UNA STRAGE INEDITA
A Sassuolo, nel tardo pomeriggio
del 23 aprile 1945 cessavano
gli ultimi combattimenti tra tedeschi, che s’andavano
addossando sulla sponda del Secchia nel tentativo di
attraversarlo, e Alleati che premevano da
Sud. I partigiani, moltiplicatisi negli ultimi mesi, si
cimentavano alla caccia di tedeschi
in fuga e lo testimonierà Ermanno Gorrieri, il partigiano Claudio: “Parte di coloro che
impugnavano le armi contro i tedeschi
in fuga, erano persone che non avevano praticamente mai fatto niente o quasi niente nel movimento
di Resistenza. Non a caso la gente, più tardi li
chiamerà ‘i partigiani della domenica’ o ‘del lunedì’ – a seconda della zona
– cioè i partigiani entrati in azione solo il giorno della liberazione”.
Ma il comandante Claudio dirà anche che
“sarebbero esplosi odii e vendette, insanguinando ancora una volta la terra emiliana”. Accadde che quello che
restava di un Reparto della Divisione
San Marco, arresosi in quel
23 aprile, fu eliminato in modo atroce a Sassuolo,
nel cortile del Palazzo Ducale.
Una cinquantina di questi prigionieri,
fra i quali
v’era qualche tedesco, subì una
fine raccapricciante, venuta
alla luce attraverso la testimonianza d’un ufficiale dell’esercito brasiliano, tra i primi contingenti
entrati a Sassuolo e non dal parroco che
pure vi assistette, don Zelindo
Pellati. Da parte degli esecutori non trapelò, ovviamente, mai nulla e ufficialmente
quelle estreme sevizie, non sarebbero mai avvenute. Quei
prigionieri furono torturati anche con enucleazione degli occhi e poi uccisi per strangolamento. L’ufficiale in questione era Agostino Josè Rodrigues e la testimonianza è nel suo libro Terzo
battaglione (Terceiro batalhao), edito nel 1985, quattordici anni prima che le salme di quegl’infelici
fossero scoperte nello stesso luogo
da lui indicato:
“La piazza dove c’è la chiesa”.
Ecco il brano:
“Sassuolo segna il nostro primo incontro con la guerriglia partigiana del Nord Italia, uomini
coraggiosi ma spietati.
Hanno aiutato la causa degli Alleati durante
gli anni dell’occupazione tedesca nella regione. Ed ora sono ancor
più decisi nell’attaccare senza pietà il nemico.
Come Castelvetro, Sassuolo
è una pulita piccola città, un piacere per i nostri
occhi. La piazza principale,
dove è situata la chiesa, segna anche la nostra prima visione di esecuzioni
sommarie. Ne avevamo già sentito parlare.
Uomini uccisi con delle corde strette
intorno al collo. E’ la
vendetta imposta ai fasciste dai partigiani.
Ci sono molti
comunisti tra i partigiani. Ho visto un gruppo di questi con delle
bandiere rosse. Dovunque essi vadano
compiono esecuzioni sommarie. I partigiani si giustificano dicendo che si
tratta di ‘traditori del popolo’. Ecco perché le camicie nere e i soldati tedeschi
iniziano ad arrendersi a noi brasiliani. Sono terrorizzati dalla furia omicida
di questi implacabili cacciatori”. Non solo
le prime truppe brasiliane entrate a Sassuolo, ma anche il parroco
della chiesa di San Giorgio, don Pellati, assistettero alla strage; il sacerdote
aveva raccolto i documenti e gli
effetti personali di quei disgraziati.
Unico testimone di parte neutra egli preferì tuttavia,
e fu pusillanime, non divulgare
lo scempio cui assistette, né trascriverlo, come avrebbe dovuto, sul libro delle
anime, cosicchè esso rimase sconosciuto e inedito fino al 1998, allorquando, durante gli scavi nel
cortile del Palazzo Ducale, emersero
quei resti. Il giorno del massacro può essere indicato
nella settimana compresa tra il
24 aprile ed il primo maggio ’45. I partigiani che entrarono a Sassuolo discendevano dalle località di Casalgrande,
Fiorano, Castellarano e Magrete e facevano parte tutti di formazioni
comuniste. Il 25 aprile entrò a Sassuolo anche la formazione comandata da Achille,
al secolo Giuseppe Ferrari (1919–2013) che con l’incarico di ‘occuparsi’ dei prigionieri, vi rimase almeno una
settimana. Lo stesso
Palazzo Ducale era divenuto
sede di distaccamenti
partigiani tra i quali risulta
anche la Brigata Stoppa. Nel ’49 la Questura di Modena arrestò l’ex partigiano
comunista Domenico Cavalli di Sassuolo:
si voleva che rivelasse qualcosa,
ma non parlò e fu rimesso
in libertà. Nel ’98, all’indomani della scoperta della fossa comune, l’Associazione
dei reduci della Divisione Fanteria San Marco presentò denuncia contro ignoti per il reato
di strage. La strage di Sassuolo
andrà a far parte dell’aneddotica
resistenziale di revisione, la quale chiarendo fatti marginali darà rilievo alla storiografia,
passo obbligato per raggiungere
la Storia. Scriveva Renzo de Felice, l’autorevole storico di sinistra: “tutto
quanto detto e scritto sul fascismo
è falso, perché la sinistra politica ha nascosto tante verità, tanti delitti,
tante vergogne partigiane”. In alcune pagine del citato libro di Bocca, Il Provinciale,
si coglie il clima che
regnava a Sassuolo nei primi mesi
della liberazione. In un imprecisato giorno di maggio egli
giunse a Sassuolo e andò alla Camera del lavoro ove trovò
riuniti diversi partigiani. Gli dicono - “Di ben so giurnalesta, ma il tuo giornale è un po’ fazista. Quando
la finite di menarla con il triangolo della
morte”? Qualcuno mi guarda duro, ma mi lasciano andare. Esco da Sassuolo
diretto a Formigine e sento dietro il
rombo d’una motocicletta. E’ uno di quelli che
mi sfottevano, ma adesso mi
guarda da amico: - “Scolta me – dice – non passare per Formigine, ti aspettano all’uscita
del paese”. (Tratto dal saggio storico
sulle atrocità partigiane: “I GRANDI KILLER DELLA LIBERAZIONE” del Prof.
Gianfranco Stella).