Kant nacque a Konigsberg, nella Prussia Orientale. I genitori erano borghesi di origine scozzese, devoti pietisti. Studiò al Collegium Fredencianum, dove ricevette una educazione rigidamente religiosa. Successivamente, all'università di Konigsberg, studiò filosofia, fisica e matematica, interessandosi ai metodi e alla fisica di Newton. Dopo la morte del padre e i conseguenti problemi economici della famiglia, si fa precettore presso alcune nobili famiglie della città e abbandona temporaneamente gli studi. Nel 1770 diviene professore ordinario di logica e ontologia, sempre nella sua città natale, che non abbandonerà mai (tra le sue varie opere vi sono anche trattati sulla Cina e sul movimento della tettonica a zolle causa dei terremoti, cosa piuttosto singolare se si pensa che Kant non si è mai mosso da Konigsberg!). Avendo deciso di dedicare la sua vita allo studio e all'insegnamento, rimane celibe per tutta la vita, mentre negli ultimi anni viene colpito da una serie di disturbi cerebtrali che gli impediscono di scrivere. Opere principali: Storia naturale e universale (1755); L'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio (1763); Critica alla ragione pura (1781); metafisica dei costumi (1787); Critica della ragione pratica (1788); Critica del giudizio (1790); Per la pace perpetua (1795). * Premessa La conoscenza a priori: le strutture immutabili della percezione Il noumeno, la cosa in sé: ovvero, l'oggetto inconoscibile Le categorie dell'intelletto: i modi in cui la mente percepisce a priori i fenomeni Le antinomie kantiane: le coppie di verità opposte L'imperativo categorico: il giusto universale, secondo ragione Dio è un atto di fede: i postulati della ragione pratica Per la pace perpetua: la pace come priorità morale Kant è considerato uno dei più importanti filosofi di tutti i tempi, nonché esponente di spicco dell'illuminismo tedesco, il suo progetto filosofico fu indirizzato principalmente a una critica dei limiti della conoscenza e della ragione in sé, nei suoi aspetti universali e impersonali (critica della ragion pura) e alla ricerca di una razionalità universale che potesse guidare eticamente tutti gli uomini (critica della ragion pratica, o morale). Da ricordare poi che la filosofia di Kant e di tutti coloro che seguirono il suo metodo si definisce trascendentale, in quanto studio dei limiti della ragione, ovvero di ciò che trascende e di ciò che non può trascendere la ragione. Inoltre la filosofia kantiana viene anche definita criticismo, in quanto il suo metodo si configura come una analisi critica permanente dei limiti e dei modi della coscienza razionale, una verifica delle sue possibilità, uno studio dei meccanismi universali che regolano la ragione pura, indipendentemente dall'esperienza concreta. *** La critica di Kant attorno ai limiti della conoscenza vuole essere un vero e proprio tribunale della ragione, dove la ragione processa se stessa, in modo da vigilare sull'innata tendenza umana a travalicarne i limiti (il razionalismo, ovvero la tendenza a costruire verità filosofiche per mezzo del solo pensiero razionale, senza riscontro nella realtà). Se la ragione umana ha spesso travalicato i limiti dell'esperienza generalizzando e forzando impropriamente alcuni casi specifici in modo da affermare verità indimostrabili (tipici casi il motore immobile aristotelico, il metodo cartesiano, spinoziano e di Leibniz), secondo Kant è bene vigilare su queste tendenze razionaliste in modo da ricondurre la metafisica alla sola ricerca attorno alle capacità del conoscibile umano. Da notare che è la ragione stessa a sottoporsi a giudizio, in quanto unica entità critica in grado di non trascendere i limiti umani. "E' necesssario un richiamo alla ragione affinché assuma nuovamente il più arduo dei suoi compiti, cioè la conoscenza di sé, e istituisca un tribunale che la tuteli nelle sue giuste pretese, ma tolga di mezzo quelle prive di fondamento, non già arbitrariamente, ma in base alle sue leggi eterne e immutabili; e questo tribunale altro non è se non la critica della ragion pura stessa. Con questa espressione non intendo alludere a una critica dei libri e dei sistemi, ma alla critica della facoltà della ragione in generale". (Critica della ragion pura).
Kant afferma che ogni aspetto della realtà è il frutto di una interpretazione umana e sensoriale, un'interpretazione del soggetto che la percepisce. Si può dire che Kant è l'autore di una vera rivoluzione copernicana del pensiero, capovolgendo i termini delle questioni collegate alla percezione della materia e degli oggetti. L'uomo
ha sempre pensato di dover conformare ed adattare la sua mente alla
percezione degli oggetti (la mente
era passiva, l'oggetto attivo), mentre occorre rivoltare la questione
e pensare che sono gli oggetti,
ovvero la percezione che abbiamo di essi e della materia, a doversi
adattare agli schemi della mente umana (la
mente è attiva, l'oggetto passivo). In altre parole la mente umana, nel percepire gli oggetti, opera secondo schemi di percezione precisi, un oggetto è ciò che è perché i nostri sensi sono fatti in un certo modo: solo ciò che i sensi percepiscono dell'oggetto viene a formare la sostanza percepita dell'oggetto stesso (ad esempio, se i nostri occhi potessero percepire l'ultravioletto, il mondo dei colori sarebbe tutt'altra cosa e un fiore giallo ci apparirebbe di altro colore). Ma in che modo i sensi "conoscono" gli oggetti? I nostri sensi sono fatti in un certo modo e percepiscono gli oggetti sempre in un certo modo, la mente percepisce sempre il fluire del tempo e l'estensione dello spazio, ad esempio. Dunque, in ragione della "forma" dei loro sensi, tutti gli uomini percepiscono alcuni aspetti della realtà sempre allo stesso modo: ad esempio, il fatto che percepiamo la realtà come una serie di eventi che accadono nel tempo e nello spazio, il fatto che percepiamo l'acqua come fluido e la roccia come solido, il fatto che percepiamo il calore del sole, sono conoscenze a priori, ovvero conoscenze che sono vere per tutti gli uomini indipendentemente dall'esperienza soggettiva del singolo individuo. Dunque, le conoscenze a priori sono il frutto degli schemi universali della mente umana, il frutto degli apparati universali della percezione. I sensi, quindi, "giudicano" (interpretano) alcuni aspetti della realtà sempre allo stesso modo (a priori), mentre altri aspetti vengono giudicati diversamente in ragione di esperienze non comuni a tutti ma relative alle spingole esperienze soggettive (a posteriori), e in particolare possiamo distinguere: Giudizi analitici a priori: dove il giudizio ha significato tautologico, il predicato esprime ciò che il soggetto di per sé significa (esempio: tutti i corpi sono estesi). Il giudizio analitico è universale e dunque necessario. Rispecchia il principio di non contraddizione. I giudizi analitici a priori sono quindi sempre necessariamente veri, in quanto sono relativi alle verità evidenti. Sono giudizi analitici in quanto provengono dall'analisi di stati di fatto evidenti in sé, sono a priori in quanto comportano sempre la stessa e identica interpretazione della realtà, e quindi non possono essere mai smentiti a posteriori da altri fatti. Giudizi sintetici a posteriori: dove il rapporto fra soggetto e oggetto viene pensato senza identità (es: tutti i corpi sono pesanti), sono a posteriori poiché implicano considerazioni necessitate di un’esperienza antecedente che la possa confermare, sono sintetici in quanto derivano da un insieme di dati empirici opportunamente raccolti. Il predicato quindi, non è prerogativa essenziale e fondante del soggetto, ma ne costituisce comunque un aspetto. Rispecchia il principio di ragione sufficiente. Giudizi
sintetici a priori: tale giudizi sono
limitati al campo applicativo della matematica e della fisica.
I giudizi della matematica sono a priori in quanto
<< portano con sé quella necessità che non può mai essere tratta
dall’esperienza Se i sensi sono limitati e finiti, permettono cioè di conoscere la realtà solo in un certo modo, l'oggetto nella sua realtà originiaria, come se i sensi potessero percepirlo in tutta la sua totalità, rimane inconoscibile e al di là della conoscenza assoluta.
Kant distingue quindi l'oggetto in sé e
l'oggetto percepito. Occorre
cioè distinguere la percezione delle cose dalla reale essenza
delle cose, occorre distinguere il noumeno, l'oggetto in sé,
dal fenomeno percepito.
Il noumeno è l'oggetto della
realtà nella sua completezza, inconoscibile alla soggettività
umana, la quale interpreta l'oggetto attraverso la specificità
dei suoi sensi. Dunque l'uomo non può dirsi sicuro di ciò che percepisce con i sensi, non può ammettere che tutto ciò che vede in un oggetto sia realmente il vero aspetto dell'oggetto stesso, l'essere umano è limitato in questo dalla propria struttura di percezioni a priori. Il noumeno viene definito dal Kant in modo sia positivo che negativo, il primo riguarda la deduzione per via intellettuale, concettuale, della cosa in sé, la quale è pensabile grazie alle categorie; il secondo riguarda il carattere non intuibile di esso, carattere più importante del primo che ne attesta l'impossibilita di una conoscenza reale e necessaria. Si viene così a configurare un dualismo: da un lato il mondo sensibile, fenomenico, nel quale le cose percepite hanno caratteristiche comuni a tutti gli uomini, e il mondo delle cose in sé, oggetti che sono ed esistono ma che non vengono percepiti nella loro specificità, in quanto al di là delle rappresentazioni sensoriali possibili.
Dunque
il noumeno è la realtà indipendente dalla percezione
che la interpreta. Fino a Kant non si era mai messa in dubbio la passività
delle percezioni: i sensi registravano e non interpretavano dati materiali
assolutamente certi ed evidenti. Kant
sostiene invece che i sensi danno della realtà una personale
interpretazione spazio-temporale,
legati al modo in cui gli esseri umani percepiscono il tempo e le dimensioni
spaziali entro le quali vivono
(diversa la vita sarebbe per un microbo o per certi insetti che nascono
e muoiono nel giro di poche ore). L'uomo percepisce allora una materia e una forma degli oggetti: in tutte le percezioni c'è un'evidente concordanza sul fatto di percepire una massa o udire un suono, o vedere delle figure in movimento (la materia); oltre a queste evidenze oggettive esiste anche una forma soggettiva della percezione, ovvero una peculiare modo di sentire la realtà legata esclusivamente alle qualità dei sensi di un determinato essere vivente. Dunque, l'’indagine sul come noi conosciamo le cose non può non tenere di conto del carattere aprioristico costituente il nostro modo di conoscere, ovvero il trascendentale: in particolare la nostra coscenza si accosta necessariamente alla realtà attraverso le intuizioni a priori. Esse sono la forma di conoscenza propria ed esclusiva della sensibilità, gli oggetti che risultano da tali intuizioni sono i fenomeni.
Intuizioni a priori sono: lo
Spazio (forma a priori dell’intuizione);
il Tempo: In particolar modo, l'intelletto ordina diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune, queste sono le categorie: esse sono le forme del giudizio, ovvero le forme in cui il giudizio dell'intelletto sulla realtà si esplica indipendentemente dal suo contenuto empirico (ovvero, il modo sempre uguale a se stesso, attraverso il quale la mente interpreta i fenomeni). Quello che segue è lo schema kantiano delle categorie, le modalità aprioristiche e immutabili della percezione intellettiva:
Solo
per mezzo delle categorie è possibile Cosa significa tutto ciò? Significa che Kant, di fronte al dubbio sull'esistenza delle categorie, si affida alla loro necessità ed evidenza empirica: tutto viene intuito per ciò che è da tutti gli uomini, in modo uguale, i modi delle intuizioni quindi (le categorie), sono vere perché dimostrate universalmente dal modo in cui il pensiero agisce sempre in modo uguale e per tutti gli uomini sulla realtà fenomenica. "La parola antinomia significa propriamente << conflitto di leggi >> (Quintiliano), ma fu estesa da Kant a indicare il conflitto in cui la ragione viene a trovarsi con se stessa in virtù dei suoi stessi procedimenti." (Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia). Le antinomie sono verità opposte che sono raggiungibili logicamente e in modo ineccepibile autonomamente, esse sono quelle opinioni che si possono dimostrare e che in sé non sono confutabili, solamente perché fanno riferimento, come fondamento, a un presupposto inconoscibile: la vera natura del mondo. 1° antinomia. Tesi: il mondo ha un inizio nel tempo e, nello spazio, è chiuso dentro limiti. Antitesi: Il mondo è infinito sia nel tempo che nello spazio (secondo la categoria della qualità); 2° antinomia. Tesi: ciascuna cosa è composta da parti semplici che costituiscono altre cose composte da parti semplici. Antitesi: non esiste nulla di semplice, ogni cosa è complessa (secondo la categoria della quantità); 3° antinomia. Tesi: oltre la causalità esiste anche la possibilità che ogni cosa sia prodotta dalla libertà del caso. Antitesi: esiste solo la causalità secondo le leggi strettamente causali della natura (secondo la categoria della relazione); 4° antinomia: Tesi: esiste un essere necessario che è causa del mondo. Antitesi: non esiste alcun essere necessario, ne nel mondo ne fuori dal mondo che sia causa di esso (secondo la categoira della modalità). Non conoscendo la vera natura del mondo (chiusa in sé come noumeno), la ragione non può dimostrare in modo esclusivo nessuna delle quattro antinomie. ***
Contrapposta alla ragione pura è la ragione pratica. Una volta negata la possibilità di una comunione universale, di un "mondus intelligibilis" (Kant non può che distinguere, secondo l'analisi eseguita sulla ragion pratica, il mondo in fenomeno e cosa in sé), viene introdotta l’ipotesi di un’unità morale. La morale che propone Kant è uno studio sul giusto agire degli uomini che non prescinde dalle regole dettate dalla ragione: l'etica, per essere giusta, deve seguire i percorsi della ragione (è pur sempre ragione, non pura, ma pratica). La ragione pratica è "tutto ciò che è possibile per mezzo della libertà" umana. Per libertà umana si intende la libertà di arbitrio tipica dell'essere umano. Pratica è quella conoscenza che non ha in sé nulla di assoluto in quanto collegata alle singole circostanze della vita (la morale, l'etica, l'interpretazione delle azioni degli individui). In
particolar modo Kant introduce il concetto di
imperativo categorico: un comportamento è da considerare morale
in modo categorico (cioè senza possibilità di smentita)
quando è universalizzabile, giusto in ogni momento e in ogni situazione
umana. Questo comportamento diventa allora vincolante per la morale
di tutti gli uomini, una sua mancata applicazione significherebbe agire
in modo immorale. Esempi di imperativi categorici sono l'obbligo di volere la pace (la guerra come principio etico universale porterebbe solo alla distruzione di tutto), o l'imperativo di tendere sempre allo sviluppo del proprio talento (una società che permettesse agli uomini di abbandonarsi al solo ozio subirebbe un naturale regresso). Come si pone Kant di fronte all'esistenza di Dio? In conseguenza del dualismo fenomeno/cosa in sé, Dio rientra in quest'ultimo campo. Dio non è dimostrabile ne indimostrabile, è semplicemente al di là delle possibilità conoscitive umane... non si manifesta a noi come fenomeno sensibile, potrebbe esistere come entità a sé, e quindi relegato al mondo oltre-sensibile, inconoscibile dai sensi. Per Kant, Dio rientra nella categoria dei postulati della ragione pratica: il primo postulato è l'esistenza di Dio, il secondo è l'anima immortale, il terzo la libertà di scelta. Questi postulati sono atti di fede, verità indimostrate. Kant, accertato che la ragione umana non può provare l'esistenza di Dio, riconduce Dio e la religione ad una verità del cuore, ad una necessità morale (conviene credere in Dio per utilità morale). Da
tenere presente che Kant, soffermandosi sull'argomento ontologico di
Sant'Anselmo,
per cui Dio esiste in quanto essere perfetto, afferma che quella del
Santo non è altro che un'idea, la quale non deve avere per forza
una sua valenza reale. Secondo
Kant, dunque, non si può provare l'esistenza di Dio, e in particolare:
Come
si può notare, quindi, nemmeno il concetto di Dio resiste alla
critica della ragion pura, la quale si rispecchia nel giudizio etico
della ragion pratica. Kant
afferma che la pace va perseguita a tutti i costi come imperativo categorico.
Non si tratta quindi di discutere se la pace sia più o meno perseguibile
nella realtà, si tratta di agire volontariamente per il suo raggiungimento.
E' vero che l'aggressività è un elementi fondamentale della psicologia umana, è anche vero che la pace è una priorità morale. La pace sostanzialmente potrebbe essere un'utopia, o comunque una cosa molto al di là di venire, ma questo non deve comunque permettere di arrendersi all'evidenza della guerra (atto contro ragione), bensì rinnovare l'impegno per evitarla. Per permettere una pace planetaria è allora necessaria una costituzione repubblicana mondiale, un super organismo parlamentare (una sorta di ONU) che agisca da arbitro sulle controversie tra le nazioni in modo da evitare lo scontro bellico. Nessuna guerra civile o mondiale sarebbe possibile se tutti gli Stati si fondassero sull'ideale repubblicano della salvaguardia delle libertà individuali, della rappresentanza parlamentare, della divisione dei poteri. Kant
afferma dunque che è il cittadino che deve decidere sul proprio
destino; in uno stato dispotico, dove il sovrano è arbitrariamente
proprietario dello Stato, "la guerra non toccherà minimamente
i suoi banchetti, le sue battute di caccia, i suoi castelli in campagna"
(da Per la pace perpetua).
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