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Kierkegaard

Soren
KIERKEGAARD

(1813-1855)

"L'angoscia è una faccenda pericolosa per gli smidollati,…"

 

 

Kierkegaard visse la quasi totalità della sua esistenza a Copenhagen, dove nacque e morì.

Fu l'ultimo di sette fratelli, cinque dei quali morirono quando lui era ancora ventenne. Dagli anziani genitori ricevette una rigida educazione pietista, improntata al pessimismo e al sentimento del peccato. La tragedia dei fratelli e l'educazione ricevuta fecero di Kierkegaard un uomo triste e votato all'introspezione, nonché ai facili sensi di colpa.

Nel 1841 si laureò in teologia, con una tesi sul concetto di ironia socratica.

Tra gli eventi che più segnarono la vita del filosofo merita attenzione la morte del padre, avvenuta attorno al 1835, il quale gli confesserà una grave colpa, colpa che Kierkegaard si porterà addosso come una maledizione per tutta la vita e lo costringerà alla rinuncia della carriera di pastore protestante.

Altro evento significativo, non si sa quanto legato al primo, fu la rottura del findanzamento con Regina Olsen, decisione presa apparentemente senza alcun motivo, una dolorosa rinuncia autoimposta della quale mai si seppero i motivi precisi (forse la paura di renderla infelice?).

Opere principali: Aut-Aut (1843); Diario di un seduttore (1843); Timore e tremore (1843); Il concetto di angoscia (1844); Stadi sul cammino della vita (1845); La malattia mortale (1849).

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Sommario

1. 'Quel Singolo'

2. Una diversa visione della fede

3. Aut-Aut: i tre stadi dell'esistenza

4. L'angoscia

5. L'ignoto

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1. 'Quel Singolo'

La filosofia di Kierkegaard, alla pari di quella di Schopenhauer ma per sentieri diversi, intende essere una critica al sistema filosofico di Hegel.
Innanzitutto, Kierkegaard afferma che l'entità protagonista del mondo non è quella razionalità immanente e infinita sovrastante la singolarità degli uomini che è lo Spirito di Hegel, il reale protagonista è invece l'uomo preso come singolo e non come genere, la singola esistenza di ciascun uomo, lei sola unica realtà dotata di senso in un mondo che non presenta alcun ordine prestabilito.

"[...] il singolo è destinato alla libertà e alla scelta; il singolo è cioè la situazione in cui l'uomo deve decidere se accettare o rifiutare la grande possibilità dell'esistenza [...]". (E. Severino, La filosofia contemporanea).

Il singolo è quindi l'uomo posto di fronte all'assoluta libertà del proprio destino: la sua vita è unica e irripetibile, inevitabilmente personale, ciò che muove le azioni del singolo sono le decisione prese in assoluta libertà e secondo scelte esclusivamente personali: ogni uomo è di fronte alle scelte che la vita gli pone di fronte, solo all'uomo spetta decidere attorno alla sua esistenza. Kierkegaard stesso desiderò come epitaffio sulla sua tomba "Quel Singolo", a ricordare l'unicità imprescindibile della sua stessa vicenda umana.

Il singolo è colui "che non cedette alle Termopili...egli doveva infatti impedire alle orde di attraversare quel passo: se fossero penetrati, avrebbe perduto."
Il concetto di singolo responsabilizza l'individuo e le sue azioni, mentre l'Assoluto hegeliano finisce per costringere l'uomo in una gabbia ineludibile, lo costringe ad essere impotente di fronte a uno Spirito indipendente dalla volontà individuale, il Singolo lascia l'uomo nella condizione aperta del libero arbitrio.


2. Un diversa visione della fede

Di fronte all'assoluta libertà l'uomo si trova solo di fronte alle sue scelte, ma di fronte alla vertigine che crea il peso della libertà assoluta, secondo Kierkegaard, l'uomo ha la possibilità di trovare la pace nella fede in Dio. Tuttavia, la fede che Kierkegaard indica come possibile soluzione è molto distante dalla fede che si struttura in religione.

La fede cattolica, come si è strutturata nei secoli, è lo specchio di quella filosofia occidentale consolatoria con la quale ha stretto alleanza: la fede, per il cristianesimo, è "consolazione, rassicurazione, pace dell'anima, garanzia, rimedio". La fede autentica, per Kierkegaard, è invece rischio, coraggio di fronte all'ignoto, lo stesso scandalo per cui Abramo, seguendo l'ordine divino di uccidere il figlio Isacco, sarebbe apparso agli occhi dei più un semplice assassino. La fede non è un "fardello" facile da portare: "qui [nel mondo interiore, nell'anima] solo chi lavora trova da mangiare; solo chi è stato in angoscia, trova pace; ...solo chi estrae il coltello ottiene Isacco." Da Timore e Tremore.

Anche la fede è quindi una scelta: l'uomo che decide di credere si apre sia alla possibilità della salvezza che a quella della perdizione poiché non avrà mai la certezza assoluta della bontà della sua scelta, ma, appunto, deve avere fede in essa. Il rapporto che lega il singolo a Dio è esclusivamente personale, legato ai dubbi e ai tormenti interiori dell'individuo. Con ciò si rende evidente come nessun sistema possa imporre all'uomo la fede (come spesso accade per la religione strutturata in sistema consolatorio), ma la fede sia una decisione presa con coraggio e non senza tormento dal singolo uomo.


3. Aut-Aut: i tre stadi dell'esistenza

Kierkegaard riconduce le diverse possibilità dell'esistenza umana a tre stadi: lo stadio estetico, lo stadio etico e lo stadio religioso. Tra i tre stati non c'è possibilità di compromesso: polemizzando con la dialettica hegeliana, in cui i diversi stadi della realtà procedono secondo uno sviluppo che si può definire et-et (ovvero e-e, l'antitesi ha in sé il valore aggiunto della tesi passando attraverso la negazione, lo sviluppo procede per arricchimento e non per esclusione delle parti), la dialettica kierkegaardiana segue una logica aut-aut, (o-o) ovvero il soggetto può essere allo stesso tempo una sola cosa, e non altro, il passaggio da uno stato all'altro avviene mediante uno strappo, una conversione che cambia radicalmente il soggetto e lo rende completamente diverso (lo sviluppo non prevede conservazione, ma solo scelte escludenti).

Et-et: Una parte si sviluppa conservando in sé gli elementi delle parti che l'hanno generata, la dialettica è quindi la classica triade hegeliana della tesi, antitesi e sintesi, in quest'ultima si sommano i valori dei due stati precedenti.

Aut-aut: ogni soggetto può avere solo una qualità alla volta, l'una esclude l'altra, il passaggio da uno stato all'altro avviene soltanto per mutamento radicale (es. non si può essere più o meno credenti, o lo si è, oppure no; altro esempio, o si è un uomo estetico o non lo si è). Dunque, per Kierkegaard, non esistono "sfumature" e posizioni intermedie tra una condizione e l'altra.

Ecco la descrizione dei tre stadi esistenziali in cui, secondo Kierkegaard, si può trovare l'uomo:

Lo stadio estetico: è lo stadio che si incarna nella figura del seduttore. Questo tipo di uomo vive la vita cercando di renderne unico e irripetibile ogni suo attimo, vive solo il presente e insegue il piacere immediato.
Questo tentativo di ricercare sempre l'atto irripetibile, di vivere costantemente l'attimo, porta l'esteta alla disperazione e alla noia, derivanti dalla consapevolezza di non poter spostare in avanti all'infinito l'intensità delle emozioni.
E' lo stadio dell'uomo che non ha fede se non nelle sensazioni immediate, egli non crede in Dio e in nessuna possibilità di salvezza, si accinge quindi a vivere da "rapace" prendendo al momento ciò che gli serve per la sua felicità immediata.

Lo stadio etico: è lo stadio riconducibile alla figura del buon marito. L'uomo etico sceglie ciò che vuole essere e si impone una disciplina necessaria alla realizzazione del suo progetto. La vita diventa costruzione, progetto, dovere.
Se la disperazione dell'uomo estetico può farlo convertire ad una vita etica, anche questa eccessiva disciplina e rigidezza può portare ad un tipo di vita fredda e asettica.
E' lo stadio dell'uomo che non crede in Dio ma che intende la sua vita come progetto etico-laico, egli risponde delle sue azioni solo davanti agli uomini.

Lo stadio religioso: questo stadio è il culmine del percorso individuale. In questo stadio l'uomo si avvicina a Dio e vive la propria religiosità intimamente e in modo assolutamente personale.
L'uomo si può avvicinare così al significato ultimo dell'esistenza abbandonandosi ai misteri di una fede che non può travalicare l'ignoto.
Questo modello di vita porta l'uomo a trascendere le normali regole di vita: l'uomo religioso vive la fede come scandalo, come subordinazione completa a Dio oltre le stesse regole del vivere civile, un vessillo paradossale e assurdo ma intimanemente necessario.


4. L'angoscia

Si è già visto come per Kierkegaard l'esistenza sia vincolata alla libertà assoluta: il destino dell'uomo è incerto proprio perché aperto a qualsiasi possibilità. E' proprio il peso della possibilità aperta ad essere schiacciante, di gran lunga superiore a quello della realtà compiuta.

L'angoscia e quindi il sentimento di sgomento che prende l'uomo di fronte all'incertezza riguardo al proprio destino: solo Dio e la fede può allontanare l'angoscia, credere è una scelta che l'uomo prende al buio, non sapendo cosa realmente lo aspetta. Tuttavia è proprio la fede salda, questa decisione sofferta e paradossale di credere nella salvezza, che permette agli uomini di allontanare il sentimento angoscioso.

Certo l'incertezza può sedurre l'uomo, poiché dietro l'incertezza vi è comunque la libertà assoluta delle sue scelte, ma è proprio qui che Kierkegaard avverte una contraddizione: da un lato la libertà assoluta sembra essere un bene, dall'altro è la stessa fonte dell'angoscia. La libertà assoluta provoca vertigine, le scelte pesano tutte sulle spalle del singolo uomo, all'uomo è consegnata la chiave di ogni possibile soluzione, e la soluzione suprema, la fede in Dio, che sola può risolvere ogni altro problema, è una scelta che non poggia su alcuna certezza convenzionale ma solo sulla volontà del singolo di scegliere di avere fede.


5. L'ignoto

L'uomo sceglie di avere fede in Dio per salvarsi dall'angoscia provocata dall'incertezza e dall'ignoto, ma Dio stesso è l'ignoto. L'ignoto è ciò che sta aldilà della nostra coscienza, l'ignoto è il "paradosso assoluto" in quanto se da un lato è ciò che l'uomo non può comprendere perché è aldilà dei propri limiti gnoseologici (conoscitivi), dall'altro l'uomo non può nemmeno provare quale sia il limite certo oltre il quale non può accedere, poiché se non può conoscere cosa ignora, non può nemmeno definire i limiti della propria conoscenza.

Per uscire da questa contraddizione Kierkagaard indica dunque la fede come "scelta responsabile". La fede è l'atto per cui l'uomo decide consapevolmente e responsabilmente di affidarsi all'ignoto per sconfiggere il timore e l'angoscia prodotti dall'ignoto stesso. Ecco quindi il senso profondo di quello scandalo e di quel paradosso che Kierkegaard assegna alla fede: essa è un atto terribile alla quale l'uomo sa di doversi necessariamente affidare per essere salvato, ma che non può trovare giustificazione poggiandosi sulle basi di alcuna logica.



 

Scheda di Synt - Ultimo aggiornamento Agosto 2004

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