qualità alla volta, l'una esclude l'altra, il passaggio da uno stato all'altro avviene soltanto per mutamento radicale (es. non si può essere più o meno credenti, o lo si è, oppure no; altro esempio, o si è un uomo estetico o non lo si è). Dunque, per Kierkegaard, non esistono "sfumature" e posizioni intermedie tra una condizione e l'altra. Ecco la descrizione dei tre stadi esistenziali in cui, secondo Kierkegaard, si può trovare l'uomo: Lo
stadio estetico: è lo stadio
che si incarna nella figura del seduttore. Questo tipo di uomo vive
la vita cercando di renderne unico e irripetibile ogni suo attimo, vive
solo il presente e insegue il piacere immediato. Lo
stadio etico:
è lo stadio riconducibile alla figura del buon marito. L'uomo
etico sceglie ciò che vuole essere e si impone una disciplina
necessaria alla realizzazione del suo progetto. La vita diventa costruzione,
progetto, dovere. Lo
stadio religioso: questo stadio
è il culmine del percorso individuale. In questo stadio l'uomo
si avvicina a Dio e vive la propria religiosità intimamente e
in modo assolutamente personale. Si è già visto come per Kierkegaard l'esistenza sia vincolata alla libertà assoluta: il destino dell'uomo è incerto proprio perché aperto a qualsiasi possibilità. E' proprio il peso della possibilità aperta ad essere schiacciante, di gran lunga superiore a quello della realtà compiuta. L'angoscia e quindi il sentimento di sgomento che prende l'uomo di fronte all'incertezza riguardo al proprio destino: solo Dio e la fede può allontanare l'angoscia, credere è una scelta che l'uomo prende al buio, non sapendo cosa realmente lo aspetta. Tuttavia è proprio la fede salda, questa decisione sofferta e paradossale di credere nella salvezza, che permette agli uomini di allontanare il sentimento angoscioso. Certo l'incertezza può sedurre l'uomo, poiché dietro l'incertezza vi è comunque la libertà assoluta delle sue scelte, ma è proprio qui che Kierkegaard avverte una contraddizione: da un lato la libertà assoluta sembra essere un bene, dall'altro è la stessa fonte dell'angoscia. La libertà assoluta provoca vertigine, le scelte pesano tutte sulle spalle del singolo uomo, all'uomo è consegnata la chiave di ogni possibile soluzione, e la soluzione suprema, la fede in Dio, che sola può risolvere ogni altro problema, è una scelta che non poggia su alcuna certezza convenzionale ma solo sulla volontà del singolo di scegliere di avere fede. L'uomo sceglie di avere fede in Dio per salvarsi dall'angoscia provocata dall'incertezza e dall'ignoto, ma Dio stesso è l'ignoto. L'ignoto è ciò che sta aldilà della nostra coscienza, l'ignoto è il "paradosso assoluto" in quanto se da un lato è ciò che l'uomo non può comprendere perché è aldilà dei propri limiti gnoseologici (conoscitivi), dall'altro l'uomo non può nemmeno provare quale sia il limite certo oltre il quale non può accedere, poiché se non può conoscere cosa ignora, non può nemmeno definire i limiti della propria conoscenza. Per
uscire da questa contraddizione Kierkagaard indica dunque la
fede come "scelta responsabile". La fede è
l'atto per cui l'uomo decide consapevolmente e responsabilmente
di affidarsi all'ignoto per sconfiggere il timore e l'angoscia prodotti
dall'ignoto stesso. Ecco
quindi il senso profondo di quello scandalo e di quel paradosso
che Kierkegaard assegna alla fede: essa è un atto terribile
alla quale l'uomo sa di doversi necessariamente affidare per essere
salvato, ma che non può trovare giustificazione poggiandosi
sulle basi di alcuna logica.
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Scheda
di Synt - Ultimo aggiornamento Agosto 2004
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