John
John Stuart Mill nacque a Londra. Celebre economista (considerato l'ultimo grande rappresentante della scuola classica) nonché filosofo, entrò nell'ufficio centrale della Compagnia delle Indie nel 1823, a soli diciassette anni. Nel 1856 si pose a capo della Compagnia. Dopo la chiusura dell'istituto e la morte della moglie si stabilì nella sua villa di Avignone. Fu deputato per due legislature e venne a contatto con l'opera di Bentham, Saint-Simon e di Comte. Fu l'assertore di un deciso empirismo, convinto che ogni reale autenticità fosse racchiusa nell'analisi dei fatti; per quanto riguarda le scienze morali predicò la necessità di applicare alla disciplina il rigore delle scienze fisiche. Molto importante la sua opera di carattere economico, fu tra i primi studiosi del commercio internazionale e il suo "Principi di economia politica" fu per decenni un testo centrale nelle università inglesi. Morì nella sua villa di Avignone nel 1873. Opere principali: Sistema di logica deduttiva e induttiva (1843); Saggi su alcune questioni controverse di economia politica (1844); Principi di economia politica con alcune applicazioni alla filosofia sociale (1848); Sulla libertà (1859); Considerazioni sul governo rappresentativo (1861); Utilitarismo (1863); Auguste Comte e il positivismo (1865); La soggezione delle donne (1869); Tre saggi sulla religione (1874).
1. Critica all'apriorismo, l'esperienza come fondamento 4. Critica al principio di causa ed effetto 5. Critica all'assolutismo determinista del positivismo 6.
Contro l'assolutismo sociale
Nella
visione filosofica di Stuart Mill è fondamentale l'idea che
il senso autentico della verità è da ricercare esclusivamente
nei fatti e nei dati dell'esperienza, essi soli in grado di esprimere
la certezza. Dalla critica all'apriorismo, si passa necessariamente a una critica della logica classica, ovvero alla forma codificata di conoscenza a-priori per eccellenza. Una critica che Stuart Mill rivolge alla validità della logica classica percorre i sentieri già battuti dal nominalismo: le parole che identificano un senso universale non si riferiscono a un essenza concreta delle cose ma costituiscono solo il nome con il quale si designa un certo gruppo omogeneo di cose empiriche e fattuali. Ad esempio, la parola "perfettissimo" non designa l'esistenza reale di qualcosa che è perfetto, ma solamente la qualità delle cose che appaiono "perfettissime" in relazione a certe conoscenze; analogamente, la parola "cane" non si riferisce a un'essenza canina realmente esistente in modo concreto, ma è solamente la parola che designa un certo genere di animali che presentano tutti le stesse caratteristiche empiriche (si veda anche Ockham). "La radice della concezione nominalista di Stuart Mill sta nel fatto che un'essenza comune agli individui - un 'universale' che abbia esistenza oggettiva più o meno distinta dall'esistenza dell'individuo come tale - si costituisce come una struttura a priori, che presume di rimanere immutabile nel flusso dell'esperienza e che finisce con l'opporsi alle valutazioni che gli individui possono presentare nell'esperienza, e col riportare tali variazioni al proprio contenuto, dato una volta per tutte". (E. Severino, La filosofia contemporanea). Alla luce di questo, anche la struttura delle astrazioni logiche non possono avere alcuna validità assoluta che faccia riferimento a un'essenza assoluta. La frase "tutti gli alberi sono di legno" non significa infatti che tutti gli alberi sono costituiti da un'essenza legnosa esistente al di là del fatto empirico, ma significa che, sulla base delle osservazioni compiute dall'uomo in ragione della sua esperienza, tutti gli alberi si presentano legnosi dal fatto che l'esperienza attesta una certa frequenza nel vedere alberi fatti di legno e non di un altro materiale. Gli assiomi della logica, ovvero le verità indiscutibili ed evidenti come il fatto che gli alberi sono fatti di legno, si fondano non su una relazione necessaria con qualche essenza metafisica (al di là del mondo dell'esperienza) ma sul processo di generalizzazione delle osservazioni empiriche proprio dell'induzione, la quale da un numero ripetuto di osservazioni identiche, fonda la legge che accomuna queste osservazioni. La logica non si basa quindi, secondo Stuart Mill, sulla relazione necessaria con essenza metafisiche, ma sulla relazione più concreta e possibile di mutamento che si viene ad instaurare con i fatti della realtà empirica. Assieme
alla validità universale della logica viene a decadere anche
la validità universale del sillogismo. Si è visto come per Stuart Mill nessuna affermazione può poggiare sul valore assoluto di un concetto che esprime l'universale. La premessa del sillogismo implica che tutti gli oggetti appartenenti ad una certa classe (gli uomini) abbiano necessariamente una certa qualità (essere mortali). Ma se gli assiomi della logica non si fondano su verità metafisiche (gli universali) ma solo sui dati dell'esperienza empirica (l'abitudine ad osservare la mortalità degli uomini), si vede come sia impossibile fondare la premessa su un qualsiasi valore di verità. L'affermazione
che "Tutti gli uomini sono mortali", implica allora che si
sappia già che Socrate sia un mortale, poiché egli è
un uomo, e rientra in quell'insieme di osservazioni empiriche necessarie
a formare l'assioma per via induttiva. Così
la premessa in realtà non è una premessa, ma è
solamente la conseguenza dell'osservazione ripetuta per cui è
possibile affermare che "Socrate è un mortale perché
è abitudine osservare che gli uomini sono mortali, abitudine
confermata dal fatto che Socrate muore". Ecco che Socrate,
come mortale, non è conseguenza della premessa ma un fatto che
va a determinare la verità della premessa stessa. Il processo di induzione permette di far derivare teorie valide generalmente dall'osservazione ripetuta di un certo fenomeno. Ad esempio, tutte le fragole sono rosse perché viene osservato in natura il fatto ripetuto per cui le fragole mature hanno una colorazione rossa. Stuart Mill critica la possibilità propria dell'induzione di essere portatrice di verità assolute. Se la teoria generale conseguente al metodo induttivo si fonda sull'osservazione ripetuta di certi fatti concreti ed empirici, l'induzione non è il passaggio dal particolare al generale, ma solamente da un particolare all'altro. Infatti, la conclusione generale che intende dimostrare un comportamento generale su base "statistica" relativamente alla frequenza con la quale un evento si ripete, non è altro che una semplice addizione di singoli casi presi in esame. In sostanza, la certezza propria dell'induzione di essere un processo che va a formare verità generali, viene meno, infatti l'induzione non può escludere che un singolo caso che va a formare la legge generale invalidi da un momento all'altro la teoria con il suo comportamento contrario a quello degli altri casi. Ad esempio, se un giorno un oggetto tendesse a cadere dal basso in alto, saremmo costretti a invalidare la teoria della gravitazione universale, poiché nulla impedisce, potenzialmente, di osservare tale comportamento "ribelle" (ciò che lo impedisce è la sola osservazione induttiva della generalità degli altri casi, ovvero la stessa induzione oggetto di critica). Da rilevare tuttavia che l'induzione rimane uno strumento necessario alla scienza per registrare sinteticamente un insieme di osservazioni omogenee. Ciò che critica Stuart Mill non è la validità relativa e circostanziata dell'induzione, ma la sua pretesa di fondarsi a verità assoluta valida per tutti i casi non ancora osservati. Si veda anche Karl Popper.
Nella
critica ad ogni forma di teorizzazione aprioristica rientra anche quella
al principio di causa ed effetto. La legge di causalità non è una verità a priori (come per Kant) e nemmeno un istinto umano (come per Hume). La legge di causalità è una conseguenza di un processo induttivo (come si è visto, privo di validità aprioristica) che generalizza i casi di molti altri processi induttivi inferiori. In sostanza, noi affermiamo che tutto ha una causa prendendo come fondamento dell'affermazione tutte le innumerevoli generalizzazioni dei casi formulate per via induttiva. Ma, come si è visto, le generalizzazioni in realtà non possono essere intese come verità assoluta, ma come tendenza dei singoli casi a confermare la generalizzazione. Ritorna sempre la critica, dunque, per cui l'enumerazione dei singoli casi particolari non possono in realtà ad andare a formare una verità assoluta, poiché i singoli casi non possono indurre a formulare, per via statistica, una verità che invece dovrebbe avere valore assoluto, per tutti i singoli casi (ma si è visto come la possibilità che un singolo caso contraddica la legge generale è sempre aperta e non escludibile).
Alla luce di quanto detto fino a qui, il pensiero di Stuart Mill non può che entrare in contrasto con l'atteggiamento positivista promosso da Comte, il quale concepiva la scienza come l'unica disciplina necessariamente deterministica, la sola disciplina in grado di determinare i fatti secondo regole assolute e definitive. Ma "il 'determinismo' della realtà non possiede quel carattere di assoluta necessità che ancora gli viene attribuito da Comte, ma è esso stesso un 'fatto', che esiste ed è probabile che si perpetui, ma che è possibile che si modifichi e che venga a cessare." (E. Severino, La filosofia contemporanea). In sostanza, la possibilità che un'esperienza si ripeta in modo assoluto date certe premesse non può essere garantita da alcuna conoscenza certa, poiché, come si è visto, le certezze della scienza si basano sul meccanismo incompleto dell'induzione, che non potrà mai affermare la validità assoluta di un evento e di un fatto, poiché non potrà mai controllare la totalità dei casi, dovendo escludere necessariamente dal computo quelli che ancora non sono accaduti. Dunque, alla luce di questa critica all'assolutismo determinista, la scienza non potrà presentarsi come conoscenza definitiva fondata su assiomi stabili, ma come "scienza che conosce il carattere provvisorio e relativo delle proprie generalizzazioni induttive, e che quindi, riconoscendo il carattere di tentativo delle proprie previsioni, riconosce al divenire dell'universo la capacità di sconvolgere i nostri schemi conoscitivi." (E. Severino, La filosofia contemporanea).
Stuart Mill, proprio come critica l'assolutismo determinista del positivismo, critica anche ogni possibile forma di assolutismo sociale utilizzando il medesimo ragionamento. I comportamenti dell'uomo sono in sostanza prevedibili solo nella misura in cui ne facciamo esperienza: la psicologia e la sociologia, ad esempio, potranno prevedere i comportamenti psicologici e sociali sono in relazione all'esperienza raccolta in passato sul comportamento degli individui e delle masse, la possibilità però che tali comportamenti, in una determinata circostanza, non concordino con le previsioni, comporta che le discipline debbano adeguarsi ai nuovi fatti. Non è possibile infatti prevedere in modo certo e in alcun modo il comportamento dell'uomo con quella chiarezza pretesa dai sistemi deterministici. La realtà concreta dell'essere umano è sottoposta a una irriducibile dinamicità, per cui i motivi che spingono l'uomo ad agire in un certo modo non potranno mai essere oggetto di previsioni scientifiche assolutamente deterministiche. Tale realtà comporta la negazione da parte di Stuart Mill di qualsiasi ordinamento sociale e politico che tenda ad esercitare un controllo assoluto sull'individuo, poiché andrebbe contro l'evidenza che vuole l'uomo soggetto tipicamente dinamico e libero da qualsiasi tentativo di riduzione ad una immutabilità. Con questo, Stuart Mill salva l'originaria natura dell'uomo, il quale, sottoposto al mondo dei puri accadimenti, è sostanzialmente libero da qualsiasi legge di immutabilità della realtà, costituendo una testimonianza salda del mutamento possibile e del divenire proprio del mondo. Stuart Mill afferma poi, partendo dall'utilitarismo di Bentham, che nel suo agire l'uomo tende a massimizzare il piacere e minimizzare il dolore, ma, a differenza da quanto sostenuto da Bentham, non si chiude entro il puro egoismo, ma è spinto a desiderare la felicità altrui come componente potenziale della propria. Lo sviluppo dell'intera umanità tende a mostrare (per via induttiva) che la tendenza nelle società è quella di tenere sempre più presente le aspirazioni degli individui, le società tendono quindi a un generale progresso delle condizioni di vita dell'uomo. |
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di Synt - ultimo aggiornamento 08-11-2004
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