Le
stragi
I
caduti della R.S.I., come altrove si è detto, assommarono a diverse decine di
migliaia. Centomila è la cifra che, presumibilmente, si avvicina di più alla realtà.
Molti caddero in combattimento, molti furono uccisi dai partigiani in un
agguato, molti civili furono prelevati nelle loro case e uccisi con un colpo
alla nuca.
Molti, invece, furono trucidati a guerra
finita, in una serie di episodi dove l’odio e lo spirito di vendetta, ma anche
il disegno preordinato dei partigiani comunisti, guidarono la mano di uomini
che con ferocia bestiale infierirono su giovani soldati che, fidando nelle
condizioni di resa stabilite, avevano deposto le armi nelle mani dei cosiddetti
Comitati di Liberazione o di bande partigiane. Dopo qualche tempo dalla fine
del conflitto (specialmente dopo il 18 aprile 1948), molti di quei crimini
furono denunciati e la magistratura pronunciò anche diverse sentenze di condanna. I responsabili della
strage di Oderzo, ad esempio, nelle persone di Adriano Venezian (Biondo),
Giorgio Pizzoli (Gim), Silvio Lorenzon (Bozambo), De Ros (Tigre), Diego
Baratella (Jack) vennero riconosciuti colpevoli di omicidio aggravato e
continuato e condannati, il 16 maggio 1953, a pene varianti dai 24 (Jack) ai 28
(Tigre) ai 30 anni (tutti gli altri). Ma le amnistie e gli indulti succedutisi
a ritmo febbrile su pressione dei comunisti, fecero sì che i cinque dopo pochi
anni vennero scarcerati e ricevuti a Botteghe Oscure con tutti gli onori da
Togliatti, Longo e Pajetta. Malgrado tutte le amnistie e tutti gli indulti,
tuttavia, alcune condanne rimasero da scontare, ma il sollecito Partito
Comunista di Togliatti provvide a far espatriare clandestinamente i condannati
verso la Jugoslavia e la Cecoslovacchia. Cosicchè pochissimi di quei criminali
hanno espiato le loro colpe. Ciò fu facile perché i partigiani, anche se
imputati di gravi crimini, non potevano essere arrestati. Il Decreto
Luogotenenziale 6 settembre 1946 n. 96, infatti, all’articolo 1 recitava:
“”…non può essere emesso un mandato di cattura, e se è stato emesso deve essere
revocato, nei confronti di partigiani, dei patrioti e (degli altri cittadini
che li abbiano aiutati) per i fatti da costoro commessi durante l’occupazione
nazifascista e successivamente sino al 31 luglio 1945…””
Qui si vogliono ricordare alcuni di quegli
orrendi assassinii.
NOTA: Questa pagina è in continuo aggiornamento. Chiunque può contribuire ad arricchirla segnalando altri particolari sulle stragi ricordate o segnalandone altre e diverse. Chi potrà e vorrà farlo avrà la gratitudine non solo del curatore di questo sito ma anche di tutti coloro che conservano e onorano la memoria di tutti i nostri caduti.
Indirizzare a : mariopellegrinetti@alice.it
Base Operativa Est della X^ Mas (I trucidati della)
Battaglione “Sagittario” della X^ (I morti del)
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Busto Arsizio (La strage nel carcere di)
Cartiera Burgo (Le stragi della)
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San Possidonio (La corriera della morte di)
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dal P.M.)
Scuola
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3° Rgt Milizia Difesa Territoriale
“G.D’Annunzio” (Le stragi del)
Thiene (La strage nel
carcere di)
Torino : L’assassinio
dell’Aviere ferito Cristiano Fulvio
Trausella (TO) (Assassinio della
levatrice di)
29^
Divisione SS (I trucidati della)
Negli ultimi giorni di aprile del 1945, esattamente il 28, 126 giovani militi dei Btg. “Bologna” e “Romagna” della GNR e 472 uomini della Scuola Allievi Ufficiali di Oderzo della R.S.I. (450 allievi più 22 ufficiali) si arresero al C.L.N. con la promessa di avere salva la vita. L’accordo fu sottoscritto nello studio del parroco abate mitrato Domenico Visentin, presenti il nuovo sindaco di Oderzo Ing. Plinio Fabrizio, Dr. Sergio Martin presidente del C.L.N., il Col, Giovanni Baccarani, comandante della Scuola di Oderzo e il maggiore Amerigo Ansaloni comandante del Btg. Romagna. Ma quando scesero i partigiani della Brigata Garibaldi “Cacciatori della pianura” comandati dal partigiano Bozambo l’accordo fu considerato carta straccia e il 30 aprile cominciarono a uccidere. Quel giorno furono massacrati senza pietà 13 uomini sulle rive del Monticano. La maggior parte, ben 100, furono uccisi al Ponte della Priula, frazione di Susegana e gettati nel Piave il 12 maggio. Pare si trattasse di 50 uomini del “Bologna”, 23 del “Romagna”, 12 della Brigata Nera, 4 della X^ MAS, e gli altri di altri reparti fra cui gli allievi della scuola. Infine:
LA BANDA DI “BOZAMBO”, “BOIA DI MONTANER”, AL
MATRIMONIO TRA ADRIANO VENEZIAN E VITTORINA ARIOLI, ENTRAMBI PARTIGIANI
Al banchetto di addio al celibato di Venezian uno
della banda affermò :- Ti auguriamo che tu abbia ad avere dodici figli e perché
questo augurio abbia ad essere consacrato domandiamo che siano uccisi, vittime
di propiziazione, dodici fascisti -.
Fu così che la mattina del 17 maggio scelsero
tredici allievi ufficiali della Scuola di Oderzo e li assassinarono nei pressi
del Ponte della Priula. (Particolare delle stragi di Oderzo).
(
Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)
Vedi anche,
qui appresso i caduti sulla corriera della morte. In totale le vittimo fra gli
ufficiali della scuola di Oderzo furono 144.
La corriera della morte
Verso la metà di maggio (esattamente nella notte fra il 14 e il 15) tre camion della Pontificia Opera di Assistenza venivano dal bresciano e trasportavano verso sud reduci della R.S.I. che cercavano di rientrare a casa. Uno veniva da Rezzato, uno da Erbusco e uno da Brescia. Su quest’ultimo c’erano anche 15 o 16 allievi della scuola di Oderzo. A Bondanello, però, la polizia partigiana che aveva sede nella casa del popolo di Moglia, fermò i camion (almeno due). Il primo, proveniente da Brescia trasportava 43 persone. Queste furono consegnate alla polizia partigiana di Concordia che ne rinchiuse 25 (pare) a Villa Medici, ribattezzata “Villa del pianto”. Questi furono depredati di tutto e massacrati il 17 maggio. Gli altri, due notti dopo, vennero caricati su un camion e fatti proseguire per Carpi . Ma giunti a San Possidonio furono scaricati, condotti a gruppi nella campagna circostante, depredati, seviziati e uccisi. Era la notte del 19 maggio. Fra tanto orrore un fatto ancora più orrendo: fra quei poveretti c’era anche una giovane donna con marito e figlio. Questi ultimi finirono massacrati con gli altri. La donna, al sesto mese di gravidanza, fu violentata da nove uomini e poi abbandonata in stato confusionale davanti ad un albergo di Modena. Dalle risultanze processuali pare che gli uccisi fossero, in totale, più di ottanta. Diversi responsabili furono identificati ma, come al solito, pur essendo stati ritenuti colpevoli, beneficiarono dell’amnistia (e del minaccioso sostegno del partito comunista) e rimasero impuniti.
Gli uccisi di Pescarenico (Lecco)
La sera del 26 aprile transitò per Lecco una colonna di 160 uomini del Gruppo Corazzato “Leonessa” e del Btg. “Perugia” che ripiegava su Como. A Pescarenico furono attaccati dai partigiani. Asserragliati in alcune case i militi si difesero per tutta la notte e per tutto il giorno 27. A sera, avendo quasi esaurite le munizioni, fu trattata la resa. Le condizioni erano che i militi dovevano avere la libertà e gli ufficiali la prigionia secondo la Convenzione di Ginevra. Dopo la resa tutti gli uomini furono picchiati e insultati e minacciati tutti di morte. Il giorno 28 i tredici ufficiali e tre vice brigadieri furono uccisi. Prima di morire lasciarono ai religiosi che li assistettero, toccanti lettere per i familiari.
Seguono
importanti contributi e l’elenco dei caduti del “Leonessa”, realizzati con la
collaborazione di Michele Tosca:
1) Lecco quarantasei anni dopo
- articolo del 1991
"Fu un
barbaro eccidio non una dolorosa necessità"
A Lecco, dopo quarantasei anni dall'aprile del 1945, taluno ancora si chiedeva come realmente andarono le cose nei giorni 26, 27, 28 aprile durante e dopo la sanguinosa battaglia che ebbe come epicentro il borgo di Pescarenico e, come protagonisti, da una parte centosessanta uomini del Gruppo "M" Leonessa e del Battaglione "Perugia" e dall'altra un numero imprecisato molto più rilevante dei partigiani della 55a Brigata Rosselli (ed altre).
Si leggeva infatti sul quotidiano cittadino del 27 aprile 1991 che "sulla tragica vicenda lecchese del 28 aprile 1945 era sempre stata fornita la motivazione di dolorosa necessita’: come a dire che i sedici giovani ufficiali e sottoufflciali della "Leonessa e del "Perugia", fucilati al campo sportivo di Lecco, per ordine del Comando partigiano, si fossero macchiati di crimini di guerra tali da costringere un sedicente tribunale del popolo a prendere la "dolorosa decisione" di assassinarli con giudizio sommario, malgrado si trattasse di militari in regolare uniforme, con precisi segni di riconoscimento e perciò stesso da considerarsi prigionieri di guerra tutelati dalla convenzione dell'Aja.
Nessuna diversa interpretazione dei fatti é sul piano giuridico, storico e morale possibile, nessun'altra e per nessun motivo. Del resto un atto di resa presuppone la cessazione contestuale del fuoco e quindi anche degli attacchi agli asserragliati.. Questo è fin troppo evidente.
Quei sedici ufficiali e sottoufficiali della "Leonessa" e del "Perugia" si erano arresi, dopo strenui combattimenti protrattisi dal tramonto del 26 aprile, al tramonto del 27 aprile, sulla base di precise condizioni sottoscritte da entrambe le parti e che prevedevano, dopo la cessazione del fuoco
1° - Onore delle armi secondo codice di guerra,
2° -
Salvacondotto entro tre giorni per i
mllitari di truppa, libe:i così
di rient:rare alle loro case,
3° - Applicazione della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di
guerra per tutti.
A quel momento i morti delle nostre fila erano nove, numerosi i feriti.
Cessato il fuoco, il 1° punto fu rispettato. Ci inquadrammo sul luogo degli scontri e procedemmo in formazione, affiancati dai partigiani sino alle scuole Ghislanzoni. Marciavamo con le nostre armi in spalla. La gente di Lecco sui marciapiedi, restava muta a guardare. Nessuna invettiva salì contro di noi. Probabilmente perché nessuno sapeva che l'ultima nostra preoccupazione, prima della resa, era stata di mettere fuori uso le armi.
Va chiarito una volta per tutte che, se vi fosse stato anche il più marginale dei rilievi da sollevare nei nostri confronti, quella sfilata drammatica ma solenne e silenziosa non avrebbe potuto esserci consentita.
Quello che accadde dopo,oltrepassato il cancello della nostra prima prigione,fu lo scatenamento della barbarie, com’e’ noto a tutti e come risulta dal memoriale di Luigi Brusa, Rettore del Santuario della Vittoria, ampiamente diffuso, pubblicato e abbastanza ricco di particolari, peraltro la relazione dei carristi Lombardi e Mandelli, allegata al fascicolo pubblicato di recente a cura dei Reduci del Gruppo "M Leonessa", attualmente in corso di ristampa, per una più vasta e approfondita documentazione storica, rispecchia con precisione e puntualità, financo nei particolari più terribili, i fatti.
Ci é stato chiesto: come eravate finiti a Lecco, quella sera? Una lapide sbrecciata e annerita dal tempo parla sul posto di nemico "nazifascista" in fuga. Da qualche anno quella lapide é stata guastata e non più sistemata, sicché l'elenco nominativo di tutti i caduti partigiani é scomparso, effetto di una debole e ingenerosa mancanza di memoria storica.
Noi arrivammo a quel tragico "appuntamento sul lago" dopo un difficile ripiegamento dall'Appennino fra Parma e Piacenza e la Val Trebbia. Il reparto aveva dovuto tenere la zona resistendo alla pressione sempre più ravvicinata di reparti partigiani e di calmucchi (ex prigionieri tedeschi) sotto gli attacchi quotidiani dei cacciabombardieri anglo-americani mirati alla distruzione dei pozzi petroliferi dell'Agip.
Può sembrare incredibile ma quei pozzi petroliferi avevano assicurato il funzionamento dei mezzi motorizzati in dotazione al Gruppo, il resto andava alle Forze armate repubblicane (vedi relazione Borgatti).
Ai primi di aprile i pozzi petroliferi di Montechino (Piacenza) furono infine bombardati con il fosforo, incendiati e praticamente distrutti dagli aerei anglo-americani, ciò nonostante il reparto della Leonessa mantenne malgrado tutto la posizione, ripiegando su Piacenza soltanto dopo il 20 di aprile.
La notte del traghettamento sul Po, il 23 o 24, esplose sotto gli attacchi aerei financo l'arsenale di Piacenza; le avanguardie corazzate americane in tale scenario apocalittico furono a lungo contrastate dai giovanissimi carristi della R.S.I..
Arrivammo, con i pochi mezzi rimasti, a Bergamo il 25 aprile, giusto in tempo per organizzare la colonna al comando del Tenente Ferraris, completa di due batterie di cannoni da 75/27. L'ordine ricevuto per radio da Milano era di raggiungere al più presto Como per poi arrivare al R.A.R. in Valtellina. In forza di quell'ordine, la colonna formatasi a Bergamo si mosse con i mezzi corazzati, con le due batterie di cannoni, con un reparto di esploranti e di motociclisti e con numerosi autocarri sovraccarichi di armi, munizioni e carburanti.
La pioggia, la nebbia e il caso determinarono lungo il percorso lo sdoppiamento della colonna e il conseguente dimezzamento del relativo potenziale in uomini e mezzi del troncone in movimento verso Lecco, direzione Como.
Alle porte di Lecco avvenne l’incontro con il Battaglione "Perugia" in gravi difficoltà per avarie agli automezzi. I Legionari del "Perugia" salirono così in gran parte sui nostri auto-carri e riprendemmo a muoverci insieme, una quarantina della "Leonessa e circa centoventi del "Perugia".
Fummo fermati all'altezza del ponte ferroviario sul Corso, in località Pescarenico all'altezza di via Como, da un intenso fuoco di mitragliatrici. Durante le ore successive ci fu un crescente scambio di raffiche, di attacchi e contrattacchi con i primi feriti e i primi caduti.
Frattanto fu posto in atto l'accerchiamento della colonna e quindi fu deciso di asserragliarci in tre case del Borgo Pescarenico. Gli scontri, il giorno dopo, furono violentissimi. Vennero impiegati contro i militari della "Leonessa" e del «Perugia» tutti i mezzi di cui la 55a Brigata Rosselli disponeva per effetto degli aviolanci ango-americani. Di più c'erano le armi consegnate dai tedeschi, già arresisi il 25 e il 26 aprile.
Circa la denominazione……"controllata" delle formazioni che parteciparono con grande e da noi riconosciuta audacia alle operazioni, ci fù detto. che si trattava appunto della 55a Brigata Rosselli. Successivamente la stampa di Lecco di quei giorni pubblicò servizi e interviste con vari comandanti, tutti coperti da nome di battaglia, sicché resta tuttora problematico assegnare la competenza e la responsabilità delle trattative per il cessate il fuoco a questo o quel personaggio.
Così come non é mai stata resa nota la
composizione del "tribunale del popolo" che sentenziò la fucilazione
dei sedici Ufficiali e Sottoufficiali della "Leonessa" e del
"Perugia". In ogni caso la volontà di procedere a una esecuzione di
massa e successivamente alla decimazione e non ancora alla eliminazione degli
Ufficiali e Sottoufficiali furono sempre prese dinnanzi a noi da uomini
vistosamente bardati di rosso.
Con i commilitoni del "Perugia" fraternizzammo subito e per tutta la giornata di fuoco, dividendo poi insieme le esperienze crudeli e violente della feroce prigionia al Ghislanzoni, ad Acquate, nel campo P.W. di Modena e poi ancora al campo 10 di Coltano.
Dagli eventi di quei giorni a Lecco i nostri caduti non sono stati lasciati soli. Vi è stata sempre la cura e il ricordo dei loro commilitoni sopravvissuti, e ciò si é concretizzato in un cippo eretto nel sacrario della "Piccola Caprera" dove ogni anno ci rechiamo a rendere onore a tutti i nostri caduti disseminati in Italia.
Va detto anche che, per interessamento di cittadini di Lecco, e in particolare della signora Mariadele Tentori, che videro lo svolgersi della battaglia e seguirono le sorti dei fucilati, dopo alcuni anni le autorità cittadine hanno ufficializzato la traslazione dei resti dal cimitero di Acquate, al santuario della Vittoria, dove sono stati tumulati accanto ai caduti di tutte le guerre, in forma solenne e con picchetto d'onore dell'Esercito italiano.
Quando i sedici giovani Ufficiali e Sottoufficiali furono portati dinanzi al plotone di esecuzione avevano già subito ogni sorta.di oltraggio e di violenza, di scherno ed umiliazione. In quell'aula della scuola Ghislanzoni dov'erano ammassati centosessanta giovani "di Pescarenico", esplose la furia bestiale di aguzzini che non potevano avere niente in comune con i combattenti che ci avevano attaccato in armi riuscendo a distruggere ogni cosa intorno a noi, incendiando la nostra colonna, bombardandoci con bazooka, con mortai, con armi pesanti, con due "dingo" blindate, alla fine addirittura con una sorta di treno blindato, venendo all'assalto allo scoperto e invano più volte, malgrado tutto. Gli scontri finali erano avvenuti a distanza ravvicinata, a tiro di bomba a mano. Ci si poteva quasi guardare negli occhi. Quanti fossero non saprei dire. Certamente - mi si lasci questo convincimento - non erano gli stessi che infierirono su di noi in quella tragica e profanata aula di scuola. Volevano in un primo tempo dare luogo alla strage, come infatti altrove é accaduto, ad esempio laddove allievi ufficiali delle varie scuole e ragazzi in camicia nera sono stati trucidati in massa. Poi i caporioni di quella pagina di furore selvaggio ripiegarono sulla soluzione "umanitaria" della decimazione e, visto che il conto tornava, sedici su centosessanta, accettarono alla fine l'olocausto offerto dagli ufficiali e sottoufficiali per salvare la vita ai ragazzi più giovani.
Il ricordo é fermo alle parole del Tenente Ferraris, quando insieme al Sottotenente Satta, venne alle nostre postazioni per illustrarci le modalità della resa respingendo la nostra alternativa di una sortita finale, alla grande e in bellezza. Con i due Ufficiali della "Leonessa" c'era un indescrivibile rapporto di sorridente amicizia: ci dissero però con molta fermezza che una sortita, in quelle condizioni essendo quasi del tutto esaurite le munizioni, avrebbe sicuramente portato a uno scempio imperdonabile di vite giovanissime. Come "veterani" all'età di diciannove anni, avevamo il dovere di curarci dei ragazzi più giovani, taluni di sedici anni.
Si è scritto, sempre nel giornale citato della presenza nelle case di Pescarenico di falchi e colombe: non é vero, c'erano semplicemente dei giovani che avevano conosciuto lunghe esperienze di guerra e ragazzini volontari di recente arruolamento.
L'ambizione dentro l'animo di taluno di noi poteva essere quella di diventare - o prima o poi - ufficiali come Ferraris e Satta; arrivare alla RAR (ridotta délla Valtellina), raggiungendo Mussolini a Como e poi, magari vedendo realizzato il progetto a lungo accarezzato della divisione corazzata "M" per l'estrema difesa della R.S.I..
Il non essere ancora ufficiali ci salvò invece la vita; il destino era tutto scritto. Non ci rimase che fermare e disarmare qualche carrista più giovane nell'atto di tentare il suicidio con la pistola di ordinanza, ascoltare le parole del Tenente Ferraris al momento di uscire dalle macerie delle case sbrecciate e fumanti, dinnànzi al cadavere del Sergente Alessandri, caduto in battaglia.
E poi quella maledetta prigione, l'addio dei nostri camerati, la loro ultima indimenticabile lezione di vita.
Queste riflessioni vanno ai giovani del F.D.G. di Lecco, che hanno voluto ricordare, sul luogo della esecuzione, i sedici martiri del 28 aprile 1945, chiedendoci di aiutarli a conoscere la verità. Era un appuntamento al quale avevo sempre pensato, quello di consegnare a dei giovani la testimonianza intorno a quelle giornate.
L'incontro a Lecco, promosso dal F.D.G., dirigente Alberto Arrighi, e della locale subfederazione, dirigente il professor Redaelli, alla presenza dello studioso dottor Viganò, ha avuto un interessante seguito con la presentazione del volume "Appuntamento sul lago" di Fabio Andriola, approfondita ricerca storica sulle vicende dell'aprile 1945 di rara e quindi preziosa efficacia.
La verità storica é che ci fu alla fine, e soltanto alla fine, una resa a condizioni da parte nostra, due su tre di quelle condizioni furono tradite e ne seguì dunque un eccidio a guerra conclusa, una vigliaccata e un crimine senza giustificazione.
Non credevamo, dopo tanto tempo, che ci fosse bisogno di chiarire alcunché, visto che proprio nella città di Lecco gli uomini della «Leonessa» hanno ricevuto gli onori militari, da vivi e da morti.
I giovani della F.D.G. hanno poeticamente chiamato la testimonianza di Ezra Pound e di Cesare Pavese. Un accostamento intellettualmente nobile che ha vanificato del tutto la tesi ciarlatana e sbrigativa della "dolorosa necessità", buona per mettere in pace la coscienza di chi ha il suo tornaconto nel cancellare la memoria storica degli eventi.
Lecco, oggi. Città ad alto reddito pro-capite corre velocemente al traguardo della provincia. Grande centro industriale sul lago di Como ai piedi della Valsassina e del Resegone di manzoniana memoria vive le contraddizioni laceranti di una società cittadina operosa, freneticamente impegnata a colmare i vuoti lasciati dallo Stato, i ritardi nell'attraversamento sotterraneo del centro, nella costruzione dell'autostrada per la Valtellina.
Nel grande cantiere della Lecco 1991 credo che sia ben difficile trovare occasione per i momenti di riflessione storica, di onesta rimeditazione intellettuale. Come in ogni centro di attività febbrile del mondo, la gente pensa giustamente a costruire, a edificare l'immagine di ciò che sarà la cittadina nel 2000, e vive l'ebrezza di questa lotta contro l'inerzia dello Stato, contro la pigrizia mentale e le regole lassiste del potere; può darsi che giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, finisca col cancellare il ricordo del passato e la stessa memoria storica.
Si cerchi di capire il perché del nostro "no" a una tale ipotesi; in così lunghi e intensi anni di impegno civile abbiamo coltivato una condizione umana e morale di rifiuto permanente e globale di tutti i feticci agitati per esorcizzare la nostra anima di uomini irrinunciabiimente liberi. In questo senso siamo sinceri sino alla provocazione e crediamo che sulla realtà di oggi, così come sulle verità di ieri, noi tutti, anziani e giovani, abbiamo le carte per confrontarci con gli altri, sui problemi, sulle attese civili della gente.
Ma abbiamo anche intenzione di guardare alle cose con il lucido rigore di una certa intelligenza del mondo nel quale viviamo nel senso cioé della sua cognizione profonda e meditata.
Per questo ci
sentiamo di rifiutare il senso di una giustificazione ipocrita di certi eventi
come stati di necessità, anche se dolorosa.
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2) CADUTI DEL GRUPPO CORAZZATO
"LEONESSA" DELLA R.S.I.
Capitano:
Aristide Lissa 07.06.44 - Santino di S.Bernardino Verbano NO
Tenenti:
Giovanni Ferraris 28.04.45 - Acquate di Lecco CO
Giannino Peri 00.02.45 - Autostrada TO-MI in seguito mitragliamento aereo
Giorgio Savoia 23.02.45 - Velleia - Gropparello Val d'Arda
Sottotenenti:
Bruno Berneschi 09.03.45 - Cisterna D'Asti
Ferdinando Camaiora 05.04. .45 Montechino-Groppparello PC
Valerio Cappelli 21.03.44 - Valp&lice - Pinerolo TO
Cesare De Giovanni 06.02.45 - Gassino Torinese TO
Roberto Petruzzi 13.02.46 - Pinerolo TO (trucidato al rientro da PI)
Armando Rinetti 26.04.45 - Piacenza Montale - morto nel carro semimovente L6 di Mimmo Bontempelli
Bruno Satta 28.04.45 - Acquate di Lecco CO
Stelvio Zenobi 05.04.45 - Montechino - Gropparello PC
Aiuto Capo:
Ernesto Battaille 01.01.45 - Milano- Piazza Firenze
Brigadieri:
Giuseppe Alessandri 27.04.45 - Pescarenico Lecco Co
Giuseppe Berini 04.05.45 - S.Eufemia di Brescia
Silvio Pilloni 06.02.45 - Gassino Torinese TO-
Savazzi - Piemonte
Vice Brigadiere:
Augusto Fumarola 06.04.45 - Rivergaro PC
Gottieri Pietro 25.04.45 - Piacenza (arso vivo mentre faceva
saltare il carro L3 di Mainardi)
Zanovello
Legionari:
Alberton Giuseppe 28.08.44 – Moncalieri TO
Valentino Mbini 29.12.44 - Torino
Aletteo 00.00.44 - Torino
Arnaldo Berini 04.05.45 - S.Eufemia di Brescia
Beretti 00.00.44 - Varallo Sesia
Mario Bonomi 21.03.44 - Valpellice Pinerdo TO
Rinaldo Brugnoli 16.03.45 - Rallio di Rivergaro PC
Esquilio Cerri 21.03.45 - Pinerolo TO
Cipollina 00.00.44 - Varallo Sesia
Renato Claps 30.06.44 - Lanzo TO
Antonio D'Agostino 27.04.45 - Torino
Achille Dejana 00.05.45 - Disperso durante il trasferimento ad Ivrea
Mariano Di Giovanbattista 05.04.45 - Torino
Fossati 00.00.00 - Torino
Carlo Gaffuri 10.04.45 – Osp. militare di Piacenza in seguito a ferite riportate a Gropparello PC
Emilio Legori 27.04.45 - Torino
Gregorio Maina 00.12.44 - Torino (mitragliamento aereo)
Carlo Manni 14.03.45 - Gropparello PC
Guido Minozzi 11.03.45 - Gropparello PC
Saverio Mazzoldi
Andrea Monzaschi 29.01.45 - Brescia (mitragliamento aereo)
Motisi 00.00.44 - Varallo Sesia
Giovanbattista Nobili 14.03.45 - Ospedale militare di Piacenza
Alberto Onorati 26.04.45 - Montale di Piacènza
Cesare Pecis 00.12.45 - Ospedale di Taranto al rientro dalla prigionia
Pelagatti 00.00.44 - Varallo Sesia
Sauro Saccomandi 30.01.45 - Torino
Giorgio Scoppino 06.02.45 - Gassino Torinese TO
Natale Spinella 06.02.45 - Gassino Torinese TO
Bruno Taddei 00.05.45 - Torino
Albino Valentino 29.12.44 - Torino
Emiliano Zini - Milano
Ufficiali n° 12
Sottoufficiali n° 08
Legionari n° 32
Totale militari n° 52
La strage di Monte Manfrei
(Savona)
In questo luogo isolato dell’Appennino Ligure, fra Genova e Savona, nei giorni tragici di fine aprile, primi maggio 1945, i partigiani trucidarono i 200 marò del presidio di Sassello della Divisione “San Marco”, quando la guerra si era ormai conclusa. I cadaveri, sepolti sotto poca terra nei dintorni, non sono stati ancora rinvenuti tutti, anche per l’omertà delle popolazioni, minacciate ancora adesso dagli assassini dell’epoca. Una grande croce ricorda ora i caduti e ogni anno, l’8 luglio, numerose persone salgono lassù e li ricordano con una toccante cerimonia.
La strage di Rovetta
(Bergamo)
Il 26 aprile 1945 un plotone della 6^ Compagnia della Legione Tagliamento di presidio al Passo della Presolana, al quale si aggiunsero alcuni militi della 5^, sentite le notizie della disfatta tedesca decise, malgrado la contrarietà di alcuni, di arrendersi, sollecitato in tal senso anche dal Franceschetti, proprietario dell’albergo che ospitava i militi e si diresse verso Clusone. Ma, giunti a Rovetta (BG), trattarono la resa col locale C.L.N. che promise un trattamento conforme alle convenzioni internazionali. Erano 46 militi comandati dal giovane S.Ten. Panzanelli di 22 anni. Deposte le armi, furono alloggiati nelle locali scuole elementari. Il prete del luogo, Don Giuseppe Bravi, era anche segretario del C.L.N. locale e garantiva il rispetto degli accordi. Ma una masnada di feroci partigiani, giunti da Lovere su due camion, impose la consegna dei prigionieri e il 28 aprile, dopo feroci maltrattamenti, 43 di loro (uno, Fernando Caciolo, della 5^ Cmp, sedicenne di Anagni, riuscì a fuggire e tre giovanissimi, Chiarotti Cesare, 1931, di Milano, Ausili Enzo, 1928, di Roma e Bricco Sergio, 1929, di Como, vennero risparmiati) vennero condotti presso il cimitero di Rovetta e qui fucilati. Ben 28 di loro avevano meno di 20 anni. L’ultimo ad essere ucciso, dopo aver assistito alla morte di tutti i camerati, fu il Vice brigadiere Giuseppe Mancini, figlio di Edvige Mussolini sorella del Duce.
Dopo la guerra alcuni di quei partigiani ritenuti responsabili della strage furono individuati e processati. Ma la sentenza fu di non luogo a procedere in forza del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, che in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”. Fu, cioè, dalla viltà dei giudici, considerata azione di guerra legittima anche il massacro di prigionieri inermi compiuta, per giunta, quando la guerra era ormai terminata.
(Redatto
con la collaborazione del ricercatore Giuliano Fiorani)
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO:
COMITATO ONORANZE CADUTI DI ROVETTA
Bergamo
26/05/2008
COMUNICATO
STAMPA
Questo
notte i “ soliti ignoti” hanno distrutto nel cimitero di Rovetta le lapidi commemorative dei 43 legionari
uccisi e di Padre Antonio il loro Cappellano
Evidentemente gli eredi degli assassini di
allora continuano a covare il loro odio insensato e bestiale. Tanto insensato e
tanto bestiale da infierire contro delle lapidi che ricordano dei morti.
L’estrema inciviltà dell’atto qualifica gli autori come persone profondamente
disturbate e incapaci di sentimenti normali. Dio abbia pietà delle loro anime.
La strage di Lovere (Bergamo)
Mercoledì 25 aprile 1945 un piccolo presidio della Legione “Tagliamento”, 26 militi della 4^ Cmp, II Rgt, di stanza nell’edificio delle scuole elementari a Piancamuno in Val Canonica venne sorpreso da un gruppo di partigiani fra i quali erano dei polacchi in divisa tedesca. Malgrado la sorpresa i militi reagiscono, ma le perdite sono gravi : 9 morti fra cui il comandante aiutante maresciallo Ernesto Tartarini e tre feriti. Anche il comandante partigiano, però, tale Luigi Macario, viene ucciso insieme ad altri due, cosicché i partigiani, rimasti senza comandante, cedono al fuoco intenso dei militi superstiti e si ritirano. A questo punto giunge in aiuto una squadra del plotone Guastatori al comando del brigadiere Amerigo De Lupis.
Egli si rende conto che i tre feriti che giaccioni all’Ospedale di Darfo non hanno una assistenza adeguata. Uno dei tre, infatti, Sandro Fumagalli, muore la mattina del 26. Allora nel pomeriggio il De Lupis, con una piccola scorta, porta i due feriti ancora vivi all’Ospedale di Lovere, sul lago d’Iseo. Ma egli non sa che i partigiani stanno occupando la città. Al mattino, infatti, il locale presidio del 612° Comando Provinciale della G.N.R. comandato dal Ten. Agostino Ginocchio si è arreso a un gruppo di partigiani e altri partigiani stanno affluendo dalle montagne. Così il De Lupis e i suoi uomini vengono sorpresi all’uscita dall’Ospedale e catturati. Condotti presso la casa canonica (Palazzo Bazzini) che veniva utilizzata come prigione, vennero rinchiusi insieme agli uomini del Ten. Ginocchio. Testimoni dell’epoca affermano che ai prigionieri vennero inflitti pesanti maltrattamenti. Il 30 aprile un legionario, Giorgio Femminini di 20 anni, ottenne di potersi sposare con la sorella di un commilitone, Laura Cordasco, così fu condotto in chiesa col De Lupis e il commilitone Vito Giamporcaro come testimoni. Ma poichè la cerimonia si prolungava i partigiani condussero via tutti gli uomini del De Lupis e li portarono dietro il cimitero dove furono massacrati con raffiche di mitra. Gli uccisi furono sei: Amerigo De Lupis, Aceri Giuseppe, Femminini Giorgio, Mariano Francesco, Giamporcaro Vito, Alletto Antonino. I due legionari: Le Pera Giovanni e De Vecchi Francesco, ricoverati, come si è detto, in ospedale per gravi ferite, furono quasi ogni giorno percossi e maltrattati e, infine, prelevati da partigiani fra il 7 e l’ 8 di Giugno, oltre 40 giorni dopo la fine della guerra, percossi, seviziati e, infine, gettati nel lago e annegati. Vedi la documentazione.
(redatto
con la collaborazione preziosa di Giuliano Fiorani e Sergio Geroldi)
I massacrati di Ponte Crenna (Pavia)
Il 12 agosto 1944 quattro giovani militi venivano catturati dai partigiani e barbaramente assassinati a Ponte Crenna nell’Oltrepo Pavese. Fra essi Walter Nannini, medaglia d’Argento alla memoria.
La strage di S.Eufemia e
Botticino Sera (Brescia)
Fra il 9 e il 13 maggio 1945 furono prelevati 11 fascisti a Lumezzane e altri a Toscolano Maderno. Orribilmente seviziati, 23 vennero uccisi proprio di fronte alla chiesa di S.Eufemia mentre altri 16 vennero uccisi e gettati in una fossa a Botticino, in una località detta Mulì de l’Ora. I civili erano 16 e 23 i militari di cui 9 erano della Divisione San Marco. I cadaveri furono ritrovati in stato di avanzata decomposizione, con tracce di inaudita violenza e le unghie strappate. Autori dell’eccidio furono i partigiani comandati da tale Tito Tobegia.
Nei giorni dal 23 al 26 aprile 1945 si erano concentrate a Vercelli tutte le forze della R.S.I. della zona, circa 2000 uomini, che andarono a costituire la Colonna Morsero, dal nome del Capo Provincia di Vercelli Michele Morsero. Tale colonna partì da Vercelli alle ore 15 del 26 aprile, dirigendo verso nord per raggiungere la Valtellina. I reparti che costituivano la colonna erano : Il 604° Comando Provinciale GNR Vercelli Comandato dal Colonnello Giovanni Fracassi, la VII^ B.N. “Punzecchi di Vercelli, parte della XXXVI^ B.N. “Mussolini” di Lucca, CXV° Btg “Montebello”, I° Btg granatieri “Ruggine”, I° Btg d’assalto”Ruggine”, I° Btg rocciatori (poi controcarro) “Ruggine”, III° Btg d’assalto “Pontida”. La colonna raggiunse Castellazzo, a Nord di Novare, la mattina del 27 aprile e, dopo trattative, la sera decise, dopo molte incertezze, di arrendersi ai partigiani di Novara dietro promessa di essere trattati da prigionieri di guerra. Il 28 aprile i prigionieri vengono condotti a Novara e rinchiusi in massima parte nello stadio. Subito cominciarono gli insulti e i maltrattamenti e il 30 cominciarono i prelevamenti di gruppi di fascisti dei quali non si ebbe più notizia. Lo stesso accadde nei giorni successivi insieme a feroci pestaggi. Il 2 maggio Morsero viene portato a Vercelli e fucilato. Intanto sono giunti gli americani che tentano di ristabilire un minimo di legalità. Ma il Corriere di Novara dell’8 maggio parla di molti cadaveri di fascisti ripescati nel canale Quintino Sella. Finché il 12 maggio giungono da Vercelli i partigiani della 182^ Brigata Garibaldi di “Gemisto” cioè Francesco Moranino che prelevano circa 140 fascisti elencati in una loro lista. Questi uomini saranno le vittime della più incredibile ferocia. Portati all’Ospedale Psichiatrico di Vercelli saranno, in buona parte massacrati all’interno di questo. Le pareti dei locali dove avvenne l’eccidio erano lorde di sangue fino ad altezza d’uomo. Altri saranno schiacciati in un cortile da un autocarro, altri fucilati nell’orto accanto alla lavanderia, altri, pare tredici, fucilati a Larizzate e altri ancora, infine, portati con due autocarri e una corriera (quindi in numero rilevante) al ponte di Greggio sul canale Cavour e qui, a quattro a quattro, uccisi e gettati nel canale. Nei giorni successivi i cadaveri ritrovati nei canali di irrigazione alimentati dal canale Cavour furono più di sessanta.
Solo il giorno 13 maggio, domenica, gli americani prenderanno il controllo dei prigionieri ed eviteranno altri massacri. Era già pronta la lista dei prigionieri da prelevare quello stesso giorno alle ore 18.
Note: (1) 5 erano della Brigata Nera, 3 della Polizia
Ausiliaria, 3 Ausiliarie, 34 fascisti e gli altri arrestati come tali, su
semplice indicazione di un partigiano. C’erano ragazze diciassettenni, donne
gravide, vecchi…Fra loro c’erano: Il Primario dell’Ospedale di Schio Dr.
Michele Arlotta, il Commissario Prefettizio Dr. Giulio Vescovi, i fascisti RSI
Mario Plebani, Tadiello Rino, Domenico e Isidoro Marchioro, il Dr. Diego
Capozzo, Vice Comm.Pref., Anna Franco di 16 anni, Calcedonio Pillitteri, reduce
dalla Russia, il vecchio Dr. Antonio Sella, che fu Podestà di Valoli del
Pasubio, Giuseppe Stefani già Podestà di Valdastico. (da “Nuovo Fronte” n. 247 del Giugno 2005,
pag. 10 , articolo firmato U.S.)
Qui furono uccisi, a guerra finita, dopo che si erano arresi ed erano stati disarmati, 33 militari della R.S.I.
I
morti di Agrate Conturbia (NO)
“Caduti per la Patria” sta scritto su una croce che fa la guardia a 33 salme di fascisti
senza
nome (fra cui due o tre donne), trucidati nel sottostante bosco detto “la
Bindillina” dai partigiani della zona.
Solo nel 1959 fu possibile individuarle in fosse comuni e riesumarle. Ma si
presume che gli uccisi il quel bosco siano stati molti di più, forse alcune
centinaia. Infatti negli anni novanta, durante la costruzione di un campo da golf,
vennero trovate molte ossa umane che, molto disinvoltamente, vennero gettate in
una discarica insieme alle sterpaglie. (Nuovo Fronte
n. 247 Giugno 2005)
A Bocchetta Sessera (Vercelli) una stele ricorda le decine di cadaveri di fascisti, non solo uomini ma anche donne, stuprate e seviziate prima di essere uccise, che si presume ancora si trovino nel bosco sottostante. Fu questa, una delle zone dove la ferocia partigiana toccò livelli inimmaginabili. Qui operava Francesco Moranino detto Gemisto che, ricordiamolo, nel 1955 fu condannato all’ergastolo dalla Corte d’Appello di Firenze per strage di partigiani non comunisti e che fuggì a Praga, da dove rientrò in Italia dopo che il P.C.I. lo ebbe fatto eleggere Senatore
Gli N.P. trucidati a
Valdobbiadene (Treviso)
Qui, dopo che il 9 marzo 1945 il grosso del Btg N.P. della
X^ fu trasferito sul fronte del Senio, rimasero a presidio soltanto 45 marò.
Essi, che avevano sempre vissuto in buona armonia con la popolazione e, quindi,
pensavano di non avere nulla da temere, dopo il 25 aprile, a guerra finita, si
consegnarono ai partigiani della Brigata “Mazzini” (Comandante Mostacetti). Ma
nella notte fra il 4 e il 5 maggio essi furono divisi in tre gruppi per essere,
si disse loro, trasferiti altrove. Il primo gruppo fu condotto in località
Saccol di Valdobbiadene, spinto in una galleria e, qui, trucidato a colpi di
mitra e di bombe a mano. La galleria, poi, fu fatta saltare per occultare il
crimine. Il secondo gruppo fu condotto in località Medean di Comboi. Qui ai
marò vennero legate le mani dietro la schiena con filo di ferro, indi, dopo
essere stati depredati, vennero uccisi e bruciati. Stessa sorte ebbe il terzo
gruppo, condotto in località Bosco di Segusino.
L’eccidio del 2° R.A.U.
Gli uomini del 2° R.A.U. ( Reparti Arditi Ufficiali) appartenente al R.A.P (Raggruppamento Anti Partigiano), che operava in Piemonte, si arresero ai partigiani il 27 aprile a Cigliano, a nord di Torino, essendo stato promesso il trattamento dovuto ai prigionieri di guerra e l’onore delle armi. Ma il 29 vengono divisi in due gruppi: nel primo vengono inclusi quasi tutti gli ufficiali, le ausiliarie e due signore mogli di ufficiali, nel secondo gli altri. Il primo gruppo viene condotto a Graglia fra inauditi maltrattamenti, senza cibo ne acqua per tre giorni. Fu negata l’acqua anche alla signora Della Nave, incinta. Il 2 di Maggio 1945 furono divisi in tre gruppi: il primo fu condotto al ruscello che divide il comune di Graglia da quello di Netro, il secondo in località Paiette e il terzo alla Cascina Quara presso il Santuario. E furono tutti trucidati. Oggi tutte le salme riposano in una tomba-ossario nel cimitero di Graglia dove una lapide bronzea recante il gladio della R.S.I. che ne ricorda il sacrificio.
L’eccidio dei fratelli
Govoni
Alle ore 23 dell’11 Maggio 1945, venerdì, ad Argelato (Bologna), frazione Casadio, podere Grazia, assieme al altri dieci fascisti prelevati a San Giorgio in Piano, partigiani emiliani trucidavano, dopo averli condotti, legati a 3 a 3, presso una fossa anticarro, i sette fratelli Govoni che erano stati prelevati a Pieve di Cento la mattina alle 6,30 : Dino, 40 anni, falegname, Marino, 34 anni, contadino, Emo, 31 anni, falegname, Giuseppe, 29 anni, contadino, Augusto, 27 anni, contadino, Primo, 22 anni, contadino e Ida, di appena venti anni, sposata ad Argelato e madre di un bambino. Prima della morte tutti furono picchiati a sangue e seviziati in vario modo. Solo Dino e Marino avevano militato nella R.S.I., Marino come brigadiere della G.N.R. e Dino come semplice milite. Nel 1951, quando fu scoperta la fossa dove giacevano i corpi dei 7 fratelli insieme a quelli degli altri dieci fascisti, si scoprì lì vicino un’altra fossa con i resti di 25 cadaveri.
Gli uccisi del XIV Btg
Costiero da Fortezza
Il 5 Maggio 1945, a guerra ormai conclusa, 20 militi del battaglione, che aveva valorosamente combattuto a difesa dei confini orientali, si consegnarono ai partigiani, fidando nelle leggi internazionali che tutelano i prigionieri di guerra. Ma i partigiani, totalmente irrispettosi di ogni legge, li condussero, dopo molte marce, a Sella Doll di Montesanto e qui, fattili inginocchiare sul bordo di una trincea della prima guerra mondiale, barbaramente li uccisero con un colpo alla nuca.
La strage di Codevigo (Padova)
Qui nei primi giorni del Maggio 1945 (fra il 3 e il 13) furono seviziate e uccise oltre 365 persone fra cui 17 fascisti (uomini e donne) dello stesso Codevigo (12 maggio). I militari, appartenenti a formazioni R.S.I. della provincia di Ravenna, erano stati catturati negli ultimi giorni di aprile e chiusi in carcere. Ma i partigiani romagnoli della 28^ Brigata Garibaldi “Mario Gordini” al comando di Arrigo Boldrini “Bulow” li prelevarono dicendo che li avrebbero condotti a Ravenna. Li condussero, invece, a Codevigo e qui, dopo averli seviziati, li condussero al ponte sul fiume Brenta e li uccisero a due a due, gettandoli poi nel fiume. Molte salme furono trascinate via dalla corrente. Altre, gettate nei cimiteri dei dintorni, furono recuperate per l’opera instancabile di Rosa Melai che, il 27 maggio 1962 riuscì a inaugurare l’Ossario dove potè radunare le salme ritrovate. Oggi sono 114 i caduti che qui hanno trovato riposo e rispetto.
I trucidati a Ponte di
Greggio (VC)
I fatti avvennero nei primi giorni del Maggio 1945. Un numero imprecisato di fascisti della Repubblica Sociale Italiana vennero trucidati e i loro corpi gettati dal ponte nelle acque del canale Cavour. (Vedi la voce “Ospedale psichiatrico di Vercelli”)
I massacri dei bersaglieri del “Mussolini”
Come è noto il Btg di bersaglieri volontari “Mussolini” fronteggiò gli slavi del X° Corpus sul fronte orientale fin dal 10/12 ottobre 1943. Il 30 Aprile 1945, dopo la morte di Mussolini e la resa delle truppe italo-tedesche, anche gli uomini del “Mussolini” decisero di arrendersi ai partigiani di Tito, alle condizioni stabilite che prevedevano l’immediato rilascio dei soldati e la trattenuta dei soli ufficiali per accertare eventuali responsabilità. Ma i “titini” si guardarono bene dal rispettare le condizioni concordate e, invece di lasciare liberi i soldati, condussero tutti a Tolmino e li rinchiusero in una caserma. Da qui qualcuno fortunatamente riuscì a fuggire, ma, dopo alcuni giorni, 12 ufficiali e novanta volontari furono prelevati, condotti sul greto dell’Isonzo e, qui, trucidati. Dopo altri giorni altri dodici furono prelevati, condotti a Fiume e uccisi. E ancora il 18 maggio dall’Ospedale Militare di Gorizia furono prelevati 50 degenti e uccisi. Dieci erano bersaglieri. Intanto i sopravvissuti avevano iniziato una marcia allucinante, senza cibo né acqua, picchiati e seviziati, e altri furono uccisi durante la marcia. Finalmente giunsero al tristemente famoso campo di prigionia di Borovnica ove fame, epidemie, sevizie e torture inumane seminano morte fra gli odiatissimi bersaglieri. Alla chiusura di quel campo, nel 1946, i sopravvissuti furono internati in altri campi ove le condizioni non migliorarono assolutamente. Alla fine, il 26 giugno 1947, soltanto 150 bersaglieri, ridotti in condizioni inumane, poterono tornare in Italia. Dei quasi quattrocento caduti del battaglione, ben 220 furono quelli uccisi dopo il 30 aprile 1945.
La strage delle ausiliarie
Negli ultimi giorni dell’ Aprile e nei primi di Maggio 1945 l’odio bestiale dei partigiani si scatenò con particolare accanimento contro le donne che avevano prestato servizio in qualità di ausiliarie nell’esercito della R.S.I. Esse subirono torture, pestaggi, sovente stupri ripetuti, e si tentò di umiliarle in ogni modo, spesso denudandole ed esponendole così al ludibrio di folle imbestialite.
Giorgio Pisanò, nella sua “Storia delle Forze Armate della R.S.I.” (cui si rinvia per approfondimenti) ricorda diecine di casi di ausiliarie, spesso giovanissime, catturate da sole o in piccoli gruppi e, poi, martirizzate e trucidate. L’elenco delle ausiliarie cadute che compare in detta opera è di 200 nominativi, ma si avverte che tale elenco non è completo proprio perché non è mai stato possibile fare luce completa sulla quantità di crimini commessi dai partigiani in quella primavera di sangue a danno di queste giovani donne coraggiose e fedeli fino alla fine. Nella sola Torino ne furono massacrate 18.
L’olocausto della “Monterosa”
Tra il 24 e il 25 Aprile tutte le truppe schierate sul fronte alpino occidentale ricevettero l’ordine di ripiegare sul fondovalle. Così anche gli uomini della Divisione Alpina “Monterosa” iniziarono il ripiegamento. E, a cominciare dal 26 aprile, molti reparti, ad evitare spargimenti di sangue ormai inutili, si arresero al C.L.N. della zona avendo formali promesse di trattamento conforme alle leggi internazionali. Purtroppo tali leggi non furono rispettate e anche qui, come altrove, decine e decine di uomini ormai disarmati, furono trucidati con bestiale ferocia. Non è possibile ricostruire tutti i fatti, molti dei quali, probabilmente, non sono mai stati resi noti. E’ molto noto, invece, il caso degli uomini del Btg “Bassano” che si erano arresi il 26 aprile al C.L.N. di Saluzzo. Come al solito essi avevano avuto ampie garanzie di salvaguardia della loro incolumità. Ma, ancora come il solito, tali promesse non erano state rispettate. E l’Avv. Andrea Mitolo di Bolzano, già ufficiale del “Bassano”, con una circostanziata denuncia alla Procura della Repubblica di Saluzzo, descrive la fine di ventidue uomini, ufficiali e soldati, trucidati dai partigiani di “Gianaldo” (Italo Berardengo) dopo che si erano arresi ed erano stati disarmati.
Né, parlando della Monterosa, possiamo non ricordare l’infame attentato alla tradotta che trasportava sul fronte occidentale gli uomini della “Monterosa” che erano stati ritirati dal fronte della Garfagnana. Tra Villafranca e Villanova d’Asti fu minata la linea ferroviaria e l’esplosione, provocata al passaggio della tradotta, travolse due vagoni e uccise 27 alpini ferendone altri 21 anche in modo molto grave. Malgrado l’odiosità del vile attentato non fu attuata alcuna rappresaglia.
I trucidati della Divisione “Littorio”
Negli ultimi giorni di Aprile anche i reparti della “Littorio” che, come è noto, difendevano i confini occidentali, iniziarono il ripiegamento verso il fondo valle. Anche qui, come altrove, i reparti che rimasero in armi fino all’arrivo degli anglo-americani, si consegnarono a questi e furono avviati ai campi di concentramento.
Quelli, invece, come il III Btg del 3° Rgt granatieri, si consegnarono ai partigiani, ebbero sorte diversa. Era stato raggiunto un accordo coi partigiani del capitano Aldo Quaranta per un indisturbato deflusso di tuti i reparti e il III Btg, giunto il 27 aprile a Borgo San Dalmazzo, si arrese al capo del CLN del luogo, tale Oratino. L’accordo era che i militari sarebbero stati messi gradualmente in libertà forniti di lasciapassare. Fra gli uomini del Btg e i partigiani non c’erano mai stati scontri o altri incidenti, per cui il patto fu accettato dagli uomini della “Littorio” fidando nella parola dell’Oratino. Ma anche questa volta gli uomini del CLN e i partigiani non tennero fede alla parola data e il Maggiore Grisi, comandante del III Btg, il maggiore Montecchi, il Ten. Buccianti, il Cap. Calabrò, i Marescialli Sanvitale e Magni, il Caporal Maggiore Sciaratta ed altri furono uccisi alcuni dopo un processo sommario, altri senza processo e, soprattutto, senza che fossero loro contestate reali colpe.
I morti della Divisione “San Marco”
Negli ultimi giorni di Aprile, a guerra conclusa, molti uomini della Divisione “San Marco” furono uccisi dai partigiani. Giorgio Pisanò, nella sua “Storia delle Forze Armate della R.S.I.” ne elenca alcune centinaia fra cui circa 300 ignoti ancora in divisa ma privi di ogni segno di riconoscimento, trucidati a Colle di Cadibona, Monte Manfrei (vedi), Passo del Cavallo, Santa Eufemia e in altri luoghi.
Il Deposito Divisionale, ritiratosi a Lumezzane V.T., qui il 27 aprile accettò la resa con l’onore delle armi e un promesso salvacondotto per tutti. Ma una volta deposte le armi i partigiani, fedifraghi come sempre, condussero gli ufficiali a Gardone e, dopo due giorni, li trucidarono a S.Eufemia della Fonte (BS). Fra di essi il Comandante del Deposito Ten. Col. Zingarelli, la cui salma, ritrovata con le altre orrendamente mutilate, potè essere identificata in virtù di un maglione blu che era solito indossare.
I trucidati della 29° Divisione SS italiane
I reparti più atti al combattimento di questa divisione (
Btg “Debica” e Gruppo di combattimento “Binz”) si arresero agli americani nei
giorni 29 e 30 aprile. Il resto della divisione, invece, ( Btg Pionieri e Btg
dislocati a Mariano Comense e a Cantù) dopo una strenua resistenza condotta
fino all’esaurimento delle munizioni, fu catturato dai partigiani. Gli
ufficiali furono tutti trucidati. Il Ten. Luigi Ippoliti, ferito, fu prelevato
in ospedale il 5 maggio 1945, condotto presso il cimitero di Meda e qui
massacrato legato alla barella.
I caduti del 3° Rgt Bersaglieri volontari
Il I Btg era schierato a Genova e a levante di Genova. I reparti che erano a levante di Genova si sacrificarono quasi interamente per contrastare l’avanzata del negri della 92^ Div. “Buffalo”. I reparti che si trovavano in città furono attaccati dai partigiani e si difesero fino all’ultima cartuccia. Essendo ormai disarmati, furono catturati e, immediatamente, quasi tutti uccisi. Il II Btg si trovava, invece, in Liguria in difesa del confine occidentale. Quando giunse l’ordine di ripiegamento, risalì insieme alla 34^ Div. Tedesca fino a Quagliuzzo in Piemonte e qui, il 3 maggio, si arrese al CNL locale previo rilascio di un lasciapassare per tutti gli uomini. Malgrado il lasciapassare, però, il Cap. Francoletti e il Ten. Casolini furono condotti sul greto della Dora e qui massacrati. I corpi non furono mai ritrovati. Questo Btg ebbe anche due giovani mascotte, di quattordici e 12 anni, assassinate dai partigiani.
I caduti dei Guastatori del Genio II Btg
Anche questo reparto (che aveva poi assunto il nome di II Btg Pionieri “Nettuno”) ebbe i suoi caduti dopo la cessazione delle ostilità. Nei giorni successivi al 25 aprile 1945 il Btg fu sciolto a Somma Lombardo (Varese). La popolazione del luogo si adoperò in ogni modo per salvare gli uomini del Btg, favorendo il rientro nelle loro famiglie. Malgrado il generoso intervento, i partigiani catturarono il Capitano Dino Borsani e, dopo due settimane di torture, lo trucidarono insieme a tre militari sulle rive del Ticino. Era il 10 maggio 1945.
Gli uccisi del Btg Volontari Mutilati “Onore e
Sacrificio”
Anche questo Battaglione che la Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra aveva voluto costituire (come già accadde durante la campagna etiopica del 1936) ebbe trucidati molti dei suoi appartenenti. Il Btg era stato costituito a Milano e qui era sempre rimasto, a svolgere compiti territoriali. Dopo la resa anche su questi mutilati infierì la ferocia partigiana e, allorché ebbero deposto le armi, molti furono gli assassinati
Pur non essendo accaduto dopo il termine della guerra, si ritiene opportuno narrare qui anche questo fatto, per la vigliaccheria con cui venne consumato l’agguato. L’8 di luglio del 1944 un reparto motorizzato del Btg “Barbarigo” della X^ MAS, che dalla metà di giugno si trovava in Piemonte, al ritorno da una missione fece sosta nella piazza di Ozegna. Lo comandava il Capitano di Corvetta Umberto Bardelli, comandante del Battaglione. Sulla stessa piazza si trovavano alcuni partigiani coi quali Bardelli avviò una pacata discussione invitandoli a non combattere contro altri italiani per conto dello straniero invasore. La conversazione fu pacata e i partigiani ammisero che occorreva fare fronte comune contro gli stranieri. Ma l’atteggiamento remissivo e non ostile nascondeva l’agguato. Infatti, mentre essi parlavano in quel modo con Bardelli, un centinaio di partigiani si ammassarono nelle vie che sboccavano nella piazza e, non appena i parlamentari partigiani si allontanarono, un inferno di fuoco si scatenò sugli uomini del “Barbarigo”. Bardelli tentò di organizzare la resistenza, gridando: - Barbarigo non si arrende - , ma cadde quasi subito sotto il fuoco delle armi partigiane della banda di Piero Urati (detto Piero Pieri) insieme a dodici marò. I sopravvissuti, molti dei quali erano feriti, dovettero arrendersi.
Il massacro del Distaccamento “Torino” della X^
Il 26 aprile 1945 le forze del Presidio militare di Torino
lasciarono la città agli ordini del comandante regionale militare Gen.
Adami-Rossi. Ma il distaccamento “Torino” della Decima Flottiglia MAS non le
seguì e si chiuse nella caserma Montegrappa preparandosi ad una resistenza ad
oltranza. Disponeva anche di qualche carro armato. La resistenza durò tre
giorni ma alla fine, esaurito il carburante per i carri e scarseggiando le
munizioni, il 30 aprile cessò. Qualcuno riuscì a mettersi in salvo attraverso
certi cunicoli sotterranei, ma sui rimasti si abbattè la ferocia partigiana.
Circa 70 uomini furono fucilati nel cortile della caserma, altri furono
massacrati dalle varie formazioni partigiane che avevano partecipato
all’assalto e alla cattura di prigionieri. Alla fine, dopo che avevano dovuto
assistere al martirio dei camerati, vennero fucilate anche tutte le ausiliarie
del reparto.
Il sacrificio della Compagnia “Adriatica” della X^
MAS
All’atto dell’abbandono di Ravenna il Ten. Di Vasc.
Giannelli costituì, coi marinai presenti, una compagnia di fucilieri. Era il 1°
dicembre 1944. Spostatasi a Chioggia, la
compagnia si aggregò alla X^ e, nel gennaio 1945, partì per Fiume e, da qui, si
portò sull’isola di Cherso. Qui, nel maggio 1945, la compagnia si sacrificò
pressoché per intero per la difesa dell’isola.
Il sacrificio della Compagnia “D’Annunzio” della X^ MAS
Costituitasi a Fiume nel maggio 1944, fu l’estremo
avamposto della Decima sui confini orientali. Posta alla difesa di Fiume,
costituì anche tre distaccamenti: Laurana, Lussimpiccolo e Lussingrande. Il 25
aprile 1945 Laurana venne attaccata dai
“titini” e i 130 marinai si difesero strenuamente fino all’arrivo dei soccorsi.
Ma ben 90 caddero nello scontro. Gli altri due distaccamenti si difesero
eroicamente fino alla totale distruzione. Fiume si difese con uguale valore
fino al 1° maggio, nella vana attesa di uno sbarco anglo-americano. E il 2
maggio i superstiti furono catturati dagli iugoslavi. Ben pochi rientrarono
dalla prigionia nel 1947.
Il sacrificio della Compagnia “Sauro” della X^ MAS
Costituita a Pola nel settembre 1943 con gli uomini del deposito del Reggimento San Marco rimasti, dopo la visita di Borghese passò alle dipendenze della X^. A fine aprile e fino al 3 maggio combattè strenuamente fino all’ultimo per la difesa della città. Pochi sopravvissero e furono catturati dagli slavi.
I trucidati della base operativa “Est” della X^
La Base “Est” aveva sede a Brioni Maggiore ma, a fine aprile, col precipitare degli eventi, si concentrò presso il Comando di Marina-Pola. Dopo aver partecipato alla difesa della città, quando essa cadde il personale fu catturato dagli slavi. Solo quattro marinai furono risparmiati. Ufficiali, sottufficiali e 50 fra gradutai e marinai furono trucidati a Portorose, a Brioni e a Pola.
Il sacrificio della Scuola Sommozzatori della X^
Questa scuola, costituita a Portofino nel gennaio 1944, nell’estate fu trasferita in Istria, sul confine orientale, a Portorose. Una parte del personale, catturata negli ultimi giorni di aprile, fu subito passata per le armi. Altri, caduti prigionieri a Pola ove si erano concentrati, finirono nei terribili campi di concentramento iugoslavi. Pochi i sopravvissuti.
I morti del Btg. “Sagittario” della X^
Il 30 aprile 1945 il Btg., insieme ad altri reparti del II° Gruppo di Combattimento, raggiunse Marostica e qui, secondo gli ordini, si dette in prigionia agli americani. Ma, dopo la resa, il Comandante Ten.Vasc.F.M. Ugo Franchi e numerosi marinai, furono prelevati e assassinati dai partigiani.
L’assassinio del Maggiore Adriano Visconti
Il 29 aprile 1945 a Gallarate il Primo Gruppo Caccia dell’Aeronautica Repubblicana si arrendeva al CLN del luogo previo accordo che garantiva a tutti l’incolumità. Gli ufficiali vennero condotti a Milano nella Caserma del “Savoia Cavalleria” in Via Vincenzo Monti. Qui, contrariamente agli accordi, gli ufficiali, cui era stato concesso di tenere le proprie armi, vennero disarmati. E mentre attraversavano il cortile della caserma, il Maggiore Adriano Visconti, comandante del Gruppo e il S.Ten. Valerio Stefanini, Aiutante Maggiore, vennero vilmente assassinati con raffiche di mitragliatore sparati alle spalle. Furono sepolti nel cortile stesso della caserma.
I massacrati del Btg. “Folgore”
Il 29 aprile 1945 il Btg. “Folgore” del Rgt “Folgore” si stava dirigendo verso Venaria Reale. Contemporaneamente una pattuglia su un autocarro si diresse a Torino per ritirare alcuni autocarri presso il deposito reggimentale e per recuperare i feriti del Btg presso l’O.M. Ma a Porta Susa un blocco partigiano impedì la realizzazione del progetto. Allora il sottufficiale capo-pattuglia parlamentò coi partigiani ed ebbe l’assicurazione che i feriti sarebbero stati rispettati. Purtroppo, invece, tutti i feriti furono massacrati. Il 1° maggio il Btg., giunto a Strambino il giorno prima, si sciolse, e il Capitano Fredda sciolse gli uomini da ogni obbligo. Ma quasi nessuno abbandonò il reparto che il 5 maggio, ad Ivrea, si consegnò in prigionia di guerra agli americani ricevendo l’onore delle armi. L’ausiliaria Portesan e il sergente maggiore Ciardella furono i soli a lasciare il Btg il 2 maggio, ma, appena fuori dalla zona presidiata, furono trucidati dai partigiani.
Fra il 26 e il 27 aprile 1945 cessava la resistenza dei presidi della GNR rimasti in città. Con l’assunzione del potere da parte del CLN iniziarono i massacri che coinvolsero anche gran parte dei familiari dei militi. Massacri che continuarono anche dopo l’arrivo a Genova della 92^ Div. “Buffalo” americana.
I partigiani entrarono in Imperia il 25 aprile 1945. Fu subito costituita una “commissione di giustizia” che arrestò 500 fascisti o presunti tali. Si disse che era per salvaguardarne la vita. Ma il 4 maggio una quarantina di loro fu seviziata e uccisa. E anche nella provincia avvennero massacri spaventosi.
Il
608° Comando Provinciale GNR, fedele alle consegne, non si sbandò il 25 aprile
1945 e, chiusisi i vari distaccamenti nelle caserme, resistè fino all’ultima
cartuccia. Dopo di che, malgrado le promesse di rispetto della vita, ci furono
i massacri, compiuti prevalentemente dai partigiani dell’Oltrepo pavese. Interi
plotoni vennero passati per le armi. E le uccisioni continuarono anche quando i
pochi superstiti ritornarono alle loro case dai campi di concentramento.
Anche qui le forze del 609° Com. Prov. GNR rimaste sul posto, dopo essere state sopraffatte il 26 aprile 1945, subirono le atroci vendette dei partigiani che, dopo aver subito fucilato il Cap. Osvaldo Pieroni con alcuni altri, continuarono fino a tutto maggio le esecuzioni sommarie, abbandonando insepolti i cadaveri, spesso rimasti senza nome.
Nella notte del 27 aprile 1945 il Colonnello Vanini aveva ordinato la resa e lo scioglimento del 610° Com. Prov. GNR. Ciò fu fatto, come dagli altri reparti della R.S.I., per evitare il bombardamento della città che sarebbe stato richiesto dai partigiani. Subito dopo cominciarono, anche qui, le sevizie e le uccisioni di numerosissimi militari, che continuarono per quasi tutto maggio.
Il
25 aprile 1945 a Sondrio comandava i circa 3000 uomini della R.S.I. il generale
Onorio Onori che avrebbe dovuto organizzare il famoso ridotto della Valtellina.
Altri 1000 uomini al comando del Maggiore Renato Vanna sono a Tirano e cercano
di raggiungere Sondrio. Il Maggiore Vanna, con 300 uomini, tenta di forzare gli
sbarramenti opposti dai partigiani, ma ecco che il generale Onori e Rodolfo
Parmeggiani, federale di Sondrio, gli vanno incontro a Ponte in Valtellina, a 9
Km da Sondrio, gli comunicano di essersi arresi il giorno prima e lo invitano a
fare altrettanto. E’ il 29 aprile. Tutti i prigionieri vengono chiusi nel
carcere di via Caimi o nell’ex casa del Fascio. E qui, malgrado le solite promesse di trattamento civile e conforme
alle convenzioni internazionali, ai primi di maggio ebbero inizio le uccisioni
di massa. Il 4 maggio furono prelevati 8 uomini, condotti ad Ardenno, obbligati
a scavarsi la fossa e uccisi. Il 6 maggio ne furono prelevati 13, condotti a
Buglio in Monte e uccisi. Il 7 maggio fu la volta di altri 15. Condotti vicino
a Bagni del Masino, furono mitragliati alle gambe e, poi, bruciati vivi. Si
calcola che, in totale, gli uccisi siano stati oltre 200. Secondo alcuni
addirittura 500. Fra gli uccisi anche l’ausiliaria Angela Maria Tam, il
maggiore Vanna e due Capitani medici. Il S.Ten. Paganella fu gettato da un
campanile. Molti uccisi ebbe anche il I Btg Milizia Francese, dipendente dallo
stesso Comando.
Gli
uomini del 613° Com. Prov. GNR si arresero fra il 28 e il 30 aprile 1945. Subito
ci furono sevizie e uccisioni compiute dai partigiani. Il maggiore Spadini subì
un vergognoso processo e fu condannato a morte e fucilato il 13.2.1946. Il
23.4.1960 la vedova ricevette una telefonata del Ministro di Grazia e Giustizia
On. Guido Gonella che gli annunciava l’annullamento della sentenza della Corte
d’Assise Straordinaria di Brescia e la riabilitazione del marito.
Le
forze del 616° Com. Prov. GNR furono particolarmente pressate dalle ingenti
bande partigiane della zona. Il 25 aprile 1945 il presidio di Strabella visse
un episodio eroico. Per consentire al grosso delle truppe di ritirarsi verso
nord, dodici giovanissimi volontari si assunsero il compito di impegnare le
forze partigiane. I dodici giovani, poi ridotti a sei, si difesero
disperatamente per tutto il giorno e tutta la notte. Poi accettarono la resa
con l’onore delle armi. Ma poco dopo, furiosi per essere stati tenuti in scacco
da sei ragazzi, i partigiani li prelevarono (ad eccezione di uno che riuscì a
fuggire) e li fucilarono insieme ad altre 14 persone. La stessa sorte fu
riservata a molti militi dehli altri presidi.
Gli
uomini del 619° Com.Prov. GNR, all’atto dello sfondamento del fronte
nell’aprile 1945 si ritirarono verso le montagne. Ma qui dovettero arrendersi
ai partigiani. Vari distaccamenti, però, si difesero strenuamente finchè
vennero sopraffatti e massacrati con inaudita ferocia. Vedi anche il terribile
massacro di Schio.
Anche
in questa provincia gli uomini del 620° Com. Prov. GNR, dopo la resa avvenuta
fra il 27 e il 30 aprile 1945, subirono la feroce vendetta partigiana. A Revine
Lago, a Oderzo, a Susegana furono soppressi centinaia di uomini. Quelli del
presidio di Fregona, arresisi il 27 aprile, furono portati a Piano del
Cansiglio e infoibati.
Il
623° Com. Prov. GNR cessò di esistere il 28 aprile 1945. In tutta la provincia infierirono
gli uomini della brigata garibaldina di “Bulow” (Boldrini) che commisero
innumerevoli eccidi.
Il
629° Com. Prov. GNR partecipò, il 21 aprile 1945, alla difesa di
Bologna, poi si ritirò verso il Po e qui si sciolse. I suoi uomini furono
braccati e moltissimi furono gli assassinati e lasciati senza sepoltura.Pare
che gli uccisi dopo il 21 aprile 1945 nel bolognese ammontino a 773 di cui 334
civili fra cui 42 donne.
Il
631° Com. Prov: GNR partecipò alla difesa della città il 23 aprile 1945, poi una
colonna si ritirò fino a Casalpusterlengo ove si sciolse. Ma i presidi di
Colorno e di Salsomaggiore furono massacrati al completo. E il 26 aprile a
Parma in via Giuseppe Rondinoni furono uccisi 10 bersaglieri della divisione
“Italia”.
Il
633° Com.Prov.GNR nell’aprile 1945 si ritirò ordinatamente fino quasi a Como
dove si sciolse. Ma nella provincia di Modena le uccisioni indiscriminate di
fascisti continuarono fino al 1946. I fascisti uccisi nel modenese pare
ammontino a 893. Per notizie particolareggiate vedi anche il sito http://members.xoom.it/fratricidio
.
Gli
uomini del 636° Com. Prov. GNR ripiegati al nord, confluirono nel Btg.
“Romagna” che fu inviato nel Veneto. Qui, negli ultimi giorni di aprile 1945
avvenne la resa e, dopo la resa, il pressoché totale annientamento ad opera dei
partigiani.
Le
stragi del 3° Rgt M.D.T. “D’Annunzio”
Il
3° Reggimento “Gabriele D’Annunzio”, che era di stanza a Fiume, negli ultimi
giorni di aprile 1945 tentò il ripiegamento verso Trieste e Gorizia. I suoi
uomini, costretti ad arrendersi agli slavi il 3 maggio subirono orrende
sevizie, numerose uccisioni, e anche infoibamenti.
Gli uccisi del Btg “Montebello”
Una parte del Comando e la 4^ Cmp di questo Btg il 23 aprile 1945 erano rimasti a Cossato. Qui dovettero arrendersi ai partigiani che garantirono l’onore delle armi e la vita salva agli uomini. Ma, come al solito, appena deposte le armi, iniziarono le sevizie e le uccisioni. Il giorno 30 aprile a Sordevolo un primo gruppo di uomini, compreso il Cappellano militare Cap. Don Leandro Sangiorgi, furono uccisi. Un altro gruppo fu ucciso il 1° maggio a Coggiola. Altri, condotti nel famigerato campo sportivo di Novara, finirono poi massacrati nell’Ospedale Psichiatrico di Vercelli.
Il
sacrificio del Btg “9 settembre”
Arresosi
il 27 aprile 1945, ebbe garanzie di rispetto della vita degli uomini. Invece
dal 1° maggio bande partigiane prelevavano gruppi di prigionieri e, condottili
in montagna ove li tenevano anche tre giorni senza cibo, li seviziavano e li
uccidevano. Si erano arresi in 190. Ne sopravvissero una diecina.
Il tributo di sangue delle Brigate Nere
La XI Brigata Nera “Cesare Rodini” di Como si arrese il 28 aprile 1945 e gli squadristi furono avviati a Coltano. Ma al presidio di Cremia, della Cmp “Menaggio”, toccò una sorte tragica. Il 25 aprile un giovanissimo squadrista, Gianni Tomaini classe 1930, portò anche a questo presidio l’ordine di rientrare a Menaggio. Ma il comandante del presidio stava già trattando la resa coi partigiani, che promettevano salva la vita. Ma appena consegnate le armi tutti gli squadristi furono portati a Dongo, sottoposti ad inaudite sevizie e trucidati tutti, compreso il giovane Tomaini.
E questo non fu l’unico episodio di piccoli presidi delle B.N. massacrati in quel modo.
Le B.N., infatti, pagarono un alto tributo di sangue in quelle tragiche giornate.
La strage della cartiera Burgo di Mignagola
I partigiani,
dopo la resa dei combattenti della RSI, organizzarono veri e propri campi di
sterminio, dove in brevissimo tempo procedevano, dopo nefande sevizie, a
barbare uccisioni, che eufemisticamente chiamavano “epurazioni”. Cito la cartiera
“Burgo” di Mignagola, frazione di Carbonera (TV), nei pressi di
Breda di Piave. In questa cartiera furono sterminate 400 o forse anche 1000
persone.(1)
Si ha notizia di atroci sevizie inflitte ai
prigionieri prima dell’uccisione: lamette ficcate in gola, distintivi fatti
ingoiare, spilloni piantati nei genitali, camminare a piedi nudi su cocci di
bottiglia, bocca riempita di carta che poi veniva incendiata….
Tra i trucidati il giovane ufficiale Gino Lorenzi, crocifisso; era un sottotenente
della GNR appena uscito dalla scuola A.U.
Lo
inchiodarono con grossi chiodi ai polsi e alle caviglie su di una rozza
croce costituita da due tronchi d’albero
e fu lasciato morire lentamente fra
tormenti atroci, finché le volpi lo finirono.(2)
Ma non fu l’unica crocifissione; si ha notizia
anche della barbara e feroce tortura
inflitta ancora ad un giovane sottotenente della GNR appena uscito dalla scuola
A.U. : Walter Tavani crocifisso a un portone a Cavazze (MO). E ancora altri Martiri crocifissi ai portoni delle
stalle scelti tra gli oltre settanta assassinati nell’Argentano dopo sevizie
atroci: aver avuto mozzate le mani, strappati gli occhi, inchiodata la lingua, strappate le
unghie,amputati i genitali.(3)
NOTE: [1] Paolo Teoni Minucci ,Combattenti dell’Onore – Così caddero gli uomini e le donne della RSI ,Greco & Greco, Milano, 2001, p.233.
2 F. Enrico Accolla, Lotta su 3 fronti- Introduzione alla storia della Repubblica Sociale Italiana, Greco & Greco Editori, Milano, 1992, p. 222.
3 Vincenzo Caputo, Disobbedisco-De bello
milliariniense, TLA Editrice, Ferrara, 2001,p.11
(
Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)
L’otto giugno 1945 una squadra di partigiani, che
esibivano sul taschino del giubbotto un grosso distintivo con la falce e
martello, si fecero aprire con uno stratagemma, la porta del carcere
“Piangipane” , di Ferrara, tre di essi, armati di mitra, dopo aver fatto
evadere i partigiani detenuti per reati comuni, penetrarono nell’ala dove erano
rinchiusi i detenuti politici, e, fattesi aprire le celle dal capo guardia,
ingiunsero ai reclusi di ammassarsi in fondo al corridoio e li massacrarono a
ripetute raffiche di mitra sparate ad altezza d’uomo. Non soddisfatti,
continuarono a sparare nel mucchio dei corpi ammucchiati per terra in una pozza
di sangue, prima di fuggire nel cortile, dove uccisero anche il capo guardia.
In totale i morti furono 18 e 17 i feriti.
In successive e
tardive indagini furono identificati i tre sicari, ma , giudicati dalla Corte
di Appello di Ancona, questa ritenne estinti i reati per amnistia, quasi che
l’eccidio fosse stato “commesso nella lotta contro il fascismo”.
(
Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)
Il rogo di Francavilla Fontana (Brindisi)
L’otto maggio 1945 una piccola folla di facinorosi
sobillati da comunisti, prelevò i fratelli Chionna dalla loro abitazione, che
venne depredata di ogni bene asportabile e quindi devastata, soltanto perché colpevoli di aver conservato
sentimenti fascisti. I due vennero sospinti con
feroci sevizie fino alla piazza principale della cittadina, dove era
stata allestita una pira a cui fu dato fuoco. Il linciaggio si concluse con il
rogo dei due fascisti gettati tra le fiamme ancora vivi.
( Contributo
di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)
A
Medolla (MO) il grande invalido di guerra Weiner Marchi, costretto in una
carrozzella, il 29 aprile, venne
seviziato vigliaccamente e poi, ferito e sanguinante, fu gettato, ancora vivo,
in pasto alle scrofe affamate in un recinto; ma furono più feroci gli uomini
delle bestie che lo straziarono per cibarsene.
A
Modena il 27 aprile Rosalia Bertacchi Paltrinieri, segretaria del Fascio
femminile e la fascista Jolanda Pignati furono violentate di fronte ai
rispettivi mariti e figli, quindi, trascinate vicino al cimitero, furono
sepolte vive.
(
Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)
Per notizie partricolareggiate sulla guerra civile nel
modenese vedi anche il sito : http://members.xoom.it/fratricidio
.
Assassinio della levatrice
di Trausella (TO)
A
Trausella (TO), la levatrice di quel comune fu prelevata, “con audace azione di
guerra”, mentre si recava ad assistere una partoriente, trascinata presso il
comando di una “valorosa e intrepida” formazione partigiana, fu violentata da
un numero imprecisato di eroici “combattenti per la libertà”, che poi la
trucidarono, assassinandola tra tormenti atroci avendole tamponato i genitali
con ovatta impregnata di benzina, a cui appiccarono il fuoco, rinnovando l’orrenda
combustione con altri tamponi infiammati fino al purtroppo stentato sopraggiungere della
liberazione con la morte.1
NOTE: [1] Mino Caudana e Arturo Assante, Dal Regno del Sud al vento del Nord, Vol. II, C.E.N., Roma, 1963, III ediz., p. 1180.
(
Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli)
L’eccidio di Volto di Rosolina (Rovigo)
Nei
giorni immediatamente successivi al 25 aprile 1945 le truppe italo-tedesche
abbandonarono la zona di Rosolina. In località Volto operava una batteria
antiaerea della X Flottiglia Mas. Il 26 aprile i marò della Decima fanno
saltare le munizioni e i cannoni e cercano di mettersi in salvo vestendosi in
borghese. Ma nella notte fra il 26 e il 27 vengono raggiunti dai partigiani e
uccisi senza pietà con raffiche di mitra. L’allora parroco Don Mario Busetto ha
lasciato una testimonianza dalla quale si ricava che in data 30 aprile furono
scoperti sotto la sabbia 9 cadaveri, cui fu data cristiana sepoltura. Purtroppo
fu identificato soltanto Vincenzo Caruso di anni 21 da San Nicandro Garganico
(FG). Secondo il parroco, però, un altro degli uccisi era Leonardi Carmelo di
Palermo. Invano la famiglia di Giuseppe Licata, anni 23, di Sciacca (AG) cercò
di identificare il suo congiunto con uno dei caduti.
Il 15 giugno 1946, poi, vennero scoperti e
sepolti altri 5 cadaveri.
Insieme ai 14 marò furono uccise anche due
giovani sorelle che prestavano servizio alla batteria in qualità di ausiliarie:
Adelasia Zampollo di anni 17, nata a Chioggia e residente a Genova e la sorella
Amorina di 24 anni, che aveva un figlio piccolo.
(contributo
di Gian Maria Zanini)
Nella
notte fra il 25 e il 26 gennaio del 1945 una squadra di partigiani penetrò con
l’nganno nella casa del Sig. Raffaele Triboli e lo prelevò insieme alla moglie
Clorinda Benassai e alla figlia di 21 anni Gianna. La casa fu rapinata di tutto
quanto poteva valere qualcosa. Restavano soli in casa nel terrore i figli
Francesca di 14 anni, Antonietta di 13 e Raffaele di 9. I tre prelevati furono
torturati, le donne violentate e, infine, gettati, pare ancora vivi, nel lago
d’Orta, chiusi dentro un telo di paracadute. Né, questo, fu l’unico massacro
compiuto dai partigiani nella zona del lago d’Orta.
La strage dei ragazzini di Mario Onesti
Il
25 aprile 1945 un reparto di giovanissimi militi della contraerea della
Malpensa, guidato dal sergente Mario Onesti si dirigeva verso Oleggio.
Intercettati dai partigiani della brigata di Moscatelli, si difendono come
possono. Alla fine il cappellano partigiano, Don Enrico Nobile, invita i militi
ad arrendersi. Avranno salva la vita e un salvacondotto per tornarsene a casa.
Il sergente interpella i suoi giovanissimi militi, poco più che adolescenti, e
decide di accettare. Qualcuno non si fida e riesce a fuggire, ma undici, col
loro sergente, si consegnano e, alle 18,30, si redige un verbale dell’accordo.
Ma i partigiani non hanno nessuna intenzione di rispettare il patto e il giorno
dopo, 26 aprile, i ragazzi vengono trattenuiti prigionieri nelle segrete del
castello di di Samarate, dove vengono sottoposti a indicibili torture. E il
giorno dopo ancora, 27 aprile, alle 8 di mattina vengono caricati su un camion
e portati sul luogo del supplizio. Il prete che avrebbe dovuto essere garante
dell’accordo è impotente e può solo impartire una frettolosa benedizione. Poi
la fucilazione. Tutti offrono il petto ai fucilatori. Si ode qualche grido di
“Viva l’Italia”. Non sazi gli aguzzini infieriscono sui corpi degli uccisi,
anche ficcando ombrelli negli occhi dei morti.
La strage della famiglia di Carlo
Pallotti
Il
9 gennaio 1945 alcuni partigiani penetrarono in una casa colonica nella
campagna modenese dove si era rifugiato il veterinario Carlo Pallotti,
fascista, insieme alla famiglia e massacrarono l’intera famiglia : il Pallotti,
la moglie Maria Bertoncelli e i giovanissimi figli Luciano e Maria Luisa.
Responsabili furono ritenuti i partigiani modenesi Michele Reggianini e Giuseppe
Costanzini che, però, non subirono alcuna condanna per questo crimine in quanto il massacro fu ritenuto, dalla
magistratura della nuova Italia democratica, una legittima azione di guerra.
Le condanne a morte richieste dal P.M.
Oscar Luigi Scalfaro
(Pare
opportuno inserire anche queste morti fra le stragi di quel periodo)
Il
Giornale del 9/3/1995, con un articolo a
firma P.Pisanò, informa:
"Sono 8, le condanne a morte di fascisti, chieste e ottenute dal P.M. O.L.Scalfaro, alla Corte assise di Novara, dopo il 25/4/1945.La biografia ufficiale, parla di un solo imputato, per il quale la condanna a morte era inevitabile; ma tale imputato..venne poi graziato...La realtà è un pò diversa.1943: Il futuro presidente della Repubblica entra in magistratura.1°maggio 1945: O.L.Scalfaro assume volontariamente la carica di vicepresidente del tribunale di Novara. 13 giugno 1945: Sostituiti i tribunali del popolo con le CAS (Corte Assise straordinarie), O.L.Scalfaro sostiene la pubblica accusa contro Enrico Vezzalini, soldato valoroso pluridecorato. 15 e 28/6/1945: L'Ufficio del PM ottiene la condanna a morte di Enrico Vezzalini, Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante.Condanne eseguite all'alba del 23 sett.1945 (ndr: al poligono di tiro di Novara). 16 luglio 1945: Il PM chiede ed ottiene la condanna a morte di Giovanni Pompa, 42 anni, della GNR. Sentenza eseguita il 21/10/1945. 12 dic.1945: il PM chiede ed ottiene la condanna a morte di Salvatore Zurlo. Da "Il Corriere di Novara" del 19 dic.1945: "Il PM Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza impazienza dal pubblico....Il Pm, dopo la chiarissima requisitoria conclude domandando la pena di morte per lo Zurlo..."Lo Zurlo, nel 1946, in processo d'appello,ebbe la sentenza annullata. Otto condanne a morte ottenute, sette eseguite. O.L.Scalfaro, brillante inquisitore da tribunale del popolo, si è ormai messo in luce per tentare le vie della politica, candidandosi all' Assemblea Costituente e, pur senza abbandonare la magistratura e relative prebende, avviarsi verso la gloria di Roma". Questo articolo è rimasto, all'epoca, senza reazioni di sorta dell'interessato: tutto vero, dunque. Ma giornalisti de “L'Ultima Crociata”, andati a Novara per rivedere le carte di quei processi, non trovarono un bel nulla.
(Contributo
di Alfredo Casalgrandi)
Il 30 aprile 1945 i 630 uomini del Battaglione
Bersaglieri Benito Mussolini , dopo il ripiegamento dal fronte orientale
ordinato il 28 aprile, giunti a Molin d’Idresca sono costretti ad arrendersi ai
partigiani comunisti italoiugoslavi. Il 1° maggio iniziano le uccisioni dei
bersaglieri, ormai disarmati. Tali uccisioni proseguono nei giorni successivi e
il 5 maggio, a Tolmino, ne vengono trucidati una ottantina fra ufficiali,
sottufficiali e truppa. I sopravvissuti verranno tradotti, con sofferenze
inenarrabili, nel tristemente noto campo di prigionia di Borovnica dal quale il
26 giugno 1947 rientreranno in Italia soltanto trecento o poco più
sopravvissuti.