Nella notte fra l’8e il 9 maggio 1945, quattro
o cinque sconosciuti, dopo aver scalato il muro di cinta, fecero irruzione nel
carcere della Rocca sorprendendo i guardiani. Entrati nel camerone dove
dormivano i detenuti fascisti, ne uccisero 17 sparandogli addosso nel sonno.
Fra il 12 e il 13 maggio 1945 a Comacchio
erano stati catturati diversi fascisti e rinchiusi in una villa. Dopo alcuni
giorni la polizia partigiana ne prelevò 11 che erano già stati abbondantemente
picchiati e torturati e li portò nel carcere di Comacchio. Poi, fra il 26 e il
27 maggio, la stessa polizia partigiana li prelevò ancora dal carcere, li
condusse presso il cimitero e li uccise.
Nella notte fra il 14 e il 15 maggio 1945
alcuni partigiani irruppero nel carcere che si trovava nel castello dei
Paleologi e prelevarono 6 detenuti fascisti. Li portarono in periferia e li
uccisero poco dopo l’una di notte del 15 maggio. I cadaveri, poi, furono
scaricati davanti al cimitero. Avevano i volti sfigurati.
Il 26 aprile 1945 vennero qui uccisi 12 fascisti,
di cui 9 della Brigata Nera, 2 tedeschi e un avvocato di 79 anni.
Il 1° maggio 1945 vennero qui uccisi 14 militari
della R.S.I. Il 2 maggio a Broni ne furono uccisi altri 5 e a Voghera il 13
maggio altri 9 ancora. Molti erano uomini della Sicherheits, la polizia
speciale operante nell’Oltrepò pavese.
L’ 8 maggio 1945 vennero catturati e uccisi 8
militi della Guardia Nazionale Repubblicana delle Foreste.
Il 17 maggio 1945 vennero prelevati 8 operai
dell’”Ansaldo”, qui trasferitasi durante la guerra e tutti uccisi perché
ritenuti fascisti.
Il 27 aprile 1945, dopo un disperato
combattimento durato 14 ore, si arresero ai partigiani una trentina di persone appartenenti al
R.A.U. (Raggruppamento Arditi Ufficiali) e al R.A.P. fra cui 24 ufficiali cinque ausiliarie e due mogli di ufficiali
che avevano raggiunto i mariti. Una di queste, moglie del Ten. Della Nave, era
incinta. I fatti accaddero a Cigliano
nell’albergo “Cavallino Bianco” dove era tricerato il grosso dei soldati. Il
R.A.P. di presidio a Cigliano era comandato dal Ten Mancuso mentre il 2° R.A.U.
giunto di rinforzo era comandato dal Magg. Filippo Galamini. I prigionieri
vennero concentrati in parte al “Cavallino Bianco” e in parte altrove. Il
mattino del 28 gli uomini del RAU vengono condotti prima a Dorzano, poi ad Aral
Grande, infine, il 1° maggio a Graglia ove tutti furono rinchiusi in una stanza
dell’albergo “Belvedere” di Graglia. Furono giorni terribili di percosse e
sevizie, pressochè senza mangiare. Alla donna incinta fu negato anche un
bicchiere d’acqua. Il giorno 2 maggio, poi, in più riprese, vennero condotti
fuori. Il primo gruppo fu condotto presso un ruscello che divide il comune di
Graglia da quello di Netro e qui tutti furono massacrati. Fra loro il
Magg.Casini, il Cap. Gili, il S.Ten.Tosi. Il secondo gruppo viene massacrato in
località Pairette. Morirono qui il Cap.Toppi, il Cap. Visconti di Modrone e il
Ten. Conti. Il terzo gruppo fu ucciso alla cascina Quara nei pressi del
Santuario, il quarto in località Portioli. Ultime a morire furono le donne,
uccise dietro il cimitero. Non ci fu
pietà neppure per la donna incinta. Essa, gettata a terra con uno spintone, fu
uccisa con una raffica di mitra insieme al bambino che portava in grembo.
Il 30 aprile 1945 dieci persone, fra cui un
prete, vennero sommariamente processate dai partigiani e tutte uccise.
Il 1° maggio 1945 vennero qui massacrati 29
uomini della divisione “Littorio” che si erano arresi. Contemporaneamente
venivano uccisi 15 tedeschi a Grugliasco e 16 alpini della “Monterosa” a Tetti
Mirotti (Rivoli).
Il 4 maggio 1945 i partigiani prelevarono 26
fascisti dal carcere di Imperia, dove si trovavano prigionieri, li condussero a
Castiglione di Costa di Oneglia e, qui, li uccisero tutti. Molti erano civili.
Fra loro un apprendista di 17 anni e un grande invalido di guerra di 64 anni.
La strage della corriera di
Cadibona
Era l’11 maggio 1945. Una corriera con una
quarantina di militari della R.S.I. prigionieri dei partigiani e provenienti dalla
zona di Alessandria, stava percorrendo la strada verso Savona. Ma a un certo
punto la corriera si fermò, i prigionieri furono fatti scendere e furono tutti
massacrati. Molti erano marò della “San Marco”.
La strage del carcere di
Finalborgo (SV)
Il 29 giugno 1945 un gruppo di partigiani
penetrò nel carcere di Finalborgo e prelevò 11 fascisti che si trovavano lì
incarcerati facendoli sparire. Nel 1947 furono ritrovati i corpi in località
Fosse di Sant’Ermete. Un caporale della GNR era stato “incaprettato” secondo la
moda dei mafiosi.
Il 17 maggio 1945 una squadra di partigiani
romagnoli si presentò nella sede dell’Istituto di Avviamento Professionale di
Thiene, che era stato adibito a carcere e prelevò 14 forlivesi. Subito dopo li
condusse a Covolo e, in località Tiezze, li uccise tutti.
La strage del carcere di Busto
Arsizio
Nella notte fra il 12 e il 13 maggio 1945 un
gruppo di partigiani romagnoli prelevò dalla scuola “Carducci” adibita a
carcere 14 prigionieri che avevano appartenuto alla Brigara Nera “Muti” di
Ravenna e li uccise.
Le stragi al Ponte della Bastia
Il Ponte della Bastia, sul fiume Reno, è un
passaggio obbligato per chi dal ferrarese vuole dirigersi verso la Romagna. Qui
i partigiani avevano organizzato un rigido posto di blocco ove tutti quelli che
volevano passare venivano fermati, perquisiti e inquisiti in ogni modo onde
accertarsi che non si trattasse di ex militari della R.S.I. che tentavano di
rientrare alle proprie case. E molti lo erano e non era poi molto difficile
individuarli. Così furono molti i fermati di cui si perse ogni traccia. Non è
possibile quantificare gli “scomparsi”. Pare, comunque, che 400 sia un numero
attendibile.
Fra il 12 e il 13 maggio 1945 in Argenta
furono uccisi 17 fascisti. Ma nella sola Argenta i fascisti uccisi furono in
totale, ben 74.
I massacri in provincia di Reggio Emilia
Dopo che il fronte di Bologna ebbe ceduto,
anche i presidi della GNR che si trovavano in provincia di Reggio E. si
arresero. Gli ultimi furono quelli di Novellara che si arrese fra il 22 e il 23
aprile e quello di Castelnuovo Sotto che si arrese il 24 aprile. E subito
cominciarono i massacri. Già il 24 furono uccisi 42 uomini sul torrente
Crostolo, altri 21, fra cui molti civili,
furono uccisi il 26 aprile e altri 11 furono uccisi fra il 30 aprile e
il 1° maggio 1945. Alla fine nella sola Novellara i fascisti uccisi risultarono
54.
Il 28 aprile 1945 ad Alassio vennero
massacrati 14 fascisti fra cui una ausiliaria e due casalinghe; il 30 aprile ad
Albenga, frazione Leca, si ebbero altri 21 morti; sempre il 30 aprile a
Sassello 8 fascisti vennero uccisi nel cortile del carcere; a Varazze nella
Villa Astoria dove si trovavano detenuti, il 1° maggio vennero massacrati 10
fascisti; dalle scuole di S.Martino d’Albaro (GE) adibite a carcere in quei
giorni furono prelevati 30 detenuti fascisti dei quali non si seppe più nulla.
L’eccidio di Urgnano (Bergamo)
Nei giorni dal 26 al
29 aprile 1945 vengono rinchiusi nella camera di sicurezza della caserma dei
carabinieri di Urgnano, presso Bergamo, 11 fascisti locali, in parte arrestati,
in parte presentatisi spontaneamente ai membri del CLN locale per chiarire la
loro posizione di persone a carico delle quali non pendeva nessuna accusa
specifica.
Essi sono:
1) Giuseppe Pilenga,
nato a Urgnano nel 1891, proprietario coi fratelli di una azienda agricola e
commerciale con 30 dipendenti, era stato caporal maggiore del 12° bersaglieri,
poi ardito nella prima guerra mondiale rimanendo ferito tre volte ( a Conca di
Plesso, sul Pasubio e sul Col di Lana) e meritando la Croce di Guerra. Prima
simpatizzante socialista, poi fascista e marcia su Roma, era una figura di
spicco del fascismo bergamasco. Era benvoluto dai suoi dipendenti ai quali
donava, ogni domenica, 5 o 6 chilogrammi di farina di mais. E benvoluto anche
dal resto della popolazione per la sua generosità. In tempo di guerra si era
assunto l’onere di trasportare e distribuire gratuitamente il riso prelevato
nell’Oltrepo pavese. Si presentò al CNL locale il 29 aprile.
2) Cipriano Pilenga,
fratello più giovane di Giuseppe, nato
a Cologno sul Serio nel 1909, anche lui bersagliere in Grecia dove nel
1941 meritò la Croce di Guerra. Si presentò col fratello il 29 aprile.
3) Luciano
Angeretti, nato a Milano nel 1914, aveva militato nelle forze della R.S.I.
quale richiamato, prestando servizio presso il carcere militare milanese di Via
Crivelli. Si presentò il 29 aprile.
4) Luca Cristini,
nato a Urgnano nel 1898, era commissario dei mulini di Bergamo. Fu arrestato il
26 aprile.
5) Luigi Donati,
nato a Urgnano nel 1898, Croce al Merito nella prima guerra mondiale, messo
comunale, arruolato nella Brigata Nera, rientra a Urgnano e si costituisce il
29 aprile
6) Davide
Marchiondelli, nato a Urgnano nel 1906. Commissario Prefettizio di Spirano,
rientra a Urgnano e si ricovera presso certi conoscenti, i Signorelli, che lo
denunciano. Viene arrestato il 28 aprile
7) Mario Moratti,
nato a Urgnano nel 1910, milite della GNR. Si presenta il 29 aprile
8) Giovan Battista
Nozza, nato a Urgnano nel 1884, addetto alla pesa pubblica, Croce al Merito
nella prima guerra mondiale, si presente col Vecchi il 29 aprile.
9) Lorenzo Vecchi,
nato nel 1904, impiegato del Consorzio Agrario di Bergamo, cognato di Giuseppe
Pilenga, la cui moglie è sua sorella, si presenta col Nozza il 29 aprile
10) Giovanni
Discacciati, che fu podestà di Urgnano dal 1939 al 1943 viene arrestato il 29
aprile
11) Dino Richelmi,
di Spirano, milite della GNR viene arrestato il 28 aprile.
Il presidente del locale CLN, pare su
istruzioni della Questura di Bergamo, inviò gli 11 fascisti, scortati da molti
partigiani venuti anche da Bergamo, a detta questura.
I primi nove fascisti furono trattenuti in
questura circa un quarto d’ora, dopo di che furono condotti presso il cimitero
di Bergamo e qui, dopo essere stati depredati di tutto, furono massacrati a
raffiche di mitra, dopo essere stati duramente picchiati.
Il Discacciati e il Richelmi furono
risparmiati, non si sa bene perché.
Dopo la guerra le famiglie chiesero
giustizia, facendo anche i nomi di diverse persone ritenute a vario titolo
responsabili, ma la magistratura non riuscì a stabilire responsabilità oggettive
e giustizia, ancora una volta, non fu fatta.
Nel 1997 in fondo ad
un canalone nei pressi di Stremiz, sperduta frazione del Comune di Faedis in
provincia di Udine, furono rinvenuti sette cadaveri decapitati, sepolti sotto
un palmo di terra. Si trattava di alcuni militari della R.S.I. ma anche di
civili fra cui delle donne. Pare che il quelle valli siano state molte le uccisioni
ad opera di partigiani comunisti slavi e italiani. Ma della maggior parte di
quelle vittime si è perduta ogni traccia.
Come è noto Istria e
Dalmazia, nel 1943-1945, facevano parte
del cosiddetto “Litorale Adriatico” sotto il diretto controllo dell’esercito
tedesco. Tuttavia combattenti italiani della R.S.I. affiancavano i tedeschi
nella difesa di quelle terre. Fra questi erano diversi reparti della Decima
Flottiglia Mas. Sulle isole di Cherso e Lussino operava la “Compagnia
Adriatica” della Decima, suddivisa in vari presidi. Uno di questi presidi,
composto da poche decine di uomini, aveva sede a Neresine, sull’isola di
Cherso. Il 20 aprile 1945, dopo pesanti e ripetuti attacchi aerei, sbarcarono
sull’isola 600 partigiani slavi, trasportati ed equipaggiati dalla marina
inglese. I ragazzi della Decima del presidio di Neresine opposero una tenace e
durissima resistenza, ma i tedeschi, pure presenti sull’isola, vista la
disparità delle forze, ottennero dal loro comando di Trieste l’autorizzazione
alla resa. A quel punto anche il presidio di Neresine non potè fare altro che
arrendersi. Ma i 28 marinai superstiti del presidio non vennero avviati in
prigionia bensì, alle prime ore del 22 aprile 1945, fucilati sotto le mura nord
del cimitero di Ossero e sepolti in una squallida fossa comune. Soltanto il 12
luglio 2008, per iniziativa di alcuni reduci, veniva realizzato un
pellegrinaggio e apposta una lapide a ricordo di quel martirio. Soltanto di 21
di quei caduti si conosce il nome. I rimanenti 7 sono senza nome.
I caduti: G.M. Dino
Fantechi, S.Capo Giuseppe Ricotta, Marinai: Ezio Banfi, Sergio Bedendo, Ermanno
Berti, Emilio Biffi, Augusto Breda, Ettore Brogi, Gino Civalani, Ermanno Coppi,
Francesco De Muro, Rino Ferrini, Marino Gessi, Enzo Lauro, Salvatore Lusio,
Pino Mangolini, Luciano Medri, Aleandro Petrucci, Iginio Serranti, Mario Seu,
Fabio Venturi.
La strage di Samarate (Varese)
Nei giorni caotici
di fine aprile 1945 un gruppo di dieci militari della G.N.R. Divisione Etna
cadde nelle mani dei partigiani in quel di Samarate (Varese). Si trattava nella
quasi totalità (otto su dieci) di giovanissimi, da 16 a 19 anni. La guerra era
finita e i dieci, che avevano operato nella difesa antiaerea, non erano certo
colpevoli di alcun reato. Malgrado ciò tutti vennero barbaramente uccisi il 27
aprile, ad eccezione di Pieri Pierino che risulta ucciso il 29 e Maurizio
Maurizi che venne ucciso il 30. Ecco i loro nomi: Corio Giovanni Alessandro
nato nel 1901, Dal Bon Mario, Dalle
Nogare Eugenio nato il 5.6.1927, Fiorentini Primo Luigi nato il 14.1.1926, Serg.Magg.
Maurizio Maurizi nato nel 1913, Motta Lino nato il 24.9.1927, Onesti Mario nato
il 6.3.1926, Pieri Pierino nato il 21.3.1927, Pippia Giuseppino nato il
13.3.1929, Susanna Ennio nato il 27.1.1928. (segnalazione di Piero Stelli che
vuol ricordare lo zio Pieri Pierino).
L’assassinio dell’Aviere ferito
Cristiano Fulvio
“Maledetti assassini!"- ”.Accanto al
reparto dei feriti e congelati della Divisione, vi era una stanzetta dove
un ferito alla colonna vertebrale e completamente paralizzato dalla vita
in giù, se ne stava isolato assieme alla madre. Era di Trieste e la madre lo
curava già da diverso tempo. Non aveva che quel figliolo. Un pomeriggio, che
ricorderò sempre come un incubo, quattro uomini armati irruppero in quella
stanzetta, afferrarono quel corpo martoriato, lo presero due per le
ascelle e due per i piedi e cercarono di portarlo fuori dal locale. Nessun
medico, nessun infermiere, nessuna sorella, cercò di fermarli. La madre intuì
ogni cosa e si gettò, urlando, sul figlio e con la forza della disperazione
lottò per strapparlo a quei violenti. Dritta sulla soglia della stanzetta, a
braccia aperte, tentava di impedire il passaggio del corpo del figlio,
picchiando a pugni chiusi chi lo trasportava, difendendo disperata la sua
creatura. Era tremendamente sola. La colpirono con un pugno tra gli occhi
ed egualmente la donna, perdendo sangue dal naso, si batteva con la forza di un
leone; a quel punto si gettò fra le gambe di quegli uomini e allora uno di
questi la prese per i capelli e la trascinò per la corsia. La donna perdeva
ciocche di capelli, ma continuava a dibattersi non cessando mai di invocare
aiuto. Poi rialzatasi di colpo, si gettò nuovamente sul corpo del figlio che
veniva continuamente strazzonato di qua e di là ed era ormai seminudo, con le
medicazioni pendenti dalla ferita riaperta. Il tenente non aprì mai bocca, solo
allungò una mano e strinse quella della madre ricoperta di sangue. Sempre
silenziosamente prese ad accarezzare quella povera mano e poi se la portò alle
labbra. Trovava ancora la forza di tacere. Fu trascinato davanti ai letti dei
soldati. Ci fu chi si alzò in piedi di scatto e chi si coprì il volto per non
vedere e per non sentire. Io pensavo alle campane di Torino che avevano suonato
per annunciare a tutti che la guerra era finita. Pensavo all’amore che era
scomparso, e all’odio che divorava gli esseri umani che mi attorniavano. Ora
gli urli della donna non avevano più nulla di umano. Il triste corteo passò in
cortile seguito dagli occhi di decine di persone, senza che nessuno
intervenisse o sbarrasse il passo a chi trasportava quel ferito. I volti dei
trasportatori erano diventati paonazzi e gli occhi induriti. All’uscita
dall’ospedale un capannello di persone fece cerchio attorno a quei quattro che
ora cercavano di fare entrare quel ferito in un camioncino sporco ed ingombro
di oggetti. Ma non vi riuscivano. Allora con un moto di stizza e di rabbia,
buttarono a terra quel corpo martoriato e scaricarono su di lui i loro mitra.
Spararono tutti e quattro assieme. Per ore nelle nostre orecchie risuonò
martellante, l’urlo della povera madre: ”Maledetti, maledetti assassini!".
(da A.Setti Carraro - Diario di
una crocerossina –L’autrice che assiste alla scena qualifica il giovane
come Tenente della Decima MAS, si tratta invece di Cristiano
Fulvio-Aviere dell’ANR--1°Bt.”Folgore”, classe 1925, da Trieste, ucciso il
2/05/45-era in ospedale con i piedi amputati perché ferito in
combattimento .)
(redatto con la collaborazione di
Michele Tosca)